LAICI E RELIGIOSI: UNA COMUNE INCAPACITÀ DI AFFRONTARE IL PRESENTE

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La fatale deriva verso la distopia tecnocratica globale, scoperchia le insufficienze strategiche delle varie aree del dissenso, incapaci di cogliere le opportunità “ecumeniche” date dai diritti umani.

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Di Massimo Franceschini

 

Pubblicato anche su Sfero, Ovidio Network

 

E ora tocca alle tensioni geopolitiche nelle terre da sempre più critiche per la pace mondiale, quando non per la sopravvivenza stessa dell’Umanità.

Infatti, da molte parti si parla di pericolo Apocalisse, anche nel panorama informativo e intellettuale “alternativo”, sempre più diviso in mille rivoli, incapace di fare altro che seguire la notizia del momento con la produzione incessante di “confezioni” mediatiche e social mediatiche tese a “coprire” gli eventi, per un pubblico di fatto reso non comunicante con il resto della società da algoritmi e cancellazioni sistemiche.

Stessa cosa era appena accaduta, con la stessa intensità e quantità, per la Guerra ucraina e prima ancora per la psicopandemia mediatica, con solo una ristrettissima minoranza di commentatori capaci di vedere le cose un po’ esternamente alle varie posizioni ideologiche, mediatiche e professionali.

Solo per fare un esempio inerente all’attuale tensione fra Israele e palestinesi, dobbiamo come sempre osservare quanto le posizioni estreme e velleitarie, incluso l’antisionismo, siano nemiche di qualsiasi soluzione decente.

Israele è un paese voluto dall’ONU, pertanto dovrebbe assolutamente rispettare le sue risoluzioni e i diritti umani.

Questo vuol dire che dovrebbero essere ammissibili solo politiche tese al ritorno entro i confini stabiliti nelle risoluzioni e, visto che si sta comportando come un vero e proprio “stato canaglia”, giusto per riprendere una definizione conosciuta, gli dovrebbe essere intimato di rispettare immediatamente risoluzioni e carte internazionali dei diritti, pena serie e reali sanzioni come chiusura di frontiere, rifornimenti e altre misure cogenti, anche finanziarie.

Per la sua importanza riguardo le più grandi religioni dell’area, Gerusalemme dovrebbe cambiare statuto e governance, in modo da favorire una pacifica convivenza ispirata ai diritti umani, capace di ridare pace e dignità allo spirito religioso di ciascuno.

Il problema è che per favorire una politica di tale livello occorrerebbero delle classi politiche ancor migliori di quelle del secolo scorso, una cosa che oggi appare lunare anche solo immaginare.

Ecco quindi apparire il vero problema: l’evidente deterioramento politico della nostra epoca si caratterizza da un punto di vista culturale e informativo con la cancel culture e l’estrema parzializzazione del pensiero critico, politiche attuate in varie modalità e delegittimanti qualsiasi contenuto non allineato al mainstream.

Questo deterioramento fa sì che le aree culturali dissenzienti, sia laiche, sia religiose, non sembrano proprio capaci di un colpo d’ala per riuscire a comunicare con quelle che seguono posizioni dominanti.

L’emotività e le divisioni ideologiche e dottrinali, abbinate alla pressione-trappola mediatica, creano un panorama non mediato da leader e intellettuali “sufficienti”, una situazione che “obbliga” facilmente a schierarsi o di qua o di là, ricadendo così in tutti i possibili divide et impera che, al contrario, dovevano essere ormai superati dai valori universali condivisi, dalla civiltà del diritto e delle istituzioni liberali.

Sottoposti a questo regime, a questa propaganda uguale e contraria, il nostro punto di vista si restringe sull’emergenza del momento, mancando di vedere il macro disegno, le direttrici impresse dalle agende globali e gli effetti su tutto il panorama politico, sociale e culturale.

Ebbene, cercherò qui di compiere un’estrema sintesi, con la speranza di riuscire a squarciare la coltre di rassegnazione e incapacità, una camicia di forza tenuta ben stretta dalla complessità dei fattori, questione sulla quale, a mio parere, molti intellettuali e commentatori giocano in modo tale da mantenere una presa sul loro pubblico, costringendolo a seguire narrazioni più o meno propagandistiche ed estenuanti, ma mai decisive e sfocianti in visioni e progettualità politiche alternative, efficaci e non velleitarie, quanto mai oggi necessarie, ma sempre più assenti.

Perché è il necessario “ecumenismo” il punto dolente, non solo in ambito religioso, ma anche politico, cosa che iniziai a sintetizzare qui, e più discorsivamente in questo video.

Vediamo esattamente cosa intendo, partendo dal proporre due questioni che a mio parere possono dare una luce diversa per capire i tempi che stiamo vivendo, due ambiti che sono esattamente sotto attacco: politica e trascendenza.

Partiamo dalla prima. La politica è sotto attacco sia da un punto di vista culturale, sia sistemico.

Prendendo ad esempio il nostro paese, ma un po’ in tutto il mondo è la stessa cosa, da un punto di vista culturale abbiamo visto che soprattutto da mani pulite in poi la politica sia diventato un ambito del tutto screditato, in quanto ritenuto un ricettacolo delle peggiori infamie, ambiguità e crimini: un’ottica certamente suffragata da molte prove, comunque tutte razionalizzabili e che andrebbero messe in relazione ad altre, ma sapientemente orchestrata a livello mediatico per promuovere l’imbarbarimento della politica stessa, la sottomissione di questa a pulsioni massimaliste e populiste totalmente confacenti alle nuove “sedi” della comunicazione politica, appunto quelle oligarchiche, plasticamente e mediaticamente visibili.

Abbiamo così visto, gradualmente, la scomparsa dei luoghi di discussione e formazione della politica e dei politici, i vecchi partiti novecenteschi con i loro congressi e i luoghi partecipati di discussione, consultazione e preparazione popolari ai congressi, sostituiti da partiti “leggeri”, in sostanza comitati elettorali con “leader” ed esponenti confacenti ai ritmi e alle prestazioni da talk televisivo, in grado di gestire il loro elettorato da media e social media, ma esposti essi stessi alle “perturbazioni” di questi ambiti orchestrate da regie più o meno occulte, certamente non democratiche, visto che tutto l’ambito mediatico risponde a proprietà, interessi e direttive oligarchiche, corporative, private e globali.

La politica è diventata così qualcosa da evitare, da bestemmiare, da demandare, con una consapevolezza sistemica, ideale e istituzionale in continuo declino, una tendenza chiaramente in favore di tutti quegli apparati da “stato profondo” e da oligarchie finanziare e di altro tipo, oggi capaci con la tecnologia a disposizione di avere un potere decisionale mai visto prima e con questo costruire e imporre narrazioni, consuetudini e un pensiero unico tele-ammannito dalla società dello spettacolo integrato, in grado di far digerire e accettare a tutto il mondo delle vere e proprie agende false e antidemocratiche, come quella 2030.

Nell’articolo riassuntivo Persona Oggetto: un mini saggio sui mali dell’era moderna, svolgo una sintetica riflessione per approfondire alcune delle direttrici mai realmente affrontate, che favoriscono la tecno-distopia in formazione.

Oltre alla implicita disapprovazione per tutto ciò che sa di politica, c’è anche un altro effetto dalla sua delegittimazione, consistente nella sua devoluzione a organismi tecnocratici sempre più elitari e distanti da un punto di vista geopolitico, ambiti transnazionali, UE e OMS come esempi su tutti: un sostanziale allontanamento decisionale dalle società civili, come se tale globalizzazione della governance sia garanzia sicura di efficienza e giustizia, un fideismo del tutto malriposto che la dice lunga sul livello di consapevolezza politica del mondo odierno.

Ovviamente, visto che siamo in un’epoca di forte materialismo scientista e conseguente tecnicismo, la devoluzione del potere alla tecnocrazia è sostenuta dalla implicita svalutazione della capacità di razionalità nell’uomo, che a livello sociale sarebbe razionalità politica e giuridica: prova di questo, che vedremo sempre più stringersi sulle nostre vite, è la questione IA, da me affrontata qui, qui, qui, qui e qui.

Il tutto si condensa in un pensiero antipolitico costituente l’incredibile regresso pre-politico del giorno d’oggi, in cui siamo di fatto governati emotivamente dai media: quegli stessi media che sono usati per mantenere la tensione globale e favorire le agende tecnocratiche, ostacolando di fatto la composizione democratica dei vari punti di vista, l’ecumenismo di cui parlavo all’inizio, con una scientifica parzializzazione della cultura e delle narrazioni.

Ed ecco spiegato il dilagare dei personaggi improbabili fatti apposta per la tv, che appena pochi decenni fa nessuno avrebbe pensato di poter “esporre” sulla scena, almeno in Italia e almeno finché non si è deciso di far entrare in pompa magna la tv demenzial-commerciale stile USA.

La nostra dimensione politica è quindi ridotta ad una sottomessa accettazione alla progressiva presa dei tentacoli tecnocratici sulla nostra vita, vendutaci come unica chance di governo per tutti i problemi causati dall’apparente inadeguatezza della politica e delle istituzioni liberali nel gestire razionalmente le nazioni e il pianeta.

Le nostre incapacità culturali, cognitive, analitiche e politiche fanno sì che l’attacco alla politica continui in modo devastante: abbiamo talmente introiettato il suo rifiuto da scansarla anche lessicalmente, ci siamo ridotti all’incapacità di pensare politicamente, credendo di poter sostituire l’ambito collettivo con una presunta “evoluzione interiore” capace di risolvere tutti i mali, dimenticando che qualsiasi “evoluzione” basata sulla perdita di pezzi importanti dell’essere, e la politica è uno di questi, finisce invariabilmente in involuzione e resa alle forze e alle persone che, a quanto pare, con l’Umanità non hanno un buon rapporto.

E siamo all’altro ambito sotto attacco, assai vacillante e in pericolo, una questione la cui gravità è ancor meno compresa di quella politica: come anticipato, mi riferisco a quello riguardante la trascendenza.

Anche qui, come per “incanto”, i diversi esponenti di questo campo difficilmente riescono a non diventare complici della sua demolizione.

Vediamo come, partendo dal problema più urgente nel presente.

Uno degli effetti della tensione in Medio Oriente, sarà quello di aumentare l’antireligiosità a livello globale: è facile prevedere come la religione di quell’area, e di conseguenza la religione tout court, sarà la prima a salire sul banco degli imputati, accusata di tutte le possibili nefandezze, di essere ancora la principale causa delle tensioni internazionali e delle guerre, una causa ancor più orribile dell’ormai finanziariamente e sistemicamente superato “capitalismo”.

Sarà quindi la religione a salire sulla gogna, questione che, a ben vedere, sarà ancora più divisiva e caotica per tutti: gli antireligiosi ci andranno a nozze fomentando una sempre maggiore spinta antireligiosa, molti credenti delle religioni implicate nell’area aumenteranno l’intolleranza religiosa verso gli altri, dando così più forza all’antireligiosità stessa.

Ci sono però altri modi in cui la religione perde terreno, che vanno oltre l’esempio qui dato inerente al problema contingente del Medio Oriente, ed hanno a che fare con la sostanziale negazione del diritto umano riguardante la libertà di religione, un rifiuto di fatto da parte di molti religiosi, anche semplici credenti.

Un’altra questione capace di far perdere terreno alle religioni è la negazione del necessario “ecumenismo” fra le stesse, necessità che oggi, a mio parere, dovrebbe sostituirsi alle sterili dispute interreligiose o intra-religiose.

Anche se le ottiche sono diverse, e vanno affrontate diversamente, credo sia importante capire come i religiosi sono in qualche modo incapaci di affrontare il presente, con dinamiche spesso simili a quelle dell’area del dissenso culturale e politico.

Esempi di questa incapacità, che affrontai anche nel video sopra linkato, li ho osservati e compresi seguendo le vicende relative alla campagna nei confronti del papato illegittimo di Bergoglio, scaturita dal Codice Ratzinger.

Se l’ambito cattolico dissenziente con l’attuale governance della Chiesa Cattolica ha una certa coerenza di opposizione alla tendenza tecnocratica e transumana in atto a livello di sistema, una coerenza almeno di facciata e sulla quale non mancano comunque accuse interne di vario tipo, da un punto di vista culturale e “politicamente” strategico tale area sconta una marea di problemi, riconducibili a due fondamentali questioni.

La prima sarebbe quella relativa alla non comprensione del tipo di ecumenismo che credo sarebbe oggi necessario, in ottica di contrasto alla distopia tecnocratica incombente: in troppi rifiutano il dialogo religioso e interreligioso con la paura del sincretismo, vanificando la possibilità di una forte voce di carattere etico necessaria a bilanciare e regolare l’avanzata della tecnica.

Il timore sincretistico, avverso alla minaccia di un’“evoluzione” della religiosità che favorirebbe l’avvento di una religione unica mondiale, in cui la trascendenza diventerebbe una chimera demandata alla tecnica, impedisce evidentemente ai religiosi di considerare la possibilità di un proficuo ecumenismo, un dialogo coltivato non per occuparsi delle diversità dottrinali, ma per costruire un progetto “politico” di comune e proficuo contrasto al transumanesimo, fenomeno sul quale ho scritto questo manifesto.

Penso che l’ottica ristretta appena descritta impedisca di considerare che il sincretismo sarebbe uno “sguardo interno” alle religioni, una questione di fatto devastante e non auspicabile, almeno per quanto mi riguarda.

Al contrario, un appropriato ecumenismo diventerebbe uno “sguardo esterno”, che renderebbe le varie fedi capaci di parlare al resto del mondo con una voce unica per quanto riguarda determinati ambiti.

Qui credo occorra dire una cosa forte, anche scomoda, sollevando una questione che è fra le più spinose, quella che di fatto impedisce alla maggior parte delle religioni di salutare come positivo il diritto umano alla libertà di religione: incapaci di considerare la laicità come un’evoluzione politica positiva e auspicabile, le gerarchie religiose hanno evidentemente inteso la “libertà” religiosa come un interno “liberi tutti”, in grado di demolire le rispettive comunità di fedeli.

Hanno scambiato la “libertà di” con “libertà da”, restando così indietro rispetto alla storia, in questo caso in buona compagnia delle fazioni più ideologiche della politica che si vedevano superate dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, che di fatto rendeva obsolete le ideologie di riferimento.

A ben vedere, sono proprio questi problemi a far comprendere come sia in politica, sia per quanto riguarda la trascendenza, i diritti dell’uomo rappresentano la coerente evoluzione dello spirito positivo dell’uomo, quello teso alla comprensione di sé e del creato, non alla confusione di ogni ambito in una sintesi illiberale e disumanizzante.

Il ritardo culturale nei confronti dei diritti dell’uomo, ritardo che li ha lasciati in balia delle mistificazioni di sistema, impedisce così al dissenso politico e religioso di diventare quell’argine necessario alla distopia tecnocratica in formazione.

Anche se non avremo un’Apocalisse nucleare, è già in fase avanzata quella dell’uomo e del suo pensiero, che sta scolorando l’unicità, la dignità e le prerogative che gli sono proprie in una sorta di “sostituzione tecnica” autoindotta, con buona pace di quanti guardando Dio si troveranno fra le mani un algoritmo, magari “quantistico”, che crederanno ancor più intelligente.

 

4 novembre 2023
fonte immagine: Wikimedia Commons, Il Dodo Pensiero, Diocesi di Como

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