Il pensiero di Umberto Terracini e dei padri costituenti sul numero di parlamentari.

di Davide Gionco

Prossimamente andremo a votare per il referendum confermativo sulla riduzione del numero di parlamentari.
Per farci una idea più chiara su quale sia la scelta migliore, ai fini di salvaguardare la nostra Democrazia parlamentare, che significa che il Popolo è rappresentato dai parlamentari eletti, i quali votano le leggi e danno la fiducia al governo del paese, è interessante riprendere gli interventi si alcuni importanti esponenti dell’Assemblea Costituente, che risultarono decisivi nello stabilire il testo degli articoli 56 e 57 della Costituzione, quelli che sono oggetti della riforma referendaria.

Art. 56

La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto, in ragione di un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila.

Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.

Art. 57

Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale.
A ciascuna Regione è attribuito un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila.
Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sei. La Valle d’Aosta ha un solo senatore.

Già allora ci furono esponenti come il liberale Luigi Einaudi che ritenevano che il numero di deputati fosse un fattore irrilevante per la Democrazia, ma alla fine le argomentazioni di Umberto Terracini (presidente dell’Assemblea), di Palmiro Togliatti e di Mario Cevolotto risultarono convincenti per stabilire l’attuale numero di parlamentari eletti.

Oggetto delle discussioni era il rapporto fra numero di abitati e numero di deputati o di senatori eletti.
C’era chi proponeva un rapporto di un deputato ogni 150 mila abitanti e chi, come Terracini, proponeva un rapporto inferiore ovvero un numero maggiore di parlamentari.

Ecco due importati dichiarazioni di Umberto Terracini:

“L’affermazione secondo cui un migliore funzionamento della Camera sarebbe assicurato se questa fosse composta di pochi membri perda di vista l’esperienza. Oggi ad esempio, si ha una Camera di circa 560 membri; ma le forze effettive, i deputati che effettivamente contribuiscono al lavoro della stessa, rappresentano soltanto una percentuale.

Se si stabilisse che la prima Camera dovesse essere composta di 300 deputati, si creerebbe un’assemblea nella quale probabilmente solo 150 membri parteciperebbero veramente al lavoro legislativo. Infatti l’elezione dei deputati non è, in sostanza, che una prima scelta fatta dalla massa degli elettori; ma una seconda ne viene fatta in seguito, sulla base delle capacità rivelate da ogni eletto nel periodo del suo lavoro legislativo.

D’altra parte il numero dei componenti un’assemblea deve essere in certo senso proporzionato all’importanza che ha una nazione, sia dal punto di vista demografico, che da un punto di vista internazionale.”

Se nella Costituzione si stabilisse la elezione di un deputato per ogni 150 mila abitanti, ogni cittadino considererebbe questo atto di chirurgia come una manifestazione di sfiducia nell’ordinamento parlamentare.

Quanto all’osservazione fatta dall’onorevole Nobile circa l’alto costo di un’assemblea parlamentare numerosa, rileva che, se una nazione spende un miliardo in più per avere buone leggi, non si può dire che la spesa sia eccessiva, specie se le leggi saranno veramente buone ed anche se si consideri l’ammontare complessivo del bilancio in corso.

E’ interessante evidenziare come la principale motivazione di coloro che oggi intendono tagliare il numero dei parlamentari sia la sfiducia nell’ordinamento parlamentare. Ovvero: non serve a nulla avere tanti deputati, dato che non sono mai loro a decidere.
Ma se non sono i parlamentari a decidere, significa che abbiamo un grave problema di Democrazia, in quanto come popolo abbiamo perso il diritto di votare delle persone che ci rappresentano e che decidono negli interessi del popolo.
Riducendo il numero di parlamentari si conferma questa sfiducia, ma dobbiamo chiederci, essendo evidente che il problema centrale sta nel rapporto fra Parlamento, partiti e governo, se la riduzione del numero di parlamentari sia una misura che va nella direzione di una riconquista dei diritti democratici perduti o piuttosto nella direzione di una ulteriore cessione di potere decisionale dal Popolo ai poteri forti (partiti, poteri forti internazionali) che oggi impongono le loro decisioni al Parlamento.

A questo proposito sono interessanti le dichiarazioni di Palmiro Togliatti, al tempo indiscusso leader del Partito Comunista:

«Il nostro gruppo parlamentare voterà per la cifra più bassa. [ovvero per un numero più alto di parlamentari] E questo per due motivi. In primo perché una cifra troppo alta distacca troppo l’eletto dall’elettore, acquista la figura soltanto di rappresentante di un partito e non più di rappresentante di una massa vivente, che egli in qualche modo deve conoscere e con la quale deve avere rapporti personali e diretti

 

Un altro padre costituente, il meno famoso avvocato Mario Cevolotto, pose invece l’accento sullo stretto legame fra legge elettorale e numero di rappresentanti.
In Italia il concetto di irrilevanza del numero di parlamentari si è diffuso, confermato dai “fatti politici”, proprio da quando è stata messa mano alle leggi elettorali, prima con l’introduzione del sistema maggioritario (iniziative di Mario Segni) e poi con le leggi elettorali a lista bloccata e senza possibilità di esprimere preferenze per un candidato.

“Se noi facciamo le elezioni con il sistema proporzionale e riduciamo, come è nel proposito di molti, l’estensione dei collegi, diminuendo il numero dei deputati, la proporzionale non funziona più. Faccio presente questo inconveniente. Noi ci troveremo con collegi che avranno cinque o sei deputati soltanto, ed in questo caso la proporzionale non raggiungerà lo scopo di dare una rappresentanza a tutte le correnti politiche.”

 

In seguito il Parlamento ha modificato l’art. 57 della Costituzione nel 1963 e poi ancora nel 2001, eliminando la proporzionalità fissa del numero di eletti al numero di cittadini. Essendo nel frattempo aumentata la popolazione italiana, questa riforma ha in sostanza rappresentato già un allontanamento da quanto previsto dai padri costituenti.

La legge costituzionale 9 febbraio 1963, n. 2 ha modificato l’articolo in:

La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto.
Il numero dei deputati è di seicentotrenta.
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.

La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per seicentotrenta e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

La legge costituzionale 23 gennaio 2001, n. 1 ha modificato l’articolo in:

La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto.
Il numero dei deputati è di seicentotrenta, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero.
Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età.

La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti.

Coloro che, già nell’Assemblea Costituente, sostenevano la necessità di avere un numero ridotto di parlamentari, così come altri lo sostengono oggi, vedono come prioritaria la “capacità di decidere”, cosa che è certamente più facile da fare in un parlamento con un numero inferiore di deputati.
Coloro che, già nell’Assemblea Costituente, sostenevano la necessità di avere un numero maggiore di parlamentari, vedono invece come centrale la funzione di rappresentanza dei cittadini.
Rappresentare non significa solo “esprimere un voto in Parlamento in modo proporzionale ai voti ricevuti dagli elettori” ma significa prima di tutto saper ascoltare gli elettori, per comprendere i loro bisogni e riportarli nelle discussioni e decisioni parlamentari.
Se la necessità fosse solo quella di decidere, infatti, sarebbe ancora più facile farlo riducendo ulteriormente il numero di parlamentari, magari a 40 membri, 2 per regione.
Se, invece, la necessità è quella di ascoltare i cittadini, allora è certamente più facile farlo disponendo di un numero maggiore di parlamentari.
Ovviamente se i parlamentari votano in Parlamento non sulla base dei bisogni degli elettori, ma delle decisioni del capo di partito, è assolutamente indifferente avere 945 parlamentari, 600 o 40.
Tutto dipende dal livello di Democrazia e di rappresentanza che desideriamo avere in Italia.
C’è chi ricerca l’uomo forte al comando che risolve tutti i problemi (Il Berlusconi del “faso tuto mi”). Per queste persone è probabilmente indifferente avere pochi o moti parlamentari.
E c’è chi vede il Parlamento come un luogo di rappresentanza, dove i parlamentari diventano i portavoce dei cittadini. Da questo punto di vista: “meno portavoce” è uguale a “meno voce” per i cittadini.
Che cosa desideriamo per il futuro dell’Italia?

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