Il comportamento criminale: il liberalismo e il complesso del Dio minore.

di Alberto Marabini

Nell’articolo 4 della Costituzione c’è scritto che “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società.

È chiaro che nel nel paese che vorrei questa non è una simpatica regola fumosa e facile da aggirare, ma una legge chiara e irremovibile: per me i nostri Padri Costituenti intendevano dire precisamente che il paese ti appartiene e sei abilitato a prenderne la responsabilità solo nella misura in cui hai fatto qualcosa per contribuire al suo progresso civile e morale.

Adesso non vorrei mettermi in una discussione troppo complessa sul comportamento asociale, ma è un fatto accertato che il tipico atteggiamento del criminale è costitutivamente diverso da quello della media delle persone: il criminale agisce solo in funzione di se stesso e per farlo è prontissimo anche ad andare a detrimento della società, delle persone che lo circondano e della propria famiglia.

Di più: è uno scaltrissimo manipolatore (o spesso uno che si crede tale), attaccato come un ossesso alla propria esistenza che, quando non è impegnato a doversi coprire le tracce, usa il suo tempo principalmente per costruirsi la sua gabbia narcisista di cui egli è il dio minore.

Gabbia in cui la gente di cui “compra” l’amore e il rispetto e a cui è attaccato in modo irrimediabilmente parassitario, dipende da lui, lo guarda ammirata, pende dalle sue labbra e lui ci può giocare come meglio gli aggrada.

Il criminale vero vive di questa specie di complesso da semidio. Per lui il progresso morale e civile della società è subordinato al proprio livello di fama, tornaconto e immunità personale.

Qualsiasi cosa che non rientra  nel suo individualismo ostinato è vista alternativamente con invidia e sottomissione (vedi il provincialismo nel rapporto delle nostre classi dirigenti con l’Europa), terrore o indifferenza.

La gente “normale”, per contro, nutre nei confronti del comportamento di queste persone una incomprensione straordinaria. Anche quando intrappolata nelle maglie di ferro del sadismo di questa gente, percorrerà le strade più impervie per giustificarla, perché il fatto che qualcuno si comporti in questa maniera è semplicemente una sfida ad ogni buon senso.

E in effetti è vero: quasi come fosse una deviazione evoluzionistica è un comportamento distruttivo che contraddice ogni forma di logica, ma ciononostante è una deviazione pienamente accettata nella nostra società, base stessa del neoliberalismo moderno e, in passato, dello strapotere della politica e del capitalismo industriale.

A questo punto non mi chiedo neppure cosa sia venuto prima, se il liberalismo o questa passione ignobile,  ma certamente è una passione con cui la nostra civiltà non può più convivere: la fuori fra le lugubri risacche di una umanità piagata dalla povertà e dalla sovrapposizione, questa gente miete vittime senza ritegno.

Il liberalismo ha significato il soffocamento degli esseri umani e delle loro potenzialità personali, della libertà di poterle esprimere e, attraverso di esse, creare la propria indipendenza e anche solo di pensare di divenire quello che vuole essere.

Come abbiamo visto, per la nostra costituzione essere liberi di essere se stessi era più di un’eventuale e spesso remota possibilità: era un obbligo morale del cittadino e anche dello Stato che avrebbe dovuto (Art 3) “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana […] ”, altro articolo fra i più disattesi.

A un certo punto tutti dovremo chiederci, forse anche con un coraggio maggiore di quello che ebbero i nostri Padri Costituenti, che posto possa avere il liberalismo sia dal punto di vista economico che da quello morale e civile nel futuro del nostro Paese.

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