I Certificati di Compensazione Fiscale nascono per risolvere le disfunzionalità dell’euro

di Marco Cattaneo

Certificati di Compensazione Fiscale non nascono per rompere l’euro. Nascono per risolverne le gravissime disfunzioni.
Esitare a introdurre i CCF nel timore che “sarebbero visti come un passo prodromico all’uscita” non ha senso. Chi lo dice non ha compreso la proposta (a meno che la sua posizione sia totalmente pretestuosa).
Dalla UE, mettiamolo in chiaro, non arriverà mai alcun sostegno finanziario. Al massimo complicate partite di giro – il MES, il SURE, il Recovery Fund se mai decollerà – con l’implicazione di sottoporsi a vincoli e condizionamenti per usare soldi che dobbiamo comunque, in un modo o nell’altro, mettere o garantire noi.
I paesi nord-eurozonici non vogliono “pagare per l’Italia” e dicono che noi, in effetti, i soldi li abbiamo. Il che per la verità è un dato di fatto: l’Italia ha un notevolissimo surplus commerciale e la sua posizione patrimoniale sull’estero (NIIP) è gradualmente migliorata in questi anni, portandosi a inizio 2020 in territorio positivo.
L’Italia sconta soltanto la catastrofica decisione di aver convertito un debito in moneta propria – un non-debito, in effetti: depositi presso il Tesoro, garantiti dalla potestà di emissione monetaria dello Stato italiano – in un debito in moneta straniera (l’euro). In una moneta, quindi, che non possiamo emettere e che è troppo forte per i fondamentali della nostra economia.
La soluzione è emettere un titolo – i CCF – il cui valore è garantito dalla sua utilizzabilità a fini fiscali. L’unica condizione perché ne sia assicurato il valore è che le quantità in circolazione siano una frazione degli incassi lordi annui della pubblica amministrazione.
Ai mercati si spiegherà che il rapporto debito pubblico / PIL (dove il debito pubblico è quello da pagare in euro, che non comprende ovviamente i CCF) si ridurrà costantemente rispetto ai livelli di fine 2020. E questo sarà possibile grazie al recupero dell’economia al termine dell’emergenza sanitaria, e alle azioni espansive che i CCF consentono di effettuare.
Alla UE non si chiede nulla. Alla BCE, soltanto di riaffermare il principio di “evitare frammentazioni della zona euro”, che peraltro è uno dei suoi compiti essenziali, anzi esistenziali.
Su questi presupposti, lo spread calerà a livelli prossimi a zero.
Tutto questo è assolutamente possibile. L’Italia deve solo uscire dalla mentalità di passività e subordinazione. Le soluzioni NON arrivano dall’esterno. Le abbiamo in casa, e si tratta solo di applicarle.

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