L’economia comportamentale: da Keynes alla “prospect theory”

di Ilaria Bifarini

Con la scuola neoclassica prende forma il concetto di homo oeconomicus, inteso come quell’agente che, avendo a disposizione una perfetta informazione e possedendo un sistema completo di preferenze, è in grado di scegliere autonomamente gli strumenti migliori per conseguire i propri interessi.

Rivoluzionaria sarà sotto tale aspetto la dottrina di J. M. Keynes, che mette in luce il ruolo fondamentale dell’incertezza sulle aspettative a lungo termine. Gli imprenditori e gli investitori non estrapolano meccanicamente giudizi di probabilità da un’analisi delle informazioni passate, ma le loro aspettative sono di natura soggettiva e risentono di altri fattori. Così l’economista inglese:
A prescindere dall’instabilità dovuta alla speculazione, vi è una instabilità di altro genere, dovuta a questa caratteristica della natura umana: che una larga parte delle nostre attività positive dipende da un ottimismo spontaneo piuttosto che da un’aspettativa in termini matematici, sia morale che edonistica o economica. La maggior parte, forse, delle nostre decisioni di fare qualcosa di positivo, le cui conseguenze si potranno valutare pienamente soltanto a distanza di parecchi giorni, si possono considerare soltanto come risultato di tendenze dell’animo, di uno stimolo spontaneo all’azione invece che all’inazione, e non come risultato di una media ponderata di vantaggi quantitativi, moltiplicati per probabilità quantitative”.

Sono gli animal spirits, che guidano l’operazione decisionale e spingono gli imprenditori a investire, con una propulsione all’azione, piuttosto che all’inerzia. Keynes era un grande conoscitore ed estimatore di Sigmund Freud e nelle sue opere sono numerosi i richiami alle nuove scoperte del padre della psicoanalisi.

Ma è solo a metà del Ventesimo secolo che il paradigma di razionalità assoluta sembra iniziare davvero a vacillare. Si comincia a prendere atto di come il comportamento umano incontri dei limiti di valutazione nella sua capacità di elaborare informazioni, si fa strada l’idea che gli individui, nell’atto concreto di prendere una decisione, non rispondano a logiche ottimizzanti. La recente nascita dell’economia comportamentale risponde all’esigenza di integrare la teoria economica con le intuizioni della ricerca psicologica, per ovviare ai limiti del principio di razionalità.

Pietra miliare nello sviluppo dei campi di tale disciplina è il lavoro Prospect theory: Decision Making Under Risk, scritto da Kahneman e Tversky nel 1979, che utilizza tecniche di psicologia cognitiva per spiegare una serie di anomalie riscontrate nel processo decisionale economico razionale.

Le ricerche sperimentali dei due studiosi portano a una conclusione clamorosa riguardo alla mente umana: gli individui prendono le loro decisioni utilizzando un numero limitato di euristiche, ossia scorciatoie mentali. L’utilizzo della razionalità nel processo decisionale viene ostacolato dai bias cognitivi, ossia distorsioni del giudizio che portano a errori sistematici nel momento in cui occorre scegliere in situazioni di incertezza. Nel 2002 Daniel Kahneman ottiene il premio Nobel per l’economia per il suo lavoro di integrazione dei risultati della ricerca psicologica nella scienza economica.

L’economia comportamentale rappresenta dunque una minaccia al paradigma neoclassico, che identifica la razionalità del comportamento umano con la massimizzazione dell’interesse personale?
Mettendo in luce i comportamenti non razionali dell’essere umano, è in grado di creare un nuovo paradigma?

1. Thaler, premio Nobel per l’economia nel 2017 per il contributo negli studi sull’economia comportamentale, formalizza l’esistenza di errori nel comportamento umano e verifica empiricamente il loro carattere sistematico. Egli distingue, e come lui Kanheman, gli individui in Umani ed Econi, dove i primi sono gli individui con un livello di scarsa razionalità, mossi dai bias cognitivi e inclini all’errore, mentre i secondi sono quelli dotati di razionalità, più atti al ragionamento scevro di euristica e intuizione. Sarebbero questi ultimi a doversi assumere il compito di architetti delle scelte e di indirizzare gli Umani attraverso i nudge (pungoli, spinte gentili) a compiere le scelte ottimali per loro e per la collettività.

Tale modello, chiamato paternalismo libertario, attribuisce allo Stato e ad altre istituzioni il compito di spingere gli individui a prendere decisioni utili al loro interesse nel lungo termine. È evidente come esso, limitando la libertà dell’individuo e riponendola nelle autorità, sebbene ai fini del benessere collettivo, sia contrario ai principi del modello liberista.
Se, come spiega Kahneman, è difficile parlare di restrizione della libertà nel caso in cui si iscriva automaticamente un individuo a un piano pensionistico come azione di default e gli si chieda  di crociare una casella nel caso in cui non voglia partecipare, la questione assume un peso diverso quando riguarda scelte di politica pubblica. Il paradigma neoliberista si basa, infatti, sul divieto dell’interferenza nelle scelte dell’individuo e sulla fiducia assoluta per l’efficienza dei mercati nella allocazione dei beni, fondandosi sul fondamento teorico della razionalità degli agenti. L’attuale sviluppo dell’economia comportamentale da una parte mostra una insanabile incompatibilità con esso, ma dall’altra individua negli Econi delle guide razionali per ovviare agli “errori sistematici” posti in essere dagli Umani e considerati come deviazioni dal comportamento razionale e massimizzante dell’equilibrio neoclassico stesso.

2.Thaler riconosce espressamente un tributo alle analisi sulle decisioni dell’individuo in condizioni di incertezza portate avanti da Keynes, ma occorre rilevare la diversità metodologica dei due. L’approccio keynesiano in materia è, infatti, di tipo psicoanalitico, volto a individuare i moventi umani riconducibili alle pulsioni che muovono le scelte individuali, rendendo quindi lo scenario futuro imprevedibile.

Secondo la visione keynesiana, anche gli Econi sarebbero individui soggetti a componenti istintive, che non rispondono alla razionalità degli agenti.

Sebbene si possano rilevare alcune incongruenze e aporie sul piano teorico e concettuale, l’economia comportamentale è una disciplina in grande fermento ed evoluzione: le sue scoperte sono destinate a rivoluzionare il modello economico attuale, arricchendo la disciplina economica attraverso i contributi di altre scienze e traghettandola verso un essenziale approccio multidisciplinare.

Tratto da:
https://www.economiacomportamentale.it/2019/10/04/scenari-delleconomia-comportamentale/

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