Il valore dello “spread” non è determinato dai mercati, ma dall’operato della BCE.

di Davide Gionco

Continuano a raccontarci che lo “spread”, ovvero il differenziale di rendita dei titoli di stato italiani rispetto ai bund tedeschi, ovvero quanto il governo deve pagare di interessi più di quello tedesco, sale in relazione alla fiducia dei mercati sull’operato del governo italiano.

In realtà questo non è vero.
E’ come sostenere che usciamo in strada mentre piove e ci bagniamo, la colpa è della pioggia e non di noi stessi che non abbiamo aperto l’ombrello per proteggerci.

La verità è che da sempre i mercati, facendo i propri interessi di rendita, reagiscono a seguito delle decisioni della politica.
Ma se lo spread sale a livelli eccessivi, non è corretto dare la responsabilità al governo, che fa il suo mestiere politico, senza ricordare a tutti che la Banca Centrale Europea, con il suo operato, ha tutti gli strumenti per impedire le variazioni dei tassi di interesse dei titoli di stato dei vari paesi dell’Eurozona.
Ovvero: se lo spread sale, è perché la BCE non ha aperto l’ombrello mentre pioveva. Oppure lo ha aprto solo per alcuni e non per altri.

La fiducia degli investitori determina la volontà di acquistare o vendere i titoli trattabili sui mercati. E queste variazioni, ovviamente, dovrebbero determinare delle variazioni dei tassi di interesse.

Tuttavia se nello stesso tempo la BCE opera acquistando illimitatamente tutti i titoli in vendita sul mercato (Mario Draghi: “Whatever it takes”), la domanda di titoli non può scendere.
E questo la BCE lo può fare, come dice Draghi, senza alcuna restrizione, in quanto la BCE il denaro necessario lo crea semplicemente pigiando i tasti di un computer.
Quindi la BCE ha tutte le possibilità di intervenire sui mercati dei titoli per mantenere stabili i tassi di interesse.

Se cala la fiducia dei mercati, calerà la quantità di titoli acquistati dai mercati ed aumenterà la quantità di titoli acquistati dalla BCE.
Se aumenta la fiducia dei mercati, aumenterà la quantità di titoli acquistati dai mercati e calerà la quantità di titoli acquistati dalla BCE.
Quindi è la BCE a determinare l’aumento dei tassi di interesse e dello spread ed è la BCE a permettere che siano solo i mercati, con i loro umori, a determinare lo spread, se decide di non intervenire.

Tecnicamente si definisce “compratore di ultima istanza”.
E’ quanto faceva la Banca d’Italia prima del 1981, quando vi fu il famoso “divorzio” con il Tesoro (protagonisti Andreatta e Ciampi).

Non a caso dopo il 1981, quando la Banca d’Italia cessò da operare come compratore di ultima istanza, i tassi di interesse sui titoli di stato furono determinati solo dai mercati e iniziarono a crescere troppo, più della crescita del PIL.

E questo portò all’esplosione dei tassi di interesse sui titoli e, quindi, anche del debito pubblico in Italia negli anni ’80.

La crescita incontrollata del debito pubblico fu interrotta solo a partire dagli anni ’90, con l’inizio delle politiche di austerità, che rispondevano alle richieste dei mercati.
Ovvero anziché riprendere il controllo dei tassi di interesse dei titoli, come sarebbe stato logico, si è ricorsi alla privatizzazione dei beni pubblici, all’aumento delle tasse, al taglio di servizi pubblici.
Questo per potere pagare gli interessi sul debito (superiori alla crescita del PIL), senza fare aumentare il debito.

Dopo le cure da cavallo di Mario Monti siamo sostanzialmente arrivati a toccare il fondo del barile.

Oramai non c’è quasi più nulla da privatizzare, mentre il livello di tassazione è tale da portare al fallimento delle imprese, alla perdita di possti di lavoro e all’emigrazione; e mentre gli eccessivi tagli alla spesa pubblica hanno portato ad un deperimento delle strutture e ad un aumento della mortalità (causa tagli nella sanità).

Ora i governi devono scegliere se continuare con le politiche di austerità oppure riprendere il controllo dei tassi di interesse, tramite interventi attivi di una banca pubblica sul mercato dei titoli di stato.

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