Ha nevicato nel Sahara – La transizione energetica

Tratto e tradotto dalla rivista svizzera “Efficience 21”, n. 26. Primavera 2018
http://www.efficience21.ch/magOnline.php?mag=59924

di Annie Admane

L’Assise europee della transizione energetica si sono tenute a Ginevra alcune settimane fa. Una scelta strategica transfontraliera, in quanto il tema di questo grande convegno era “Cooperare per riuscire”. Alcuni estratti del convegno.

In gennaio un freddo glaciale sulla Svizzera; nelle Alpi neve in sovrabbondanza; i turisti restano bloccati a Zermatt. A Parigi la Senna straripa sempre più spesso; incendi in Corsica, alimentati dalla tempesta “Eleonor”, devastano ettari di foresta. Questi territori ci sono vicini, ma è anche nevicato nel Sahara, la California annega e le scuole sono state chiuse a New Delhi a novembre a causa delle particelle fini. Conseguenze del riscaldamento climatico? Nella XIX Assise europea della transizione energetica, svoltasi dal 30 gennaio al 1° febbraio 2018 al Palexpo di Ginevra, nessuno ne dubita: l’inquinamento atmosferico ne è responsabile. E, sullo sfondo, le emissioni di CO2 da parte delle attività umane.

L’uomo sotto pressione
Bruno Léchevin, cocreatore dell’Assise, presidente dell’ADEME (un istituto pubblico francese posto sotto la tutela dei ministeri della Transazione ecologica e solidale e dell’Insegnamento superiore, della ricerca e dell’innovazione), è un uomo sotto pressione: “La transizione energetica si gioca innanzitutto sui territori e insieme a tutta la società civile, ma a condizione che vi sia un vero impulso politico. L’ambizione dell’Accordo di Parigi, universale, è di essere concretizzato; c’è stata recentemente a Bonn la COP23 (per definire le modalità di attuazione dell’Accordo di Parigi), quindi il summit sulla finanza a Parigi qualche settimana dopo. Non bisogna mai lasciare andare la questione. Andremo a dimostrare che la transizione è concreta; è anche un richiamo all’ordine, affinché gli obiettivi di Parigi ricevano un impulso in una politica coerente. Le tendenze a ritirare un po’ il piede dall’acceleratore non sono accettabili, in quanto tutto si gioca nei prossimi anni. L’obiettivo di limitare l’aumento di temperatura media del pianeta a 2 °C, o magari anche a 1,5 °C, è praticamente irraggiungibile se non si agisce immediatamente. E’ per questo che dobbiamo accelerare, cambiare il modo di agire.”

Dal “big oil” al “big brother”
Per Roberto Rocca, direttore del settore Energia e membro del comitato esecutivo del Forum Economico Mondiale (WEF), le buone notizie sono che la Cina ha investito 5 miliardi di dollari nel rinnovabile nel 2017, nel quadro di un piano di finanziamenti di 330 miliardi di euro di progetti fra il 2016 e il 2020. E, in India, 300 milioni di lampade LED sono state installate nel corso dei 3 ultimi anni. Per contro il mix energetico non è cambiato da 30 anni; il petrolio ed il gas rappresentano sempre l’81% delle sorgenti di approvvigionamento a livello planetario.

Roberto Rocca constata fra l’altro che le politiche integrate, trasversali, sono molto variabili da un paese all’altro, sia in termini di investimenti che di strategie messe in atto: “Ci sono dei cambiamenti su tutti i lati; la geopolitica si evolve , con l’emergere di nuovi paesi come la Cina e la Russia, ma non sempre si fa meglio nella ricerca e lo sviluppo in materia d’investimenti. Si rischia di passare dal “big oil” al “big brother.” In sostanza i governi non si dimostrano molto generosi. “Le cifre non sono buone, da questo punto di vista”, ma le iniziative locali compensano.

Aiutati, l’Europa ti aiuterà?
La sfida è quindi di far nascere delle azioni territoriali, regionali, locali, persino cittadine. “Abbiamo dimenticato la nozione di interesse generale, soprattutto nell’energia, ed è il momento di rimetterlo al centro della scena, per proiettarci verso il futuro”, constata Elisabeth Ayrault, presidentessa direttrice generale della Compagnia Nazionale del Rodano (CNR), in Francia. Jean-Luc Favre, presidente dell’Unione delle associazioni patronali ginevrine (UAPG), rincara: “La dimensione umana è un fattore essenziale; l’approccio deve essere pragmatico, rispondere ad un bisogno e, in questo obiettivo, si tratta di mobilizzare le risorse e le competenze. Un nuovo contratto sociale da fare.”

Quindi un benvenuto al Fondo europeo di sviluppo regionale (FEDER) – 183,3 miliardi di euro per il periodo 2014-2020 – che sovvenziona progetti finalizzati a rinforzare la coesione economica, sociale e territoriale, correggendo gli squilibri regionali. Ma c’è un’ombra che arriva: sono in corso discussioni per ridurre del 30% i fondi strutturali europei con orizzonte 2020, secondo Christian Labie, direttore di RhônAlpEnergie (RAEE), che si esprimeva a nome della FEDARENE (Federazione europea delle agenzie e delle regioni per l’energia e lo sviluppo). Il responsabile rileva che l?Europa raggruppa dei casi di figura differenti: “Sarebbe interessante avere della solidarietà; una delle nostre missioni è mettere le regioni in relazione e aiutarle a costruire dei progetti.” In questo contesto evoca l’importanza crescente d’innovazione manageriale: “I territori potrebbero aiutare a livello subregionale, lavorare insieme su modelli da condividere; in materia di tutoraggio e di coaching, a livello europeo, il programma Managernegy sta iniziando in questo momento!”

Al prezzo dell’oro, nero o verde
Il prezzo del petrolio resta molto attraente, intorno ai 60 dollari al barile attualmente, e gli osservatori prevedono una stabilità che potrebbe durare. Il rinnovabile è concorrenziale? Non lo è. Antonin Porrier, ricercatore, ritiene che il prezzo non debba essere il criterio determinante: “L?idea che il prezzo sia prioritario e che debba essere lo stesso dappertutto inquina il dibattito. Fra cittadini ed economia lo stato è obbligato a utilizzare dei mezzi di mobilitazione delle mentalità. Non ci se deve necessariamente limitare alla redditività economica, ma privilegiare la qualità della vita. E’ un vantaggio che i territori possono avere… Liberarsi dal prezzo permette di attuare dei meccanismi differenti.”.
Ad esempio il cantone di Ginevra, di cui il direttore dei Servizi Industriali, Christian Brunier, propone un programma d’incitamento alla riduzione dei consumi elettrici (éco21), che permette di ridurre le bollette. Guillaime Coutey, sindaco di una cittadina della Normandia, fa appello alla comprensione dei suoi concittadini – “Dobbiamo spiegare” – ma ha anche fatto investimenti per ridurre i costi, con 200 azioni programmate su 4 anni, come l’uso di tegole solari sulla chiesa e le scuole o la ristrutturazione del parco immobiliare comunale. L’investimento di 10 milioni di euro ed un contributo statale di 2 milioni, “che ha consentito di attirare altri fondi privati”.
“Bisognerebbe aggiungere a tutto questo i benefici in termini di salute, ma sono difficili da quantificare”, completa Dorota Jarosinska, responsabile di programma per l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Essa giudica che in materia di salute parlare di prezzo fa riflettere sul modo in cui si produce e si consuma l’energia, prendendo in considerazione gli impatti a corto e lungo termine.

Disinvestire, reinvestire
Resta compito dello Stato creare delle condizioni-quadro favorevoli. Come fare una legge finanziaria “decarbonizzata” che consente di investire nella transizione energetica locale?

Marc Chardonnens, direttore dell’Ufficio federale dell’ambiente svizzero (OFEV) ha esposto la strategia svizzera: una prima legge federale sull’energia, che stabilisce la decisione di uscire dal nucleare, ed una legge sul clima, in piena revisione a seguito degli Accordi di Parigi. “Abbiamo una tassa sul consumo (96 franchi per tonnellata di CO2, ovvero un miliardo di franchi svizzeri) che è redistribuita per finanziare – per un totale di 300 milioni, forse ben presto 450 milioni – di ristrutturazione di edifici, da qui al 2025. Per quanto riguarda i trasporti abbiamo previsto l’obbligo di compensare le emissioni di CO2; prevediamo anche la creazione di un mercato di scambio delle quote di emissione.” Sul piano dei finanziamenti dal settore privato il governo svizzero porta avanti una politica di sensibilizzazione di cui l’impatto è significativo su due terzi delle casse pensione e delle assicurazioni, che si dicono pronte a sottomettere il loro portafoglio ad un test di compatibilità climatica. Il WWF ha condotto una inchiesta sulle banche : 3 istituti sui 5 principali sono sensibilizzati alla transizione energetica, gli altri restanti restano su posizioni conservative. Il diretto ritiene che le banche dovrebbero prendere in considerazione la qualità ecologica di un bene immobiliare ed attribuirgli una ponderazione differente, senza limitarsi al solo criterio della sua localizzazione.
Mireille Martini, responsabile di ricerca e degli investimenti sulla finanza sostenibile per Finance Watch, ritiene che la legge francese di transizione energetica per la crescita verde, con un obiettivo di 82 euro per tonnellata di CO2, sia un buon modello, ma – fa notare- questo prezzo è sottoposto all’approvazione annuale della legge finanziaria, il che non rassicura per nulla gli investitori. L’altro problema è che sul mercato europeo siamo a 10 euro per tonnellata di CO2 emessa.”
Più globalmente Mireille Martini stigmatizza la mancanza di denaro : “Sulla carta i progetti d’investimento ci sono, ma non c’è denaro e le banche centrali portano avanti la loro politica monetaria senza un reale indirizzo verso la transizione energetica. Esistono delle soluzioni, con delle banche specializzate ed in particolare il Piano Junker che ha dato vita al Fondo europeo degli investimenti strategici (FEIS).”

Lo stoccaggio, ricerca assoluta
“Lo stoccaggio è il “Santo Graal” per passare al 100% di energia rinnovabile; può essere un jolly sui mercati centralizzati e decentralizzati per distribuire dell’energia solare ed eolica. La tecnologia esiste; il nostro obiettivo è di accelerare per arrivare ad azioni concrete entro 4-6 anni.” Markos Romanos, ingegnere in energia rinnovabile ed ambientale, fondatore della startup spagnola Pylon Network, è convinto che sia una soluzione estremamente conveniente, efficace per equilibrare una rete ben mantenuta. “La migliore risposta nei confronti della domanda e per rendere le nostre reti intelligenti.” In altre parole si tratta di una cooperazione imperativa, ma la fiducia non esiste ancora e bisogna creare gli strumenti. In questa ottica la sua startup si fonda su una blockchain (tecnologia di stoccaggio e di trasmissione d’informazioni senza organi di controllo) per sviluppare degli strumenti con l’attenzione alla trasparenza ed alla tracciabilità dell’energia, un modo di mettere in atto una cooperazione.

Altro aspetto, lo stoccaggio fisso e mobile. “Un nuovo campo nel quale la regolazione trova il suo posto. L’Europa pour avere successo nella sua rivoluzione delle smart-grids.” Giustamente il progetto europeo Interflex integra il Cloud di stoccaggio nel suo progetto di Smart-grid che associa dei fornitori di elettricità, dei fabbricanti di materiali e degli esperti con 5 distributori di elettricità europei. Oltre a questo programma Christian Buchel, presidente dell’Associazione europea degli operatori di reti di distribuzione e direttore aggiunto di ENEDIS, scommette sul mix energetico, inglobando soprattutto l’industria dell’automobile nella riflessione sulla mobilità e dei progetti innovatori: “Nel dipartimento dell’Aube stiamo testando una batteria di 2 MWh.” Secondo Buchel il miglior modo per accelerare è da un lato dotarsi di mezzi finanziari per in vestire nello stoccaggio e dall’altro di trasferire la regolazione verso i territori in cui le grandi metropoli giocano un ruolo importante.

Una massa di aria impura
L’aria non si arresta alle frontiere e, in generale, esistono a volte delle incoerenze e delle azioni antagoniste messe in atto da paesi contro altri. Di fatto se ancora è difficile sensibilizzare l’opinione pubblica ai cambiamenti climatici, le porte si aprono sulla questione dell’inquinamento dell’aria”, afferma la direttrice delle associazioni francesi di controllo sulla qualità dell’aria (ATMO France), Marie-Blanche Personnaz. Da parte sua Pierre-Jean Crastes, vicepresidente della pianificazione territoriale e della transizione energetica del Polo metropolitano dell’area francese del territorio di Ginevra, si rivolge a molti attori sui due paesi: “Bisogna dimostrare gli effetti dell0inquinamenti atmosferico sul quotidiano e mobilizzare tutta la società intorno alla capacità di trovare dei compromessi.” Egli ritiene che le imprese ed i poteri pubblici debbano percorrere una metà della strada e gli utenti l’altra metà cambiando i propri comportamenti, “ma bisogna offrire loro i mezzi per portare il loro contributo”. In quest’ottica Marie-Blanche Personnaz raccomanda un approccio prospettivo: “La gente non va a cercare l’informazione, è necessario spiegare e non è facile, dato che per parlare dell’inquinamento bisogna rendere visibile l’invisibile. E mentre si mettono in atto delle azioni vincolanti si possono avere dei rigetti.”

Se Pierre-Jean Crastes ritiene che l’Europa giochi il proprio ruolo fissando delle ambizioni, senza dare in realtà degli incentivi, la deputata europea Karima Delli, membro supplente della Commissione di sviluppo regionale presso il Parlamento Europeo, denuncia una mancanza di fluidità dell’Europa nel confronto dei territori: “Gli eletti si mobilizzano, ma si devono confrontare con gli stati che pongono ostacoli. […] Affinché la gente cambi di comportamento bisogna proporre loro delle alternative. Gli stati devono avere un percorso chiaro da seguire […] Bisogna far emergere delle soluzioni, ma manca il coraggio politico di fronte a troppo lobbismo.”
L’eletta vuole mettere in atto una tassa sui trasporti pesanti in Europa, una “eurovignetta”, con lo scopo di favorire il trasferimento modale. Si ci riuscirà, i proventi andranno nella mobilità urbana e di prossimità. Per intanto “è necessario fare in fretta, perché la concorrenza è feroce”, soprattutto nel settore della fabbricazione dei veicoli elettrici. I cinesi stanno sviluppando un mix di idrogeno e gas.

Dal locale al globale
Una evidenza per Mustafà Bakkoury, presidente dell’agenzia marocchina dell’energia solare: “ Le conferenze internazionali (COP) sono dei momenti importanti, in particolare le ultime. La COP21 di Parigi ha visto la firma di un accordo storico; la COP22 di Marrakech ha certamente subito l’impatto del ritiro degli USA, ma malgrado questo c’erano degli attori capaci. La Cina e i territori hanno controbilanciato la decisione del presidente Trump. E, per la prima volta, erano presenti dei rappresentanti del mondo economico.”
Enrst Peter Fischer, ministro degli esteri della Germania, anch’egli ospite della COP23, è più critico: “Ho partecipato a 8 COP; danno un quadro, sono affascinanti , ma terribili: persone in costume che negoziano fuori da ogni legame con il terreno, ma che creano un quadro forte ed importante. E’ necessario che le ONG, le imprese, le cooperative e le regioni riempiano i quadri fissati; siamo in ritardo, abbiamo una cattiva proiezione.”
Da parte sua l’ONU lavora partendo dalla sua carta pace-progresso-libertà. Il suo sottosegretario, Kikhil Seth, è formale: “I popoli sono un punto centrale della nostra carta. Sostenere lo sviluppo durevole nell’educazione, la sanità, l’ecosistema o la pace richiede una maggiore cooperazione. I nostri sistemi urbani, la crisi alimentare, tutto è legato alla transizione energetica. Il ruolo dell’ONU è di chiedere spazi per cooperare; è una urgenza.”

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