Il complesso di Edipo e la negazione della dignità individuale ovvero le basi psicologiche della tirannide in Italia

Di Alberto Marabini

Una mia amica si vanta sempre delle virtù dell’educazione borghese impartitale da suo padre che a fronte di 4 sganassoni ben assestati le ha insegnato che nella vita “poche pippe e pedalare”.

Non posso darle torto ma credo che educare un figlio sia una responsabilità tremenda perché se da una parte un genitore deve essere in grado di usare la propria autorità per insegnare qualche sano principio, dall’altra bisogna essere in grado di non abusarne e avere chiaro che per fare di un figlio un’individuo maturo bisogna essere in grado di impartire allo stesso qualche misura di autorispetto e di capacità di autodifesa della propria dignità personale.

Il rischio altrimenti è quello di creare individui che, di fronte alla propria incapacità di comprendere le ragioni di una supposta autorità e della sua violenza, l’accettino in modo supino proprio come accade a troppi italiani. Italiani la cui leggendaria anarchia poi diventa non tanto quella dettata dal proprio autorispetto individuale, ma quella dell’incapacità di autoimporsi un autorità collettiva diversa da quella imposta dallo Stato, dalla connivenza fra mafia, industria e finanza e dalla loro violenza.

E non solo dallo Stato.

Ci sono molti motivi per cui gli italiani se ne vanno dal proprio paese (8 milioni secondo il Consiglio Generale degli Italiani all’Estero) verso lidi dove culturalmente i diritti della dignità dell’individuo vengono molto più rispettati: se uno è senz’altro la mancanza di lavoro e di possibilità economiche, l’altro è il rifiuto di abbassarsi ad accettare l’autoritarismo dei datori di lavoro nostrani che i loro “4 sganassoni sui figli” li usano non per insegnare buoni principi, ma per schiavizzarli.

Il figlio di fronte al padre violento si pone una domanda lacerante: perché lo fa? Quando il genitore utilizza tale violenza a scopo sinceramente educativo la risposta è chiara (“ho rubato i soldi dal portafoglio di papà”, “ho mancato di rispetto alla mia mamma”). Quando lo fa in maniera arbitraria, spesso in modo da imporre il proprio ego e i propri interessi (“Si fa così perché lo dico io”, dice il bullo. “E tu sei un povero cretino che non capisce nulla, quindi obbedisci”), allora questa domanda farcita di dubbio, sensi di colpa e di inadeguatezza, rimane lì senza risposta, sospesa in aria.

Spesso per anni, per esistenze intere. Per l’umana incapacità dei nostri cittadini di venire a patti con la propria debolezza (spesso per quella sensibilità che ci è innata e che ci porta a ostinarci a non vedere nel bullo l’avanzo di galera) anche quando la spiegazione a quella violenza è lì solo ad un passo dal farsi chiara.

La negazione della dignità dei nostri cittadini in tutti gli ambiti della propria vita è la migliore spiegazione del fallimento esistenziale del nostro Paese.

E se questo è vero per il nostro popolo lo è a maggior ragione per le nostre classi dirigenti che, ottusamente perse nei loro sensi di inferiorità provinciale atavici verso le élites degli altri paesi, hanno accettato nei confronti del nostro qualsiasi imposizione esterna.

Come se ne esce? Non lo so. Forse l’unico modo per entrare a fare parte della resistenza è ricordandoci queste cose reciprocamente.

Auto-organizzarci nella clandestinità di questo ostinato rispetto per sé stessi e per gli altri.

Finché il giorno della rivolta, quella vera, non arriverà e ai bulli una buona volta taglieremo la testa e faremo dell’Italia un paese più brillante del Regno Unito.

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