I DIRITTI UMANI E LO STATO DELLA CIVILTÀ Articolo 13. Nessuno è clandestino in uno Stato di diritto

Per chi preferisce ascoltare, qui la versione AUDIO dell’articolo dal podcast relativo, qui la presentazione della serie audio

 

Con questo articolo 13 iniziamo ad addentrarci nello spinoso problema della convivenza fra diverse etnie e nazionalità; un problema dalle molte sfaccettature, oggetto anche dei 2 successivi articoli della Dichiarazione Universale.

Questo è un tema molto caldo perché usato dalla politica in vari modi, a seconda delle convenienze tattico-ellettorali, cosa della quale il nostro Paese è splendido esempio.

Veniamo al testo del primo articolo che si occupa della questione, il tredicesimo dei 30 diritti.

Articolo 13

1. Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato.

2. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese.

Credo occorra essere netti e decisi, onde togliere ogni spazio a “ragionamenti” o pulsioni che non tengono conto del complesso dei diritti umani e del diritto di ogni individuo alla sua dignità e libertà di movimento.

La logica e l’etica dei diritti umani ci dicono che in assenza di un crimine sottostante, quindi della situazione in cui la persona stia fuggendo dalle conseguenze di una sua azione criminosa, nessuno dovrebbe essere considerato “clandestino” per il solo fatto di non riuscire a spostarsi secondo rotte regolari perché impossibilitato da fattori politici e socio-economici.

Violando questo principio ci troviamo ad avere un immigrato “irregolare” che però non avrebbe motivo di nascondersi per reati pregressi: il vero problema sta nel fatto, come spesso accade anche in Italia, che si ostacola la sua regolarizzazione con un insieme di norme, trascuratezze ed inefficienze che gli impediscono di legalizzare la sua posizione, “spingendolo” quindi nella clandestinità.

Nei crimini suddetti non vi devono essere considerati, ovviamente, comportamenti che il Paese di provenienza considera tali in base ad un restringimento dei diritti umani e politici.

Se vediamo le definizioni di termini come “migrante”, “profugo”, “migrante economico”, “rifugiato”, “rifugiato-politico/economico”, “richiedente asilo” e “apolide” vediamo che descrivono situazioni che, pur avendo ognuna una distinta definizione, nella realtà si presentano in modo assai più “sfumato” in quanto le persone possono rientrare in più di una categoria, cosa che può anche dipendere dal tipo di legislazione del paese di arrivo.

In base a quanto detto ed in assenza di un “nascondersi” sono quindi due le situazioni problematiche: il contesto politico-amministrativo del paese di provenienza che impedisce al migrante/profugo di avere i necessari documenti per spostarsi secondo percorsi ordinari di viaggio, e la legge del paese di arrivo che può in vari modi impedire, ritardare, osteggiare o non attuare pienamente il diritto della persona ad essere legalmente dove vuole essere.

Oltre a quanto appena affermato si deve considerare, certamente, il diritto dello Stato di arrivo di regolare e gestire la posizione del nuovo arrivato onde far sì che la sua permanenza abbia un carattere di inserimento “armonioso” nella comunità, temporanea o prolungata che sia.

Se il migrante, il rifugiato o il profugo non ha documenti è pur sempre un essere umano che ha diritto a spostarsi e ad essere riconosciuto nell’interezza dei suoi diritti.

Altra cosa l’abbiamo, come vedremo per gli articoli successivi, per la questione di cosa fare in presenza di migrazioni di massa: un “da farsi” che però non può “costruirsi” tradendo il diritto individuale a spostarsi ed a mantenere in ogni luogo i propri diritti universali.

Se siamo d’accordo con queste premesse vediamo immediatamente che ogni polemica proviene da pulsioni ideologiche, razziste e xenofobe più o meno dichiarate, oppure da paure fomentate ad arte dalla politica ed amplificate dai media per una “sicurezza” che la migrazione contribuirebbe a venir meno, sarebbero praticamente azzerate: questo perché non è la migrazione in quanto tale a determinare necessariamente una minor sicurezza ma il non controllo, l’assenza di strutture, di risorse, di sovranità politico-monetaria e di un piano operativo per governare il problema in maniera creativa e proficua per il paese che accoglie.

Altra cosa è invece la constatazione che i migranti possano inserirsi in posizioni lavorative che determinano la diminuzione di “appeal” per i lavoratori autoctoni: il problema in questo caso rientra nella sostanziale assenza della politica nel mondo del lavoro moderno in mano a logiche private, determinato, come già accennato, dalla crescente diminuzione della sovranità politica e monetaria degli Stati stessi.

Tutte le problematiche di questo ambito sono perciò il frutto, in buona sostanza, di due fondamentali fattori che hanno però una radice ed una genesi comune.

Il primo è politico-economico e consiste nel grande sfruttamento dell’Africa da parte delle corporazioni private, nell’appoggio, finanziamento e vendita di armi a regimi autoritari e nel caos politico-militare del nord Africa.

Il secondo fattore è, come abbiamo visto, la perdita di sovranità politico-monetaria da parte degli Stati Nazionali.

La comune radice del problema è quindi l’insieme lobbistico di potere politico, economico, finanziario, e militare, un sistema che sta sfuggendo sempre più di mano agli Stati di diritto: organismi e logge private di varia natura controllano infatti le varie corporazioni, i mercati, la finanza, le banche e le emissioni monetarie, le oligarchie politiche e i principali media.

Un “caos ordinato” nascosto dietro le istituzioni delle democrazie Occidentali, su cui ormai esiste ampia documentazione, un sistema funzionale alla privatizzazione di ogni aspetto socio-politico della dimensione umana, che si sta concretizzando anche con l’istituzione di “spazi” giuridici in cui le multinazionali possono addirittura citare in giudizio gli Stati Nazionali.

Queste dinamiche non sono ancora ben comprese dalla società civile, anche per l’azione disinformante e distraente del sistema mediatico dominante.

Qualsiasi forza politica non mostri consapevolezza di questi fattori e meccanismi, o addirittura li neghi, è irresponsabilmente collusa con il caos che rischia di distruggere la nostra società civile e che ha, con tutta probabilità, contribuito a creare.

Qualsiasi forza politica usi o amplifichi elettoralmente questo stesso caos e si presenti come fautrice di “ordine” e “legalità”, senza però avere un progetto creativo e costruttivo per tutti nel contesto dei diritti umani, sta solo cercando un potere che potrebbe darci un caos ed un “ordine” peggiori e che, con tutta probabilità, non intaccherà minimamente i meccanismi di potere anzidetti.

 

Massimo Franceschini, 13 febbraio 2018

Questo il bellissimo video relativo all’Art. 13 dell’associazione no-profit: “Gioventù per i Diritti Umani

il mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani

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