I DIRITTI UMANI E LO STATO DELLA CIVILTÀ Articolo 15. Per una cittadinanza responsabile

Per chi preferisce ascoltare, qui la versione AUDIO dell’articolo dal podcast relativo, qui la presentazione della serie audio

 

Ciao, eccoci al nuovo articolo della serie-commento alla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, riguardante il terzo punto che consecutivamente si occupa della questione relativa alla convivenza fra persone di diverse nazionalità. Gli altri due riguardavano la libertà di movimento e il diritto d’asilo, vediamone il testo. 

Articolo 15

1. Ogni individuo ha diritto ad una cittadinanza.

2. Nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza.

Questo articolo sancisce il fatto che ad ogni individuo devono essere riconosciuti diritti civili, politici e l’insieme di diritti, doveri e comportamenti ritenuti consoni, come espressi nella legge della comunità in cui è nato o da cui ha ottenuto cittadinanza.

La Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo mette questo diritto successivamente, ad esempio, all’Art. 6 relativo alla personalità giuridica – in precedenza commentato qui – che a sua volta è preceduto da articoli ancora più fondamentali sulla dignità e libertà nella responsabilità di ogni persona.

Questo significa che la legge che regola la nostra cittadinanza, cioè il rapporto con lo Stato di cui facciamo parte, non dovrebbe contraddire i principi universali che stiamo trattando e che appartengono ad ogni individuo in quanto tale.

Se consideriamo lo spirito etico dei diritti umani non possiamo non vedere che tutti gli uomini appartengono, virtualmente, ad una comunità globale in cui il riconoscimento dei diritti universali è, di fatto, il collante dell’umanità intera, pur se divisa in diverse cittadinanze nazionali.

Il diritto alla cittadinanza può anche essere “guadagnato”, qualora si sia in condizioni di apolidia, o se residenti in uno Stato diverso da quello ove si ha la cittadinanza, o di cui non si vuole più essere cittadini.

Questo tema è diventato assai spinoso negli ultimi anni, a causa del fenomeno migratorio di massa.

Migranti, rifugiati, profughi e sfollati cercano di trovare condizioni migliori di vita o di garantirsi sopravvivenza fuori dalle terre di nascita.

Se ciò è comprensibile ed in ogni caso rispettabile, tralasciando ora i vari interessi strategico-economici sottostanti l’immigrazione di massa ed i reati non “politici” commessi dai singoli nei paesi di provenienza, si deve essere consapevoli di almeno due fattori.

Il primo riguarda la politica internazionale in cui siamo immersi e di cui siamo attori: i diritti umani pretendono che ogni Paese operi per la pace mondiale, quindi, per attuarli veramente ogni nazione dovrebbe cessare immediatamente guerre, vendite di armi e interferenze politico-militari.

Il secondo riguarda la necessità, da parte di ogni Stato sovrano, di regolare in qualche modo l’ammissione a questo diritto, continuando sempre e comunque a garantire ad ogni individuo tutte le protezioni e diritti inerenti la sua dignità e sicurezza.

Tale necessità è data dalla responsabilità che ha lo Stato di evitare condizioni di disordine socio-politico, che si potrebbero creare permettendo sacche di virtuale extra-territorialità per comunità che, di fatto, non si è stati capaci di integrare o che, addirittura, rifiutano l’integrazione pur pretendendo di rimanere sul territorio.

Indipendentemente da considerazioni di altra natura sull’odierna immigrazione di massa, espresse nei due precedenti articoli, possiamo affermare che in tema di diritto alla cittadinanza è certamente indispensabile un’integrazione  progettata per evitare fenomeni di “rigetto”, più o meno razionali ma spesso inevitabili.

Ciò si può ottenere soltanto sottoponendo chi vuol essere cittadino all’acquisizione certa e verificata  ed all’accettazione pratica dei principi cardine del nostro sistema di vita.

Tali principi sono, ovviamente, i diritti umani e la Costituzione che li incarna.

Quindi, non è solo una questione di leggi o di “usi e costumi” che gli stranieri dovrebbero accettare e rispettare: sto parlando dei nostri presupposti umanistici, etici e laici su cui si basa la Civiltà Occidentale.

La potenziale pluralità della nostra civiltà è data dal rispetto delle culture e dalla possibilità di una loro pacifica e proficua convivenza, permessa appunto dai diritti umani.

Rispetto e convivenza non significano mai annullamento, come quello stupidamente attuato in alcuni casi con la giustificazione di “non offendere”, per delle usanze religiose o di altro tipo che niente hanno di offensivo nei riguardi delle altre etnie presenti nel nostro Paese.

Credo si debba necessariamente affermare la seguente posizione: se una semplice usanza o rito di una comunità risultasse offensiva, senza una visibile e diretta ragione, il problema dovrebbe essere esclusivamente a carico di chi si sentirebbe “offeso”.

Sarebbe la prova della sua “incapacità” culturale, un campanello di allarme tale da dover giustificare più di un’attenzione sulla possibilità di una sua potenziale integrazione.

Altro discorso collegato, oggi necessario, è quello della “reciprocità”: la nostra civiltà è caratterizzata dal fatto che pone alla base della sua “natura” il riconoscere ad ogni persona dei diritti inalienabili anche di fronte, e direi a maggior ragione, all’eventuale non rispetto di tali diritti da parte dei paesi da cui provengono migranti e richiedenti asilo.

La questione della reciprocità fra nazioni andrebbe quindi rigettata e denunciata come un tentativo di giustificare politiche intolleranti e divisive della società civile, politiche populiste sempre adatte per sviare l’attenzione dai veri problemi che investono le comunità, oggi in mano ad un sistema che le svuota di ogni sovranità.

In conclusione possiamo affermare quanto segue: dare una cittadinanza a chi ne è sprovvisto o concedergli il diritto di cambiarla è un segno di civiltà e rispetto di ogni individuo.

Possiamo però affermare, senza entrare in contraddizione, che sarebbe un grave errore dare cittadinanza a chi non veramente intenzionato o capace di vivere in sintonia con una diversa cultura che di fatto non lo esclude, non ne minaccia direttamente i “tratti culturali”.

Dare cittadinanza a chi incapace di integrarsi od a chi potrebbe addirittura sentirsi “obbligato” a contrastare la cultura e la vita di chi lo accoglie, è un grave errore che può causare la destabilizzazione del corpo sociale.

Oltre a quanto sin qui detto, non dobbiamo mai dimenticare il fatto che la perenne instabilità odierna è anche accentuata dall’azione irresponsabile dei media: invece di informare e svolgere un’azione culturale creativa al servizio della comunità si sentono spesso in dovere di aumentare l’audience soffiando sul fuoco delle divisioni, fomentando quel caos sociale da cui traggono lavoro e potere.

La risposta per tutte le questioni riguardanti la convivenza fra individui di diverse culture ed etnie è solamente nella conoscenza, nel rispetto e nell’attuazione dei diritti umani per tutti.

 

Massimo Franceschini,  21 marzo 2018

Questo il bellissimo video relativo all’Art. 15 dell’associazione no-profit: “Gioventù per i Diritti Umani

il mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani

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