Il perseguimento dell’obiettivo di bilancio a medio termine di un saldo prossimo al pareggio o positivo contribuisce a creare condizioni favorevoli alla stabilità dei prezzi e ad una crescita vigorosa, sostenibile e promotrice di occupazione in tutti gli Stati membri?

di Davide Gionco

I giornali e gli elettori-tifosi contro l’attuale governo gongolano alla notizia della lettere di richiamo inviata al governo dalla Commissione Europea, che chiede al governo italiano spiegazioni sul mancato rispetto dei criteri stabiliti nel 2018 per la “riduzione del debito”.

Una prima osservazione: a livello macro-economico l’attuale governo non sta facendo né meglio né peggio dei governi che lo hanno preceduto.
Non sta sforando il limite del 3% di bilancio. Non sta riducendo il debito. Non sta riducendo sostanzialmente la disoccupazione che, a parte piccole variazioni, resta stabile intorno al 10,7% ufficiale. Non sta facendo crescere il Prodotto Interno Lordo. Non sta riducendo le tasse.
Sta operando in assoluta continuità con i governi precedenti, i quali -tutti- hanno rispettato le prescrizioni della Commissione Europea e i quali -tutti- hanno fallito negli obiettivi economici.
Le opposizioni avevano prima gioco facile a criticare i governi di prima, così come le opposizioni di oggi hanno gioco facile a criticare il governo di oggi.
Resta il fatto che tutti i nostri governi, di tutti gli italiani, da troppo tempo continuano a fallire tutti gli obiettivi di ripresa dell’economia, pur essendo stata l’Italia il paes che più di tutti fra i paesi occidentali ha realizzato continui attivi di bilancio primario (spesa pubblica al netto degli interessi sul debito).

Anzi: proprio per questo!
Non è un caso che l’economia italiana abbia cominciato ad andare male proprio a partire dai primi anni 1990, da quanto, aderendo al Trattato di Maastricht del 1992, il governo italiano iniziò a adottare “bilanci più rigorosi” (linea blu con bilancio primario superiore alla linea rossa del valore medio degli altri paesi occidentali).

La lettera di richiamo inviata al ministro delle finanze Giovanni Tria (cher Giovanni), a firma dei commissari Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici non è altro che un “atto dovuto”, in relazione ai poteri di controllo che il governo italiano, sottoscrivendo i vari trattati europei, ha ceduto alla Commissione Europea e in relazione al bilancio dello stato ed alle modalità di perseguimento degli obiettivi economici stabiliti dai trattati europei. Compresa l’alta discrezionalità decisionale che conferisce alla Commissione Europea il potere di imporre ad alcuni governi certe misure e ad altri governi no.

L’atto dovuto è l’invio di una lettera di richiamo ai governi che, oggettivamente, non rispettano i criteri richiesti.
La discrezionalità sta nella possibilità di comminare o meno sanzioni, ma ancora di più nel decidere la strategia che ogni governo dovrebbe mettere in atto per raggiungere gli obiettivi prefissati, passando al di sopra dei governi nazionali, dei parlamenti nazionali, di eventuali referendum (vedi Grecia) e senza alcun controllo del Parlamento Europeo.
I commissari europei Dombrovskis e Moscovici hanno il potere insindacabile di imporre decisioni sbagliate, che possono causare la perdita del lavoro per centinaia di migliaia di persone, che possono causare la mancanza di cure mediche accessibili per milioni di cittadini europei, senza rispondere a nessuno del loro operato.

Questo per quanto riguarda lo scarso grado di democrazia nelle decisioni prese.

Dal punto di vista della correttezza macroeconomica, le decisioni della Commissione Europea si fondano sui testi dei trattati.
Il Regolamento del Consiglio n. 1467/97 citato nella lettera cita testualmente:
il patto di stabilità e crescita ha per obiettivo l’equilibrio delle finanze pubbliche quale strumento per rafforzare le condizioni favorevoli
alla stabilità dei prezzi e ad una crescita vigorosa, sostenibile e promotrice di occupazione
“.
e aggiunge all’art. 7:
il perseguimento dell’obiettivo di bilancio a medio termine di un saldo prossimo al pareggio o positivo, che tutti gli Stati membri
hanno sottoscritto, contribuisce a creare condizioni favorevoli alla stabilità dei prezzi e ad una crescita vigorosa, sostenibile e promotrice di occupazione in tutti gli Stati membri, nonché permettere ad essi di affrontare le normali fluttuazioni cicliche mantenendo il disavanzo pubblico entro il valore di riferimento del 3 % del PIL

Mettiamo il caso che si dimostrasse che la teoria economica che correla l’equilibrio delle finanze pubbliche con la crescita economica fosse sbagliata.
(1) Ad esempio perché dopo 25 anni di attuazione nell’Unione Europea i dati dimostrano che i risultati ottenuti sono nei casi migliori una bassa crescita e nei casi peggiori (come l’Italia) danni all’economia del paese comparabili a quelli di una guerra.
(2) Ad esempio perché non esiste alcuna teoria economica che dimostri, numeri alla mano, che facendo pareggio di bilancio o addirittura attivo di bilancio si arrivi a ridurre il rapporto debito/PIL. Anzi, non esiste neppure una teoria economica che dimostri, numeri alla mano, che sia cosa utile per l’economia ridurre il debito in rapporto al PIL.
(3) Ad esempio perché esistono teorie economiche alternative a quelle inserite nei trattati europei (perché sceglierne alcune e scartarne altre?) che sostengono e dimostrano, numeri alla mano, che in situazioni di crisi economica la crescita economica la si può avere solo se i conti pubblici non sono in equilibrio ovvero se lo stato fa più deficit di bilancio per aumentare gli investimenti pubblici e far aumentare il PIL.

Se si arrivasse a dimostrare che le dottrine economiche scolpite sulle “tavole della legge” dei trattati europei sono sbagliate, sarebbe addirittura necessaria l’unanimità dei 27-28 governi per approvare un nuovo trattato che non contenga più gli errori di dottrina economica.
Un po’ come se avessimo inserito in costituzione che la terra è piatta e fosse necessaria l’unanimità di 27-28 governi per correggere il testo e riconoscere che è rotonda.

La realtà delle politiche economiche attuate dall’Italia negli ultimi 25 anni, in ottemperanza con l’attuazione dei parametri previsti dai vari trattati europei, ha dimostrato in modo del tutto evidente che sono proprio questi parametri, totalmente sbagliati e privi di senso (basti pensare che il limite del 3% al deficit/PIL è stato determinato a caso, secondo affermazione di chi lo propose per primo), a danneggiare gravemente l’economia italiana.

La lettera della Commissione Europea di questi giorni dovrebbe aiutare i nostri politici a fare un bagno di realtà, prendendo atto di quanto l’attuale Unione Europea sia distante dagli standard democratici tipici di una moderna democrazia occidentale e prendendo atto del fatto che le dottrine economiche neoliberiste adottate ed imposte dall’Unione Europea sono fortemente dannose per l’economia dell’Europa e, in particolare, dell’Italia.
Davvero è possibile pensare che si trovi l’unanimità di 27-28 governi nello scrivere dei nuovi trattati fondati su teorie economiche completamente diverse? Non si tratta di correggere qualche dettaglio dei trattati, ma di riscrivere di sana pianta tutti i trattati almeno dal 1992 ad oggi.
Nel caso in cui non si riuscisse a farlo, le conseguenze sarebbero ulteriori aumenti della disoccupazione, del numero di giovani che emigrano all’estero, ulteriori fallimenti di imprese, ulteriori tagli alla sanità ed allo stato sociale, e così via.

Ora non ci resta di augurarci che, finalmente, l’attuale governo abbia il coraggio di sottrarsi, anche unilateralmente, ai diktat di coloro che ci vogliono imporre delle “riforme” che danneggerebbero ulteriormente l’economia del nostro paese.

 

 

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