La Grande Truffa alla Banca Centrale del Portogallo del 1925. Come uno scaltro falsario portò benefici all’intera nazione

Artur Virgilio Alves dos Reis era un truffatore raffinato, che si mascherava dietro l’apparente aspetto di un uomo di affari portoghese.
Dopo una brutta storia di assegni non coperti finì in carcere a perfezionare il suo curriculum.

Fu fondamentale l’ottimo rapporto che ebbe con un notissimo falsario, conosciuto in carcere, che gli fece comprendere quanto facilmente fossero identificabili le banconote false, specie se realizzate su scala industriale.

Il ventonovenne Alves dos Reis ebbe un’idea geniale: invece di falsificare le banconote, decise di falsificare i contratti con i quali la Banca Centrale del Portogallo autorizzava ed ordinava, sulla base delle proprie riserve d’oro, ad una società londinese specializzata la stampa delle banconote.

Si circondò di degni sodali illudendoli di aver corrotto il Governatore della Banca Centrale del Portogallo, Camacho Rodriguez: alcuni però suggeriscono l’idea che questo ultimo non fosse estraneo alla vicenda. I sodali misero i capitali iniziali.

Scattò così nel un “piano segreto” di investimenti volti a vitalizzare l’economia nell’Angola, allora colonia portoghese, da finanziarsi attraverso un’emissione speciale di nuove banconote. Falsificando con rara abilità un contratto, che risultava persino registrato presso un notaio (che naturalmente non ne sapeva nulla), prese  nel dicembre 1924 i primi contatti con la Waterlow & Sons Ltd di Londra, la società che stampava le banconote per conto della Banca Centrale del Portogallo.
Spiegò quindi ai dirigenti della società inglese di essere incaricato di dirigere l’operazione che avrebbe dovuto rimanere riservata per motivi politici, il cui obiettivo era quello di stampare nuove banconote sulle quali sarebbe stata sovraimpressa, in altra sede, la dicitura “Angola“.

Gli inglesi abboccarono.

Alves dos Reis si premurò anche di avvisare gli inglesi che, dovendo essere le banconote successivamente sovraimpresse, avrebbero dovuto avere gli stessi numeri di serie di quelle stampate per il Portogallo. In questo modo semplificava la vita alla Waterlow & Sons ed eliminava il rischio di utilizzare numerazioni di banconote non circolanti in Portogallo.

Le banconote furono regolamente spedite al Banco de Angola e Metrópole, che, come facilmente è intuibile, era  una banca di proprietà dello stesso Alves dos Reis.

L’affare funzionò alla meraviglia.

La Waterlow & Sons stampò a partire da febbraio 1925 la bellezza di cento milioni di escudos in tagli da 500, grazie ai quali Alves dos Reis iniziò a vivere da nababbo.
Tra l’altro, tanto per non smentirsi, iniziò subito a truffare anche i sodali, adducendo la scusa che un’ampia parte della somme che riceveva da Londra avrebbero dovuto essere concesse al Governatore Camacho Rodriguez: per cui divideva con essi solo quel poco che rimaneva dopo le elargizioni al Governatore.

Alves dos Reis, però, si fece prendere troppo la mano, commettendo una serie di errori che portò alla scoperta della truffa.

Innanzitutto presso la Banca Centrale del Portogallo si iniziò ben presto a nutrire serie perplessità sull’enorme numero di banconote da 500 escudos in circolazione. Tuttavia nessuna delle innumerevoli banconote esaminate aveva mai rivelato prove di una falsificazione.
L’ambiente era teso ed il Banco de Angola e Metrópole fu presto individuato come un elemento che deteneva una liquidità non giustificata  dall’usuale giro d’affari denunciato ed appurato.

Ma la vera buccia di banana fu l’iniziativa di Alves dos Reis per tentare di scalare la stessa Banca Centrale del Portogallo.
Aveva già acquisito 25,000 delle 45,000 azioni necessarie ad assicurarsene il controllo, quando i controlli evidenziarono che il Banco de Angola e Metrópole offriva prestiti a soggetti privati ad interessi molto bassi, pur essendo quasi del tutto privo di raccolta di risparmi richiesta come riserva.

Lo scandalo scoppiò il 5 dicembre 1925, non a seguito delle indagini della Banca centrale, bensì ad opera di un giornale, O Seculo, che uscì con uno scoop in cui si illustravano tutti i particolari della truffa.

Alves dos Reis fu condannato a 20 anni di prigione, uscì di carcere nel 1945 e morì in miseria.

Le conseguenze della truffa sull’escudo portoghese furono molto rilevanti.
La valuta portoghese subì violenti scossoni nei tassi di cambio con le altre valute (ad esempio la sterlina inglese)

e nei confronti dell’oro…

La Banca Centrale del Portogallo dovette ritirare tutte le banconote da 500 escudos in circolazione, per poi sostituirle.

Dopo lunghissima diatriba legale, la Waterlow & Sons fu condanna a risarcire un danno valutato attorno alle 600’000 sterline dell’epoca.

 Il clamore dello scandalo rese ancora più fragile la giovane democrazia portoghese e facilitò l’ascesa al potere del dittatore Oscar Carmona, che pose fine alla Prima Repubblica.

In realtà, se osserviamo bene i grafici riportati, la svalutazione dell’escudo portoghese era già iniziata nel 1921 ed era terminata nel 1924. Questo probabilmente a causa delle eccessive emissioni di denaro da parte della Banca Centrale del Portogallo rispetto alle riserve d’oro detenute, che restavano costanti.

Nel 1925, anno in cui le nuove banconote da 500 escudos entrarono in circolazione, ci fu in realtà una rivalutazione dell’escudo rispetto alla sterlina e rispetto all’oro.
Ciò che viene spesso sostenuto nella letteratura delle “iper-inflazioni” è quindi falso.

Non esistono purtroppo statistiche di quel periodo sull’andamento dell’indice dei prezzi in Portogallo, tuttavia si può notare come gli effetti sul prodotto interno lordo del paese non si denotano nel 1925, mentre si denota una crescita dell’economia reale negli anni successivi.


Infatti le banconote da 500 escudos furono ritirate, ma sostituite con altre nuove banconote, per cui la massa monetaria aumentata dalla “false emissioni” di Alves Reis, rimasta immutata, continuò a portare i suoi benefici al paese.
E negli anni a partire dal 1925 anche l’escudo portoghese risulta essere sostanzialmente stabile rispetto alla sterlina ed all’oro.

Nel 1971 Richard Nixon si ritrovò in una situazione molto simile, in quanto dovette ammettere pubblicamente che la FED stava stampando molti più dollari rispetto alle riserve d’oro detenute. Ed anche allora con effetti benefici per l’economia reale.
La questione, come noto, si risolse con la dichiarazione unilaterale per la quale gli USA avrebbero continuato a stampare dollari detenendo non più solamente “riserve d’oro”, ma “riserve” anche di altro tipo, come ad esempio dei titoli di stato americani.

Questa storia dimostra come il porre vincoli (le riserve d’oro) alla emissione di denaro, per evitare eccessive emissioni di moneta teoricamente dannose per l’economia, si sia in realtà rivelata una misura per nulla utile all’economia reale.

E dimostra come non sia necessario disporre di riserve per mettere in circolazione del nuovo denaro per foraggiare l’economia reale.

 

Parzialmente tratto da:

http://www.globalfinancialdata.com/gfdblog/?p=1862

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