I comunisti bocciarono l’Unione Europea. Oggi si occupano “di alcune felci”

di Massimo Bordin

Se hai buona memoria, non c’è niente di più divertente che frequentare i social. Gli stessi soggetti che fino a ieri avrebbero dato la loro vita per difendere Tizio, Caio e Sempronio, oggi farebbero di tutto per strozzarli. Capita così che politici, giornalisti e influencer passino nel giro di poche ore da miti assoluti a perfetti imbecilli. C’est la vie e non c’è niente di cui scandalizzarsi o vergognarsi: anche chi scrive ha cambiato spesso idea. Quel che diventa intollerabile, però, è fingere di non aver mai cambiato posizione, simulare incrollabile coerenza arrivando persino a vantare valori e princìpi assoluti che invece erano del tutto “altri” fino a pochissimo tempo fa.

Sul tema dell’Unione Europea, ad esempio, ci sono oggi almeno tre posizioni:

1. chi non la vuole perchè la ritiene antitaliana, global e liberista (eccomi qua);

2. chi invece la vuole perchè gli italiani sono sempre e comunque dei cialtroni;

3. chi la vuole perchè la ritiene alla base dell’illuminismo e dell’internazionalismo, ma se la auspica diversa da com’è stata impostata.

Tra i sostenitori della posizione numero due ci sono gli inossidabili centrosinistra e centrodestra. Un tempo erano i Prodi, oggi sono i Renzi. Un tempo i Berlusconi, oggi i Tajani.

Tra i sostenitori della posizione numero tre, cioè quella dell’Europa dei popoli fratelli, liberi ed uguali (ehm) ci sono gli aderenti alla sinistra radicale, antirazzista, antifascista e antileghista. Nell’attesa che un prestigiatore cavi fuori dalla bocca dei compagni anche un bel “ANTILIBERISTA”, vediamo cosa pensavano costoro della famigerata Ue al momento della sua fondazione, nel 1992.

Per una volta (!) ho rispoverato le competenze da ricercatore storico acquisite all’Università di Bologna e sono andato a spulciare tra le cronache del Parlamento italiano quando si discusse l’approvazione del trattato di Maastricht.

A Montecitorio il trattato passò con 403 voti favorevoli, 46 contrari e 18 astenuti. E, sorpresona delle sorpresone, votarono contro Maastricht il Movimento Sociale Italiano (i fascisti) e Rifondazione Comunista ( i comunisti).

O my God!!!

Stiamo parlando dunque di una falange rossobruna dentro la Camera dei deputati nel 1992: bolscevichi  e nazionalisti italiani uniti contro la plutocratica UE.

Leggendo le cronache giornalistiche dell’epoca si apprende anche che il Paralmento votò con una certa indifferenza perchè quelli erano gli anni delle “manette che tintinnavano” – per riprendere una celebre definizione dell’allora Presidente Oscar Luigi Scalfaro – di tangentopoli, dei soldi nascosti nel pouf da Duilio Poggiolini. Anche se magari per la fretta sbaglio i dettagli di qualche mese, senz’altro quello era il clima e la politica italiana aveva ben altro a cui pensare che a cazzatiellecome l’Europa di Maastricht.

Tutti si trovavano intenti a rimuginare sui propri peccati, tranne chi non ne aveva perchè non aveva mai governato: comunisti e fascisti.

Per onor di cronaca occorre dire che si astennero la Rete di Leoluca Orlando e i Verdi di Rutelli, ma la loro voce fu flebile rispetto a quella tonante di Mirko Tremaglia, ex volontario della Repubblica Sociale Italiana, che alla lettura del trattato commentò così: «Maastricht è un mostriciattolo giuridico e costituzionale che non salvaguarda gli interessi nazionali».

Rifondazione gli fece eco con dichiarazioni di questo tono: «nasce un’ Europa autoritaria decisa dalle banche centrali e dalle strutture militari».

Insomma, sotto un profilo legislativo, gli unici in Italia a dire fermamente no all’Europa furono i missini – prima della svolta di Fiuggi  – ed i comunisti, che oggi invece passano le giornate a discutere se affondare o aderire al Pap (no, non è una canzone di Elettra Lamborghini). Chi segue il dibattito sa anche che si dilettano a predisporre convegni con pseudoesperti di Diritto Costituzionale nel demenziale tentativo di dimostrare che la sovranità si può cedere; oppure ad organizzare pizzate con LGBT e migranti sperando che un bel giorno si iscrivano in massa alla Cgil.

Spiace assistere a questa deriva confusionale, ma già Corrado Guzzanti nella sua esilerante imitazione di Fausto Bertinotti ce l’aveva anticipato: “è vero – ammetteva Guzzanti/Bertinotti – abbiamo perso il voto dei lavoratori, ma ci restano: la difesa degli omosessuali e – mi sembra – di alcune felci …”

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