I 3 pilastri per il governo dell’economia: l’emissione di denaro, la raccolta fiscale e la spesa pubblica.

di Davide Gionco

 

Da troppo tempo, praticamente da sempre, siamo abituati ad un sistema fiscale complesso, farraginoso, esoso, ingiusto ed opprevviso (le ho dette tutte?…).
Negli ultimi 10 anni di crisi economica sono molte le imprese che sono fallite non per un calo insostenibile delle vendite, ma per un carico fiscale sproporzionato rispetto alla loro capacità contributiva.

Solo a titolo informativo vorremmo ricordare a tutti l’art. 53 della Costituzione:
Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.
Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.

Quando la pressione fiscale è insostenibile, al punto da portare al fallimento un’impresa che produce ricchezza reale e garantisce posti di lavoro, siamo chiaramente al di fuori della Costituzione. Ancora di più quando a questo si aggiungono dei mancati pagamenti da parte dello stato.
Viene da chiedersi dove sia la Corte Costituzionale, tanto solerte quando si tratta di difendere i diritti acquisiti (vitalizi da migliaia di euro al mese) per gli ex parlamentari, quando ripetute e gravissime violazioni della Costituzione riducono degli onesti lavoratori in povertà.

 

L’origine del denaro

L’origine del denaro è qualcosa che c’entra molto con la tassazione.
Se lo Stato avesse la “macchina che stampa i soldi”, non avrebbe bisogno di chiederci soldi per pagare i servizi pubblici.

Che cosa vietava a Totò e Peppino di stampare da soli banconote e metterle in circolazione?

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Ovviamente era, ed è tutt’ora, vietato dalla legge stampare da soli banconote per metterle in circolazione.
Se è la legge a vietare la stampa privata di banconote, allora è sempre la legge a consentire a qualcun altro (oggi la BCE) di stampare denaro e metterlo in circolazione.
Quindi cambiando le leggi, uno stato sovrano, che non sia una colonia dipendente da poteri esteri, ha certamente la possibilità di disporre la stampa di denaro per appropriarsene ed utilizzarlo per la spesa pubblica.

Qualcuno dirà che stampando denaro si crea inflazione.
Non è vero che è sempre così.
E’ un discorso lungo che, per chi sia interessato, abbiamo già affrontato.

Andiamo oltre.

Se uno stato avesse deciso per legge di utilizzare una propria “macchina che stampa i soldi”, quantomeno non avrebbe l’isteria di battere cassa in ogni modo, tassando l’ombra dei negozi o l’emissione delle sentenze dei tribunali, ma soprattutto tassando irrazionalmente delle imprese fino a farle fallire.

 

L’inflazione

E’ chiaro che se uno stato stampasse soldi per finanziarsi senza riscuotere tasse, il gioco non potrebbe funzionare a lungo…
Per mantenere 3 milioni di dipendenti pubblici, che producono molti servizi pubblici utili di cui usufruiamo, e per pagare le spese correnti di funzionamento dello Stato sarebbe necessario stampare ogni anno enormi quantità di denaro, circa 800 miliardi l’anno.
Questo denaro finirebbe in parte speso nell’economia reale e in parte risparmiato.
L’immissione, ogni anni, di 800 miliardi in più in circolazione, senza ritirarne con la tassazione, metterebbe a disposizione dei cittadini molto denaro per acquistare beni e servizi.

Se l’eccesso di domanda si rivolgesse verso l’estero si avrebbe dapprima un aumento delle importazioni, quindi una svalutazione della propria moneta rispetto a quelle estere, al punto che nessuno accetterebbe più la nostra moneta in cambio. Chiederebbero in cambio merci di valore reale, da produrre lavorando, non stampando denaro. E le merci estere verrebbero importate solo a caro prezzo.

Se l’eccesso di domanda si rivolgesse verso il mercato interno, una volta arrivati ai limiti della produzione, si avrebbe una importante inflazione, tale da svalutare il potere di acquisto del denaro in circolazione.

In conclusione, se lo stato stampasse denaro senza chiedere il pagamento di tasse, si avrebbe comunque una sola ed inevitabile tassa: l’inflazione.

Non sarebbe una tassa così iniqua come ci raccontano da sempre sui giornali.

Un tasso di inflazione del 30% significherebbe che, mediamente, tutti i prezzi, aumentano del 30%.
E quindi i salari, non essendo aumentati per cause esterne come il petrolio, ma per cause interne.
Verrebbero colpiti i capitali, i risparmi, i detentori di crediti non indicizzati al tasso di inflazione.

Certamente non sarebbe una imposta progressiva, come richiesto dall’art. 53 della Costituzione, ma sarebbe comunque un sistema certamente molto più equo di quello attuale, che non è per nulla redistributivo.

 

Gli strumenti di governo dell’economia di un paese.

Ora, non vogliamo sostenere che lo Stato debba abolire tutte le tasse in modo che l’unica tassa risulti essere un alto tasso di inflazione, ma vogliamo far riflettere sul legame inscindibile fra la creazione di denaro e la tassazione.

Uno stato non in grado di creare il proprio denaro dovrà necessariamente prenderlo in prestito, ad interesse, da altri.
E, dato che nessun altro produrrà del denaro aggiuntivo per il pagamento degli interessi, dovrà prelevare questi interessi dalle tasche dei cittadini, per darli a coloro che hanno creato il denaro.
Si tratta di un meccanismo evidentemente insostenibile, oltre che privo di logica, sapendo che è lo stato a decidere, per legge, chi possa emettere denaro e con quali modalità.

Uno stato in grado di stampare il proprio denaro avrà la libertà di stampare più denaro nei casi in cui le spese necessarie per i servizi pubblici superino la raccolta fiscale ed avrà libertà di raccogliere più tasse di quanto spende, nel caso in cui stimasse che vi sia in circolazione un eccesso di denaro che causa inflazione o ingiustizie sociali.

Il governo dell’economia di uno stato si regge necessariamente su 3 pilastri: l’emissione di denaro, la raccolta fiscale e la spesa pubblica.
Questi 3 strumenti sono inscindibili fra loro.
Un governo privo di sovranità monetaria dovrà limitare la spesa pubblica alla raccolta fiscale, senza la possibilità di fare nuovi investimenti, di fare fronte agli aumenti dei prezzi e della popolazione. Oppure potrà aumentare gli investimenti, ma indebitandosi, venendo poi condizionato dai creditori, cedendo loro una parte di sovranità democratica.

La raccolta fiscale, in fin dei conti, non è altro che una “spesa negativa + stampa negativa” di denaro, l’opposto di una “stampa + spesa verso il settore privato”.

Nei prossimi articoli ci occuperemo più a fondo di possibili riforme dell’attuale sistema fiscale.

Alla base di tutto vi sarà uno stato che disponga della sovranità monetaria, in cui non vi sia l’ossessione di trovare denaro ad ogni costo (in mancanza di una macchina che stampa i soldi), in cui vi sia la serenità necessaria ad eliminari i mille balzelli (marche da bollo, tasse sulle registrazioni delle sentenze, ecc) che fanno perdere tempo ai cittadini e di nessuno utilità sociale.

Il fisco deve ritornare ad essere uno strumento di governo dell’economia del paese, cessando di essere un meccanismo di distruzione dell’economia reale.

 

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