La (vera) storia della Medicina: quando i dottori NON si lavavano le mani

di Massimo Bordin

Di libri e articoli sulla storia della medicina ve ne sono a migliaia. Impossibile leggerli tutti, ma il campionario di quanto visto lo ritengo comunque piuttosto rappresentativo. Dopo una lunga fase caratterizzata dalla varietà e dalla eterogeneità delle analisi, in questi ultimi tempi prevale una posizione storica, che definirei “neopositivista”, secondo la quale la medicina avrebbe svoltato – accelerando – con l’arrivo della sintesi chimica e della ricerca universitaria. Tuttavia, osservando in modo asciutto i fatti che hanno rivoluzionato le cure per ogni singola epoca salvando migliaia di vite umane, di rado compaiono professori universitari di medicina e ricercatori accademici. La recente pandemia ed i virologi in televisione rendono quelle vecchie storie di successo ancora più interessanti e attualizzabili.

Emblematico ad esempio ciò che accadde a fine Ottocento al medico ungherese Ignaz Semmelweis che nel 1847 sconvolse l’intera comunità scientifica sostenendo la necessità per il personale medico di, udite udite, LAVARSI LE MANI. A seguito di questa roboante conclusione (roba da far impallidire Galilei, piangere Newton, eccitare Pitagora ed ululare Archimede), i colleghi medici lo fecero cacciare per ben due volte e lo perseguitarono con una tale shitstorm ante litteram da causargli la depressione. Finirà i suoi giorni in manicomio, dove si spegnerà a soli 47 anni.

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Semmelweis non era affatto uno sprovveduto. Aveva iniziato la carriera di medico diventando dottore in chirurgia ed ostetricia e poi come assistente di un dirigente a Vienna, il Dottor Klein, presso l’ospedale all’epoca più moderno d’Europa. Durante gli anni di assistenza, il giovane medico ungherese notò che la morte delle puerpere per febbre nella sua divisione era in numero spropositato rispetto a quello registrato dalle gestioni precedenti e da quello di altri reparti. In particolare, le donne che avevano appena partorito venivano visitate da medici che, precedentemente, eseguivano autopsie sui cadaveri dell’ospedale. Il dirigente Klein, infatti, obbligava i suoi assistenti medici ad effettuare fino a 16 autopsie al giorno e ad accompagnare questo allegro esercizio alle visite alle puerpere. Non so se serva una laurea in medicina con specializzazione, ma a quanto pare all’epoca solo Semmelweis intuì (e sottolineo il verbo “intuire”) che l’alta percentuale di donne che si aggravavano e le autopsie effettuate fossero strettamente collegate.

da Wikipedia (ebbene si, portate pazienza):

“il giovane medico ungherese dedicò tutte le sue energie al lavoro in corsia e a continue dissezioni, ossessionato dall’elevato numero di decessi delle partorienti per febbre puerperale e soprattutto assillato dalla sconcertante rilevazione che il numero delle morti era di molto superiore nella clinica di Klein che non nella seconda divisione diretta dal dottor Bartch, dove a far partorire le donne erano le ostetriche”

L’occasione per confermare la sua intuizione venne però da un incidente, una pura casualità (e sottolineo le parole “incidente” e “casualità”). Durante una sua assenza legata a questioni contrattuali, un suo amico e collega morì ed egli ebbe la possibilità di studiarne la cartella clinica. L’analisi rivelò che il medico morto aveva contratto la malattia poco dopo essersi ferito durante un’autopsia ad una mamma morta di febbre. Le lesioni rilevate sul medico erano dello stesso tipo di quelle delle donne morte per febbre. La conclusione logica fu allora che la malattia avesse la stessa fonte e che le donne ricoverate morivano perchè infettate dai medici che le visitavano dopo aver effettuato autopsie su altre puerpere decedute per febbre. Semmelweis allora promosse l’iniziativa di far lavare le mani dei colleghi tra le visite e le autopsie con un composto di ipoclorito di calcio. I decessi passarono in breve tempo dal 12 al 5 per cento.

Come sempre accade in questi casi (e sottolineo l’avverbio SEMPRE) gli accademici ed i colleghi si scatenarono contro di lui. In particolare Rudolf Virchow, considerato il padre della patologia cellulare, lo accusò di aver trasformato i medici in untori. La scuola medica di Vienna (città non a caso patria del neopositivismo filosofico e della più strampalata delle teorie economiche, quella austriaca, appunto) lo ostracizzò nel modo più brutale. Dopo la morte in manicomio, occorrerà aspettare qualche decennio (e sottolineo il termine “decennio”) per vedere riconosciute dalla comunità scientifica le sue scoperte, e peraltro da un certo Pasteur…

Non mi chiamo né Fedro né Esopo, e dunque lascio al lettore trarre le conclusioni e le banali affinità con quanto successo in questi mesi in merito al vaccino russo o al plasma, ad esempio, ma anche sull’uso di vitamine, tutte pratiche bollate come superstizioni internettiane. Per non parlare dell’esaltazione acritica delle chiusure di interi Stati Nazionali (confuse coi cordoni sanitari che salvarono Marsiglia nel 1700). Non so se il tempo sarà galantuomo; per il povero, ma grandissimo medico di corsia Semmelweis, il tempo in vita non lo fu affatto. Ma pregate il vostro Dio, qualora vi accada qualcosa, di trovare in corsia un signor Semmelweis in camice bianco qualunque, e non il solito accanito cultore di Lancet e dei papers in lingua inglese.

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