La City di Londra e l’unità d’Italia, la “Terra dei Rothschild”

di Davide Gionco

Il vero “motore” del Risorgimento italiano

Ci ricordiamo quando a scuola studiavamo il Risorgimento, con l’unificazione dell’Italia, passata nel giro di soli 11 anni (1859-1870) dalla situazione frammentaria definita durante il Congresso di Vienna?

alla situazione “unificata” del 1870, dopo la presa di Roma.

Tutti esaltati dietro all’epopea risorgimentale: l’ideologo sognatore Giuseppe Mazzini

il gran condottiero Giuseppe Garibaldi

il primo re d’Italia Vittoio Emanuele II

e infine lo stratega, il “politico” Camillo Benso conte di Cavour.

Però non ci hanno mai parlato del “motore” di tutta questa storia.
La materia prima per realizzare l’unità d’Italia fu qualcosa di molto più veniale degli epici valori risorgimentali: furono i soldi.
Tanti soldi, necessari a finanziare le campagne militari, per corrompere gli ufficiali degli stati da sottomettere e per assicurarsi il sostegno politico delle persone che contavano negli stati da annettere mediante i famosi “plebisciti”.
Soldi: soldi e debiti, tanti debiti.
Dietro a questi finanziamenti c’erano infatti delle banche, che avevano l’obiettivo di fare grandi affari dall’acquisizione di altri territori, con relative banche e con tutta la ricchezza prodotta dalla popolazione sottomessa al sistema.

Lo schema di azione delle banche era piuttosto semplice:
1) finanziare le attività militari e le opere pubbliche del regno di turno
2) indebitare il regno di turno, rinnovando sistematicamente il credito
3) il regno rimborsa i soli interessi sul debito, mentre la quota capitale viene ri-prestata al re, dietro particolari condizioni di ulteriori vantagi concessi ai banchieri
4) il pagamento degli interessi è garantito dalle tasse pagate dai sudditi del regno e costituisce la rendita permanente e sicura dei banchieri
5) il finanziamento di iniziative militari (o di altro genere, tipo i plebisciti) consente di aumentare i territori ed i cittadini sottomessi allo schema di azione.

Cavour fu effettivamente il “regista politico” che curò i rapporti fra il Regno di Sardegna e le banche, alimentando in denaro (con relkativo accumulo di debiti) le varie iniziative politico-militari che portarono all’unificazione italiana.

 

L’Italia ed i Rothschild

Negli anni successivi alle guerre napoleoniche l’Italia era nota negli ambienti della City di Londra come “La Terra dei Rothschild“.
Tre dei figli di Mayer Amschel Rothschild (1744-1812), il fondatore della nota dinastia di banchieri, erano i finanziatori “ufficiali” dei principali stati del territorio italiano.

Il Regno Lombardo-Veneto, con Milano, Venezia e Trieste, era sottomesso all’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, il cui principale finanziatore era il barone Salomon Mayer von Rothschild (1774-1855).

Suo fratello, il barone James Mayer von Rothschild (1792-1868) era il finanziatore principale del Granducato di Toscana.

Un altro fratello, il barone Calmann (Carl) Mayer von Rothschild (1788-1855), era il banchiere dei Borboni ed aveva carta bianca nel Regno delle Due Sicilie. E fu in seguito il fondatore dei Rothschild in Francia.

Il fratello maggiore della famiglia, Amschel Mayer von Rothschild (1773-1859) restò nella città di origine, Francoforte sul Meno, e si occupò di sviluppare gli affari in Germania, applicando lo stesso schema di azione all’unificazione tedesca.

Anche il Regno di Sardegna aveva contratto prestiti dalla famiglia Rothschild, ma non in modo esclusivo.
Cavour era un politico intelligente ed aveva capito che non avrebbe mai avuto il sostegno finanziario della famiglia Rothschild per annettere al Regno di Sardegna territori che erano già sotto il loro controllo finanziario.

 

Carlo Bombrini

Un primo personaggio interessante della storia finanziaria del Risorgimento fu Carlo Bombrini (1804-1882), genovese, amico di gioventù di Giuseppe Mazzini.

Bombrini era un banchiere particolarmente capace. Insieme al banchiere Bartolomeo Parodi costituì nel 1846 la Banca di Genova, una “banca nostrana”, che ottenne le “regie patenti” e che consentì a Bombrini di diventare amico personale di Cavour.
Nel 1847 i genovesi finanziarono la nascita della Banca di Torino, la quale fu poi fusa con la Banca di Genova per costituire nel 1849 la Banca Nazionale degli Stati Sardi. Una banca privata al servizio del Regno di Sardegna, che in qualche modo imitava in modo “nostrano” lo schema di potere dei Rothschild.
L’amicizia con Cavour proseguì fino al 1861, anno della morte del politico, quando la banca fu ridenominata Banca Nazionale del Regno d’Italia. Bombrini ne fu direttore fino alla sua morte nel 1882. La Banca Nazionale degli Stati Sardi si trasformò, dopo avere inglobato nel corso degli anni diverse banche locali, nella Banca d’Italia, costituita nel 1893.

In parallelo a questa storia bancaria ci sono i finanziamenti alla sfortunata Prima Guerra d’Indipendenza (1848-1849). i finanziamenti alla Seconda Guerra d’Indipendenza (1859) ed i finanziamenti della Terza Guerra d’Indipendenza (1866).
Ma ci sono anche i molti provvedimenti di stretta collaborazione fra la politica e Bombrini relativamente all’imposizione del corso forzoso, ovvero di emissioni di denaro non vincolate, per legge, alle riserve d’oro. Ad esempio nel Regio Decreto n. 2873 del 01.05.1866 la Banca Nazionale del Regno d’Italia fu obbligata a concedere un prestito allo Stato di 250 milioni al tasso dell’1,5%, chiedendo in cambio il riconoscimento del corso forzoso delle banconote emesse dalla banca stessa. Il tutto per finanziare la guerra contro l’Austria.

 

Gli Hambro

La madre di Cavour proveniva dalla famiglia De Sellon, una ricca famiglia di Ginevra, i cui beni erano amministrati dai De La Rüe, famiglia originaria delle Fiandre, che svolgeva attività finanziarie sulla piazza di Ginevra.
Cavour era quindi divenuto amico del banchiere svizzere Emile De La Rüe, che inviò per conto del re di Sardegna Vittorio Emanuele II in spedizione alla City, per prendere contatto con il banchieri emergente barone Carl Joachim Hambro (1807-1877), di origine danese.

Lo scopo era di convincerlo a concedere un prestito al Regno di Sardegna per quattro milioni di sterline. L’iniziativa ebbe successo e portò allînstaurazione di un rapporto stabile fra il Regno di Sardegna e la banca Hambro.
Precedentemente altre iniziative non avevano avuto lo stesso successo, ottenendo il rifiuto dei banchieri Baring Brothers “Nella City nessuno osa sfidare i Rothschild”.
Carl Joachim Hambro era una persona coraggiosa e trovò affascinante l’idea di sfidare i Rothschild in Italia, supportando i Savoia e puntando a sottrarre ai banchieri tedeschi territori e banche locali, secondo il noto schema di azione delle banche che finanziavano gli stati.
Hambro sottoscrisse il 10% del prestito ed emise obbligazioni all’85% del valore nominale.
L’iniziativa però non andò subito a buon fine, in quanto i Rothschild bloccarono l’emissione di obbligazioni Regno di Sardegna sul mercato finanziario di Amsterdam e di Bruxelles. Ci fu un rapido crollo delle quotazioni, tuttavia Hambro decise di affrontare il rischio e di attendere la risalita delle quotazioni, fino che fu superato il valore iniziale di emissione, garantendo il buon fine dell’operazione.
Re Vittorio Emanuele premiò Carl Joachim Hambro con la concessione del titolo di caveliere dell’Ordine di San Maurizio.

 

Gli inglesi

Cavour non era così potente da controllare tutto lo scacchiere italiano.
C’erano sempre gli interessi dei Rotschild in Veneto e nel Regno delle Due Sicilie.
A questi si aggiungevano gli interessi geopolitici degli Inglesi nel Mediterraneo, in vista dell’apertura del Canale di Suez (costruito fra il 1859 e il 1869) e le mire della massonerie inglese per distruggere lo Stato della Chiesa e il “cattolicissimo” alleato re delle Due Sicilie.
Fatto sta che furono fatti pervenire a Garibaldi ingenti finanziamenti, nonché un supporto militare esterno degli inglesi, per portare a buon fine la Campagna dei Mille.
I Savoia fecero buon viso a cattivo gioco, avendo tutti gli interessi ad impadronirsi delle casse del regno borbonico per ridurre l’esposizione debitoria delle banche di cui sopra.
Cavour dovette pragmaticamente prendere atto della situazione.
E morì prematuramente, a soli 51 anni.
Secondo lo storico Giovanni Fasanella, da documenti storici emergerebbero prove di un assassinio di Cavour da parte dei massoni inglesi o da parte dei Rothschild, che tanto potere avevano nella City di Londra.
Nella City nessuno osa sfidare i Rothschild” e neanche Cavour la poteva passare liscia.

 

Morale della storia: la funzione del debito pubblico

La “guida finanziaria” dell’unificazione dell’Italia portò ad assoggettare l’intero paese allo “schema di azione delle banche”.
La contrazione di un “debito del regno” nei confronti dei banchieri, finalizzato a finanziare l’unità d’Italia, portò alla nascita del debito pubblico, generato quasi sempre da prestiti in banconote emesse dalle banche stesse, spesso con minime coperture “legali” in oro.
I banchieri del XIX era in realtà degli abili prestigiatori della finanza, i quali insinuarono nello stato sabaudo, poi divenuto Regno d’Italia, i meccanismi di “moltiplicazione” del denaro, di cui il re aveva bisogno per ampliare le sue conquiste territoriali.
Le banche private diventarono così fondamentali per il funzionamento dello stato, da trasformare l’iniziale debito privato del re in un debito pubblico di tutti i cittadini ed al punto da trasformare un insieme di banche private nella Banca Nazionale del Regno d’Italia e poi nella successiva Banca d’Italia, parte integrante delle istituzioni pubbliche.
Il tutto garantendo costantemente le rendite ai banchieri ed ai loro ambienti, ora non più fornitori esterni, ma divenuti direttamente dei funzionari pubblici.
Le rendite erano costituite, come sempre, dagli interessi sul debito pubblico, denaro investito in gran parte da professionisti del mondo della finanza, con una rendita certa e garantita dal pagamento delle tasse da parte dei normali cittadini e dal loro lavoro.
Infatti anche quando il pagamento degli interessi era garantito dalla stampa di nuovo denaro, i rentiers lo potevano spendere per acquistare “gratuitamente” beni e servizi sul mercato, mentre tutti gli altri “normali cittadini” per avere del denaro dovevano lavorare per guadagnarlo.

Chi controllava la banca centrale, inoltre, aveva anche il potere di indirizzare l’economia del paese in una certa direzione.
La Banca d’Italia dal 1893 ad oggi ha passato vicende alterne, momenti di maggiore “indipendenza” dal governo, in cui poteva maggiormente curare gli interessi dei rentiers e momenti di maggiore “dipendenza” dal governo, in particolare durante il ventennio fascista, dove fu usata come strumento di controllo sul sistema bancario e sull’economia del paese, in particolare con la Legge Bancaria del 1936, con cui la Banca d’Italia diventò un istituto di diritto pubblico e di proprietà pubblica.
Sotto tale status la banca centrale italiana continuò ad operare in concertazione con i vari governi anche nel secondo dopoguerra, fino al famoso “divorzio” del 1981 fra Tesoro e Banca d’Italia, che rese la banca centrale nuovamente “indipendente” dalla politica e quindi libera di curare maggiormente gli interessi degli investitori finanziari.
Le ultime riforme significative sono state la riforma del Testo Unico Bancario del 1993, che ha ulteriormente liberalizzato il sistema bancario-finanziario e che ha sancito l’ingresso della Banca d’Italia nel Sistema Europeo delle Bance Centrali (SEBC).
Qualcosa di simile a quanto era avvenuto nel XIX secolo, con la progressiva concentrazione in poche mani del potere di emissione della moneta, non per unificare gli “staterelli” politici in unità statali più “serie” (come avvenne in Italia e in Germania), ma per estendere il potere dei banchieri su territori sempre più vasti, essendo chiaro che a comandare sono i banchieri, non i politici, non i re e meno che mai i popoli.

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