Joseph Stiglitz: come l’Italia potrebbe uscire dall’Eurozona

Abbiamo tradotto dal sito internet
https://www.politico.eu/article/opinion-italy-germany-how-to-exit-the-eurozone-euro-reform/
questo importante articolo pubblicato il 29/06/2018 dal premio nobel per l’economia Joseph Stiglitz.

Stiglitz spiega le ragioni per cui se i paesi dell’Eurozona non trovano un accordo per modificare radicalmente le regole di permanenza nell’euro, l’Italia avrebbe tutti gli interessi ad uscirne fuori.
Non “uscendo dall’euro”, ma emettendo una propria moneta parallela ad uso interno, che le consenta di sottrarsi delle assurde regole dell’Eurozona che forzano l’Italia ad una permanente condizione di sottosviluppo economico.

Una proposta del tutto simile viene portata avanti in Italia dagli economisti (Marco Cattaneo, Giovanni Zibordi, Gennaro Zezza, Stefano sylos Labini ed altri) che promuovono la proposta di Certificati di Credito Fiscale (CCF).

I problemi economici dell’Italia derivanti dalla permanenza nell’Eurozona non possono essere risolti in modo ideologico, ma solo prendendo coscienza dei meccanismi macroeconomici e con una sana dose di pragmatismo nei confronti dell’Unione Europea.
Buona lettura.


Qual è il modo migliore per lasciare l’euro? La questione è nuovamente sul tavolo dopo che un governo euroscettivo si è insediato in Italia. Certo, i ministri-chiave si sono impegnati a mantenere il paese nell’euro. Ma questa posizione non deve essere considerata immutabile. Deve essere considerata nel contesto della più ampia posizione di contrattazione italiana: il nuovo governo vuole mettere in chiaro che non si tratta solo di una eventualità. Preferirebbe stare nell’Eurozona, ma la intende cambiare.

I nuovi leader dell’Italia hanno ragione nel ritenere che l’Eurozona funziona male e necessita di una riforma. L’euro è difettoso fin dalla sua concezione. Per paesi come l’Italia sono stati eliminati due meccanismi fondamentali per il governo dell’economia: il controllo dei tassi di interesse e dei tassi di cambio. E invece di prevedere qualche cosa di sostitutivo hanno introdotto restrizioni sul debito pubblico e sul deficit, ponendo ulteriori ostacoli alla ripresa economica.

Il risultato per l’Eurozona è stato una crescita più lenta, soprattutto per i paesi più deboli al suo interno. L’euro avrebbe dovuto portare una maggiore prosperità, che a sua volta avrebbe portato a un rinnovato impegno per l’integrazione europea. In realtà ha ottenuto esattamente il contrario: un aumento delle divisioni all’interno dell’UE, in particolare tra paesi creditori e debitori.

Le divisioni conseguite hanno inoltre reso più difficile la risoluzione di altri problemi, in particolare della crisi migratoria, in cui le norme europee impongono un onere ingiusto ai paesi in prima linea più esposti all’arrivo di migranti, come la Grecia e l’Italia. Proprio i paesi che sono anche paesi debitori, già afflitti da difficoltà economiche. Non c’è da stupirsi che ne sia conseguita una ribellione.

Le resistenze tedesche

Ciò che si dovrebbe fare è ben conosciuto. Il problema è la riluttanza della Germania nel farlo.

L’Eurozona ha da tempo riconosciuto la necessità di un’unione bancaria. Ma Berlino ha insistito sul rinvio della riforma chiave: un’assicurazione comune sui depositi, che ridurrebbe la fuga di capitali dai paesi deboli. La fuga dei capitali è stato un fattore chiave per spiegare la profondità della crisi economica dei paesi più fragili.

Le politiche economiche interne della Germania aggravano i problemi della zona euro. La principale sfida economica da affrontare per dei paesi in un’unione monetaria è l’impossibilità di adeguare i tassi di cambio disallineati. Nell’Eurozona l’onere dell’adeguamento è attualmente imposto ai paesi debitori, che già soffrono di bassa crescita e reddito. Se la Germania avesse una politica fiscale e salariale più espansiva, parte della pressione verrebbe spostata da questi paesi.

Se la Germania non è disposta a prendersi carico delle decisioni fondamentali necessarie per migliorare il funzionamento dell’unione monetaria, dovrebbe fare la cosa migliore di tutte: lasciare l’Eurozona. Come dichiarato dal famoso da George Soros, la Germania dovrebbe guidare l’Eurozona o uscirne. Con la Germania (e forse altri paesi dell’Europa settentrionale) fuori dall’unione monetaria, il valore dell’euro si ridurrebbe e le esportazioni dell’Italia e di altri paesi dell’Europa meridionale aumenterebbero. La principale fonte di disallineamento scomparirebbe. Allo stesso tempo, l’aumento del tasso di cambio della Germania tornerebbe utile per curare uno degli aspetti più destabilizzanti dell’economia globale: lo squilibrio commerciale della Germania.

Perché uscire

Il guaio, naturalmente, è che la Germania si rifiuta ostinatamente di intraprendere uno dei due percorsi. Questo spinge i cittadini di paesi come Grecia ed Italia ad una scelta che non dovrebbero essere obbligati a fare: fra restare nell’Eurozona e la loro prosperità economica.

Un governo greco timido e inesperto scelse di rimanere nell’unione monetaria. Il risultato è stato la stagnazione economica. Nel 2015 il PIL del paese era crollato del 25 percento rispetto al livello precedente alla crisi. Da allora è risalito di pochissimo.

L’Italia ha l’opportunità di fare una scelta diversa. In assenza di riforme significative, i benefici per l’Italia di lasciare l’euro sono chiari, evidenti e considerevoli.

Un tasso di cambio più basso consentirà all’Italia di esportare di più. I consumatori sostituiranno le merci importate con merci italiane. I turisti troveranno il paese una destinazione ancora più attraente. Tutto ciò stimolerà la domanda e aumenterà le entrate del governo. La crescita aumenterà e l’alto tasso di disoccupazione in Italia (11,2%, con il 33,1% di disoccupazione giovanile) diminuirà.

Ci sono, naturalmente, molte altre cause del malessere dell’Italia, e queste saranno tutt’al più parzialmente risolte lasciando l’euro. Governi come quelli del presidente degli Stati Uniti Donald Trump o dell’ex primo ministro italiano Silvio Berlusconi, dominati da corrotti cercatori di rendite, senza comprendere delle vere basi per una crescita sostenibile a lungo termine, non forniscono la leadership politica necessaria per una crescita forte e sostenibile.

Nello stesso tempo, tuttavia, la crescita lenta ed ineguale che l’Italia ha vissuto come risultato dell’euro quasi sicuramente fornisce un terreno fertile per questi politici populisti.

Ci sarebbero ulteriori vantaggi politici. Un’Italia più prospera avrebbe maggiori probabilità di cooperare in altri settori chiave in cui l’Europa ha bisogno di lavorare insieme: migrazione, una forza di difesa europea, sanzioni contro la Russia, politica commerciale.

Le politiche commerciali o migratorie producono benefici per l’intero paese, ma ci sono anche dei perdenti e i vincoli fiscali imposti dall’Eurozona hanno reso quasi impossibile fornire una tutela adeguata a tutti i perdenti. Un’Italia al fuori dall’Eurozona sarebbe in una posizione migliore per condividere i benefici delle sue politiche internazionali, mitigando al contempo le negatività ad esse associate.

Come uscire dall’euro

La sfida, ovviamente, sarà trovare un modo per lasciare la zona euro che minimizzi i costi economici e politici. Una massiccia ristrutturazione del debito, fatta con attenzione, con particolare attenzione alle conseguenze per le istituzioni finanziarie nazionali, sarà essenziale. Senza una tale ristrutturazione, l’onere del debito denominato in euro salirebbe, compensando possibilmente gran parte dei potenziali guadagni.

Tali ristrutturazioni sono una componente normale di grandi svalutazioni. A volte viene fatto in modo silenzioso e oscuro, come quando gli Stati Uniti lasciarono il gold standard. A volte viene fatto più apertamente, come in Islanda e in Argentina, gridando alla scorrettezza dei debitori. Ma tali ristrutturazioni del debito dovrebbero essere viste come un rischio intrinseco degli investimenti internazionali, una delle ragioni per cui le obbligazioni “straniere” spesso offrono un tasso di interesse più alto a causa dei rischi.

Da un punto di vista economico la cosa più semplice da fare sarebbe che le entità italiane (governi, società e individui) ridenominino semplicemente i debiti dall’euro alla nuova lira. Tuttavia, a causa delle complessità giuridiche all’interno dell’UE e degli obblighi internazionali dell’Italia, potrebbe essere preferibile adottare una legge sul fallimento, come nel Capitolo 11 della Bankrupcy Basis, realizzando una rapida ristrutturazione del debito nei casi per cui rappresentasse un problema per la nuova valuta. Le leggi sulla bancarotta restano un’area di competenza di ciascuno degli stati nazionali dell’UE.

L’Italia potrebbe persino scegliere di non annunciare che sta lasciando l’euro. Potrebbe semplicemente emettere dei propri titoli scritturali (ad esempio titoli di stato) che dovrebbero essere accettati come pagamento per qualsiasi obbligo di debito in euro. Una diminuzione del valore di queste obbligazioni equivarrebbe a una svalutazione. Ciò ripristinerebbe allo stesso tempo l’efficacia della politica monetaria italiana: i cambiamenti nella politica della banca centrale inciderebbero sul valore delle obbligazioni.

Clamorose proteste

Naturalmente ci sarebbero clamorose proteste da parte degli altri membri della zona euro. Introdurre una moneta parallela, anche in modo informale, violerebbe quasi certamente le regole della zona euro e sarebbe certamente contro il suo spirito. Ma in questo modo l’Italia lascerebbe agli altri membri dell’Eurozona la decisione di espellerla.

Roma potrebbe correre il rischio che i membri irritabili dell’unione monetaria non adottino mai un’azione così drastica, poiché ciò confermerebbe la sfilacciamento della zona euro. A quel punto l’Italia avrebbe avuto la sua torta e l’avrebbe pure mangiata. Rimarrebbe parte della zona euro, realizzando nello stesso tempo una svalutazione.

E se l’Italia perdesse la scommessa, l’onere politico di metterla fuori dall’Eurozona ricadrebbe sui suoi “partner” europei. Sarebbero loro i responsabili del passo finale.

La Grecia è stata strangolata dalla Banca centrale europea. Ma questo non doveva avvenire. Atene era già ben avviata nella creazione dell’infrastruttura (un meccanismo di pagamento elettronico con la nuova dracma) che avrebbe facilitato una transizione dall’Eurozona.

I progressi tecnologici negli ultimi tre anni rendono la creazione di sistemi di moneta elettronica sempre più semplice ed efficace. Se l’Italia decidesse di usarne una, non avrebbe nemmeno dovuto affrontare le difficoltà di stampare nuova valuta.

L’Italia potrebbe anche ridurre i disagi della sua uscita se dovesse coordinare la sua uscita con altri paesi in una posizione simile.

Il gruppo eterogeneo di paesi che ora forma la zona euro è lontano da ciò che gli economisti chiamano un’area valutaria ottimale. Ci sono troppe diversità, troppe differenze, per farla funzionare senza gli indispensabili assetti istituzionali tipo quelli sui quali la Germania ha posto il veto.

Una zona euro meridionale sarebbe molto più vicina a un’area valutaria ottimale. E mentre sarebbe difficile organizzare una partenza coordinata in un breve periodo di tempo, se l’Italia riuscisse a uscire dall’euro con successo, quasi sicuramente altre nazioni la seguirebbero.

Costi e benefici

Certamente non dobbiamo sottovalutare i costi di una grande svalutazione. Qualsiasi grande cambiamento in un prezzo chiave in un’economia è una perturbazione significativa.

Il prezzo del cambio estero è, ovviamente, fondamentale in qualsiasi economia aperta. Ha effetti a catena sui prezzi di tutti i beni e servizi. Falliranno alcune aziende, forse molte. Alcuni, forse molti, vedranno la riduzione dei loro redditi reali.

Ma è altrettanto importante non sottovalutare i costi del malessere attuale in Italia. Se l’economia italiana avesse trascorso i 20 anni dalla creazione dell’euro crescendo al tasso di crescita medio dell’Eurozona nel suo insieme, il suo PIL oggi sarebbe del 18% più alto.

Il costo della disoccupazione persistente, specialmente tra i giovani, è enorme. I giovani tra i 20 ei 30 anni dovrebbero affinare le loro abilità nella formazione sul posto di lavoro. Invece, sono seduti a casa oziosi, molti di loro sviluppano un risentimento verso le élite e le istituzioni che incolpano per la loro situazione. La conseguente mancanza di formazione del capitale umano ridurrà anche la produttività per gli anni a venire.

In un mondo ideale, l’Italia non dovrebbe lasciare l’Eurozona. L’Europa potrebbe invece riformare l’unione valutaria e fornire una migliore protezione a coloro che sono danneggiati dal commercio e dalla migrazione.

Ma in assenza di un cambio di direzione da parte dell’UE nel suo insieme, l’Italia deve ricordare che ha un’alternativa alla stagnazione economica e che ci sono modi per lasciare la zona euro in cui i benefici probabilmente supererebbero i costi.

Se il nuovo governo italiano dovesse riuscire con successo in tale uscita, l’Italia starebbe meglio. E così il resto l’Europa.

Joseph Stiglitz è un economista premiato con il premio Nobel e un professore alla Columbia University. È l’autore di “L’euro: come una moneta comune minaccia il futuro dell’Europa” (W.W. Norton, 2016).

 

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