I DIRITTI UMANI E LO STATO DELLA CIVILTÀ Articolo 5. Nessun trattamento inumano

Per chi preferisce ascoltare, qui la versione AUDIO dell’articolo dal podcast relativo, qui la presentazione della serie audio

 

Dopo l’Art. 4 relativo alla schiavitù/servitù abbiamo giustamente questo:

Articolo 5

Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a trattamento o a punizione crudeli, inumani o degradanti.

Questo articolo tende chiaramente a proteggere ogni individuo da vessazioni violente e disumane.

Rispetto al tema delle vessazioni la Convenzione contro la tortura del 1984 precisa: “…inflitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o col suo consenso espresso o tacito.”

I soggetti che potrebbero compiere tali violazioni appartengono quindi, a vario titolo, a forze di polizia o similari; stiamo insomma parlando del personale che amministra la giustizia e che dovrebbe proteggere, indipendentemente da altre considerazioni, la dignità e l’integrità di ogni cittadino.

Questo articolo vuole proteggere ogni uomo da atti e trattamenti violenti e degradanti, perpetrati con “autorità”.

Ogni cittadino che finisce nelle mani della giustizia dovrebbe sentirsi finalmente e definitivamente protetto in ogni frangente, non vessato da autorità che dovrebbero agire anche per la sua sicurezza.

Per ristabilire una seria etica fra chi amministra la giustizia e fra chi a vario titolo è “espressione politica ed amministrativa” della società civile, si dovrebbero determinare delle serie aggravanti per qualsiasi reato compiuto da soggetti nell’esercizio delle loro funzioni, che sono in buona sostanza al servizio della comunità stessa.

L’etica che scaturisce da questo articolo dovrebbe perciò impedire il formarsi di istanze autoritarie e dovrebbe mettere in guardia da “temporanee” sospensioni dello Stato di diritto indipendentemente da come siano giustificate, come ad esempio il “Patriot Act” americano per la cosiddetta “guerra al terrore”.

Non c’è peggior terrore di quello in cui uno Stato di diritto nega le conquiste civili regalando diritti e libertà dei suoi cittadini alle istanze populiste ed estremiste.

Questo è, di fatto, un sistema di controllo ormai ampiamente collaudato con cui le forze politiche di ogni orientamento, spalleggiate dai media, creano il sostegno al loro “sistema” nelle regioni più basse delle emozioni dell’uomo.

La prima sconfitta contro il “terrorismo” o contro qualsiasi ingiustizia è quella di ammettere che non si possono sconfiggere rimanendo fedeli ai diritti umani.

Gli stati che violano costantemente i diritti dell’uomo, anche se in maniera apparentemente legale e con la pretesa di “esportare democrazia” sono, a ben vedere, i maggiori responsabili del caos internazionale su cui speculano ogni genere di “trafficanti”: i peggiori sono la maggior parte dei media, la finanza, i produttori di armi e droga, tutti dei veri e propri “mercanti di caos”.

Tutto questo per dire che non c’è ragione nell’avallare comportamenti istituzionali violenti o caotici, se vogliamo difendere veramente la nostra civiltà del diritto.

Veniamo ora alle punizioni ed ai trattamenti crudeli, inumani o degradanti.

La pena di morte dovrebbe essere inammissibile nell’ottica dei diritti umani: la crudeltà perpetrata con la morte non è diversa da quella che l’autorità si arroga per punirla.

Idem per l’ergastolo, che implicitamente stabilisce l’impossibilità di redenzione da parte del reo, bloccando di fatto la sua vita e la sua dignità al momento del crimine.

Anche un regime di detenzione effettuato in condizioni degradanti ed in cui il carcerato non abbia la possibilità di ripristinare la sua integrità viola il diritto umano in questione: lo si condanna non solo all’esclusione dalla società ma si ferma la sua vita al reato commesso e lo si uccide umiliandolo giorno dopo giorno.

Tutti gli esperimenti alternativi alla semplice reclusione dimostrano che il condannato può “redimere” se stesso se gli si dà la possibilità di contribuire alla comunità che ha danneggiato, favorendo la sua responsabilizzazione tramite il lavoro, il suo apporto, tramite lo studio ed il conseguente miglioramento; per non parlare della quasi totale eliminazione del ritorno al crimine di chi inserito in percorsi più umani di questo tipo.

Un aspetto particolare del problema l’abbiamo con l’immigrazione e con l’istituzione di campi profughi, spesso fatti diventare delle vere e proprie galere con condizioni di vita indegne di Paesi civili.

Qualsiasi cosa si possa pensare del fenomeno immigrazione, dal momento in cui si salva una vita la si deve inserire in un percorso dignitoso di futuro e di “scambio” verso la comunità che lo assiste o da cui vuole essere accettato.

Veniamo ora ad un aspetto particolare relativo ai trattamenti inumani, crudeli e degradanti: quello relativo alla psichiatria “istituzionalizzante”, su cui ho messo più volte l’attenzione in relazione ad altri diritti.

L’operato psichiatrico è da sempre oggetto di attenzione da parte di chi ha a cuore i diritti umani dei più deboli: infatti, ha accumulato una quantità gigantesca di denunce per violazioni di ordine deontologico e dei diritti umani dei “pazienti”.

Oltre a ciò dobbiamo tener sempre presente una questione più generale, di ordine culturale, etico, scientifico e deontologico che la politica e la giurisprudenza stentano a prendere in considerazione.

Il problema è che le “scienze” con il prefisso “psico” hanno, a ben vedere, seri problemi di natura teorica, filosofica e scientifica, soprattutto quando pretendono di individuare una sede fisica per i problemi dell’uomo e si arrogano il diritto di governare chimicamente tale ambito.

A meno che non si stia parlando di lesioni o malformazioni cerebrali di ordine fisico, non si può non tener conto del fatto che le problematiche del piano emotivo e mentale hanno origine, in buona sostanza, in quattro ambiti, che spesso si combinano fra loro.

Ambiti che niente hanno a che fare con la chimica del cervello, se non di riflesso: quello degli accadimenti negativi della vita, quello relativo alla risposta del corpo ad agenti fisici e chimici di varia natura, anche alimentari, quello derivante da particolari stili di vita della persona e, soprattutto, quello delle relazioni umane del soggetto.

Anche se minoritaria, la denuncia di mancanza di scientificità in relazione all’approccio chimico per questi problemi non si può non prendere in considerazione.

Oltre a questo, si dovrebbe anche tener conto delle pratiche aberranti, violente e coercitive della storia psichiatrica, per giungere alla necessaria conclusione: la psichiatria istituzionalizzante è, di fatto, una manovra “laica” di repressione del “diverso”, che un tempo sarebbe stato fermato brutalmente.

La storia e le inchieste dei comitati per la difesa dei diritti umani nel campo del “mentale” hanno ormai ampiamente dimostrato che la psichiatrizzazione è responsabile di terribili pratiche contro la dignità umana.

Pratiche permesse da una complice e cieca “protezione” culturale e “politica” da una parte del mondo della cultura e da una giurisprudenza che sembra non aver compreso tutto ciò o fatto finta di non capire i veri problemi in gioco, forse per problemi di ordine culturale, ideologico o per semplice “comodità”.

Le sospensioni del diritto e della dignità umana nei Trattamenti Sanitari Obbligatori gridano giustizia ed una legge più civile ed umanista, ispirata dalle istanze più alte di aiuto e comprensione.

Una nuova politica ispirata ai diritti umani è quindi necessaria, per riformare le modalità con cui la società civile può occuparsi di quei soggetti la cui forza ed integrità mentali vengono meno.

Credo che a questo proposito  sia opportuno verificare la possibilità di dover correggere l’articolo 32 della Costituzione italiana che lascia troppa libertà di nuocere a determinati soggetti.

Una politica ispirata dai diritti umani dovrebbe sostenere con convinzione l’appello formulato dal Comitato sui Diritti delle Persone con Disabilità ad abbandonare l’uso della coercizione psichiatrica.

La coercizione è stigmatizzata anche dall’ultimo rapporto sul contenimento del marzo 2016 di Human Rights Watch, ispirato dal recente comunicato della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità.

Per quanto detto sinora, ritengo che il ruolo degli operatori del settore necessiti di urgente revisione, soprattutto per quanto riguarda l’ambito pubblico.

Penso che la salvaguardia dei diritti e della deontologia in questo campo debba portare alla progettazione di un nuovo percorso di studio per una figura alternativa allo psichiatra: una figura che dovrebbe sviluppare una competenza interdisciplinare che includa il completo ventaglio di risposte mediche, anche alternative, alimentari, comportamentali e culturali, ed operare con lo spirito umanistico e non violento proprio della deontologia medica.

Rivendichiamo senza riserve la dignità di ogni essere umano e fermiamo i trattamenti inumani!

 

Massimo Franceschini, 1 dicembre 2017

Questo il bellissimo video relativo all’Art. 5 dell’associazione no-profit: “Gioventù per i Diritti Umani

il mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani

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