La dittatura incostituzionale della PARTITOCRAZIA

di Davide Gionco

In Italia esiste un grave problema di Democrazia che riguarda i rapporti fra partiti e popolo.

Parlando di Popolo l’art. 1 della Costituzione dice chiaramente “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”

Parlando di partiti l’art. 49 della Costituzione dice: “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”.

Guardiamo ora alle attuali modalità di elezione dei parlamentari ciascuno dei quali, ai sensi dell’art. 67 della Costituzione, rappresenta la Nazione.

Davvero possiamo dire che negli attuali meccanismi la sovranità appartiene al popolo e che i cittadini, liberamente associati in partiti, possono “concorrere con metodo democratico” a determinare la politica nazionale?

Proviamo ad immaginare un cittadino, con il desiderio di servire la Nazione emulando il compianto presidente Alcide De Gasperi, che abbia dedicato anni a formarsi sui temi della politica, acquisendo alte competenze ed avendo elaborato le idee innovative necessarie a risolvere i problemi del paese. In quale modo questo cittadino potrà dare il proprio contributo a determinare la politica nazionale?

La prima cosa che farà è mettersi in contatto con gli attuali partiti in Parlamento, presentando loro le proprie proposte, ma è altamente probabile che gli attuali dirigenti dei partiti non solo non siano interessati a ricevere nuove proposte, ma neppure vorranno trovare il tempo per farlo, convinti come sono di fare già il meglio possibile per gli italiani.
A quel punto il cittadino volenteroso, deluso, tenterà di partecipare alla “vita democratica” del partito, in modo da fare emergere le proprie idee di valore. Purtroppo anche in questo caso l’emulo di Alcide De Gasperi constaterà amaramente che le doti più richieste per trovare ascolto nei partiti non sono le capacità politiche, ma sono piuttosto la possibilità di contribuire con il proprio denaro alla prossima campagna elettorale (che costa) oppure in alternativa i rapporti di vicinanza con l’attuale leadership del partito.
E’ un dato di fatto che all’interno degli attuali partiti la democrazia scarseggia, ricordandoci che “democrazia” non è solo la possibilità di esprimere un voto ogni tanto, ma è anche la possibilità di fare delle proposte e di partecipare attivamente al dibattito prima delle decisioni che contano.

Dopo avere constatato l’impossibilità di portare nuove idee politiche negli attuali partiti, il cittadino cercherà di organizzarsi con altre persone per costituire un nuovo partito, ai sensi dell’art. 49 della Costituzione.

Arrivato il momento di presentarsi ad elezioni, però avrà un’amara sorpresa.
Le attuali leggi elettorali prevedono che i nuovi partiti, per presentarsi ad elezioni, raccolgano un congruo numero di firme di sottoscrizione fra gli elettori, mentre nello stesso tempo gli attuali partiti ne sono esentati.
E non si tratta di firme “normali”, ma di firme che devono essere convalidate da un pubblico ufficiale, o persona ad esso equiparata.
Ora, i pubblici ufficiali non sono persone totalmente disponibili ai cittadini che intendano raccogliere firme. Quelli che sono pubblici dipendenti sono disponibili solo nel proprio ufficio e ovviamente negli orari di lavoro. Da qui la difficoltà del nuovo partito a raccogliere le firme di persone che, anche loro, in quegli orari lavorano, senza potersi recare nell’ufficio pubblico.
Questo significa che, rispetto ai partiti già esistenti che non devono raccogliere le firme, c’è una forte disparità riguardo alla possibilità di presentarsi alle elezioni.
Le leggi elettorali consentono di avvalersi anche di altre figure per la validazione delle firme di sottoscrizione: notai e giudici di pace (a pagamento, favorendo i partiti più ricchi) oppure persone già elette in organismi pubblici (consigli comunale, provinciali, regionali, deputati), guarda caso legate agli stessi partiti che non devono raccogliere le firme e il nuovo partito è un potenziale avversario.

Se poi, miracolosamente, il nuovo partito riesce comunque a mettere insieme le firme di sottoscrizione e a presentarsi alle elezioni, dovrà fare i conti con la disparità di accesso ai mezzi di informazione, in particolare nelle TV e nei grandi giornali.
Anche in questo caso i partiti che dispongono già di eletti e di finanziamenti pubblici e di un trattamento preferenziale da parte dei mezzi di informazione, senza alcuna garanzia di parità di diritti di accesso ai mezzi di informazione.

Questo non significa che sia impossibile in Italia l’ingresso di nuove forze politiche in Parlamento, ma significa che questo può avvenire solo per forze politiche che, per una qualche ragione, o dispongono da subito del sostegno attivo di centinaia di migliaia di persone o dispongono ai molti soldi per pagarsi gli spazi sui mezzi di informazione o dispongono di un trattamento preferenziale da parte di chi gestisce i mezzi di informazione.

A molti tutto questo sembrerà normale, perché “siamo in Italia”, ma non è questo che avevano immaginato i padri costituenti per l’Italia.
E non è questo che succede in molti altri paesi democratici, nei quali le leggi dello Stato non pongono ostacoli ai cittadini che vogliano partecipare attivamente alla vita democratica del paese.

Per il momento non ci rimane che sperare che gli attuali parlamentari si prendano a cuore l’attuazione della Costituzione, modificando le attuali leggi elettorali non tanto per quanto riguarda un sistema maggioritario o proporzionale, ma per quanto riguarda il diritto dei cittadini, organizzati in eventuali nuovi partiti, di presentarsi alle elezioni senza eccessivi impedimenti.
E, forse, dovremmo imparare dai vicini svizzeri, che hanno il divieto costituzionale dai parlamentari di votare leggi su materie che li riguardino: leggi elettorali, retribuzioni, accesso ai mezzi di informazione, ecc. Queste leggi, per evitare conflitti di interesse, dovrebbero essere votate unicamente dal Popolo, tramite la Democrazia Diretta.

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