GUAI A TOCCARE I GOVERNATORI “ELETTI” DELLE BANCHE CENTRALI

Si rischia di innervosire il sistema privato che governa sopra la politica

 

I modi con cui i media principali trattano ogni cosa che “odori” di “sovranismo” sono quanto di più scorretto giornalisticamente e politicamente, anche al limite della supponenza, come accade per due articoli che qui segnalo.

Stessa sorte è riservata ad ogni rivendicazione da parte della politica di avere voce in capitolo per tutti gli ambiti ora lasciati di fatto in mano ai privati, come ad esempio quelli delicatissimi della finanza, dell’emissione monetaria e delle politiche connesse a questi due ambiti.

Il primo articolo è di Marco Cremonesi sul Corriere della Sera del 22 dicembre scorso, a commento di quanto chiesto da Borghi sulla questione delle riserve auree italiane, il secondo è di Federico Fubini sull’inserto Economia, sempre del Corriere del 24 dicembre.

L’idea che la politica di uno Stato sovrano, che si dovrebbe presupporre determinata dalla libera scelta del suo elettorato, non possa disporre in autonomia di tutte le leve necessarie ad attuare gli ideali e gli scopi della sua Costituzione, è quanto di più infido e antidemocratico ci possa essere, come spiegherò più avanti.

Premetto che non è mia intenzione difendere il governo giallo-verde, molto discutibile a mio parere per le numerose retromarce su una marea di temi e posizioni.

Il fatto che la stampa continui a identificare il governo ed alcuni suoi esponenti come “sovranisti”, rientra nello sporco gioco del sistema politico-mediatico di equiparare il concetto di “sovranismo” a quello di “nazionalismo”, connotandolo così automaticamente come un qualcosa “di destra”, “dimenticando” che oltre al nazionalismo esiste anche il patriottismo e che la parola sovranità resta ancora nel primo articolo della nostra Costituzione, che oltre al termine “sovrano” non definisce politicamente il suo “popolo”.

Ovviamente l’equiparare il sovranismo alla destra serve a distogliere l’attenzione dal fatto che il popolo italiano, insieme a quelli dell’Occidente, ha ceduto le sue sovranità a burocrati che curano gli interessi della finanza e delle banche private senza quasi accorgersene, sviato da una falsa propaganda di sicurezza, di benessere, di dover “restare al passo con la storia” ed evitare il ripetersi degli orrori del ‘900.

Le posizioni e le affermazioni sulle questioni di cui si parla sono di un’ipocrisia devastante, come vedremo strada facendo.

Veniamo all’articolo del Cremonesi intitolato “L’IMPROBABILE ASSALTO DEL LEGHISTA BORGHI ALL’ORO DELLA BANCA D’ITALIA”.

Già il titolo, senza leggere il contenuto, potrebbe lasciar pensare a un tentativo della Lega o del governo di “mettere mano” sull’oro italiano, cosa poi voglia dire non si sa, comunque veniamo all’articolo.

Sembra che la questione sia nata in uno dei tanti talk della politica-spettacolo, dove il direttore generale di BankItalia Rossi avrebbe risposto così sulla questione posta riguardo la proprietà delle riserve auree italiane: “Sull’aspetto giuridico di chi sia la proprietà legale dell’oro, si pronuncerà la Bce a cui abbiamo ceduto la sovranità quando è stato creato l’euro”.

Stiamo parlando di quasi 2mila tonnellate e mezzo d’oro, che dovrebbero essere del nostro Paese, non di una cosa da poco.

Credo che la questione qualche perplessità dovrebbe sollevarla, anche a fronte della risposta del direttore generale appena riportata.

Perplessità evidentemente, e nonostante tutto, “scomode” per l’articolista del Corriere, che attacca il suo pezzo in maniera del tutto aggressiva, con giudizi che neanche ha la decenza di riservare a fine articolo come commento: “’Allucinato’. Claudio Borghi Aquilini si autodefinisce così. Ma è la sua offensiva a sembrare temeraria. Tutto nasce da una domanda: a chi appartiene l’oro nazionale, le 2.452 tonnellate di prezioso metallo custodite da Bankitalia? Il presidente della commissione Bilancio, nel suo afflato di nemico dell’euro a 24 carati, sceglie di puntare alto: al direttore generale di Bankitalia Salvatore Rossi. Una partita impervia, visto che l’interessato è espertissimo sul tema: delle riserve nazionali Rossi è il sommo custode e sull’argomento lo scorso anno ha anche scritto un libro, ‘Oro’. Mentre l’argomento è uno dei più delicati – e complicati – della politica valutaria non soltanto nazionale. Insomma Borghi si è lanciato in una crociata improbabile… “.

Insomma, la questione è grossa e spinosa, a detta dello stesso articolista, nonostante tutta la sua “sapienza” e competenza il custode dell’oro ha dato la risposta riportata prima, ma abbiamo già un colpevole: Borghi, che avrebbe osato porre domande a dei “totem” evidentemente intoccabili, come BankItalia e Bce.

La prostrazione verso i poteri forti da parte del giornale è evidente, Cremonesi infatti conclude l’articolo affermando che la domanda nel talk al direttore generale “… nasceva dal fatto che Borghi il 6 agosto ha presentato una proposta di legge di un solo articolo per ‘sottolineare la permanenza della proprietà delle riserve auree dello Stato italiano’. Secondo Borghi, ‘semplicemente un fatto di chiarezza interpretativa’. Ma la risposta del direttore Rossi ha messo alle corde l’ascoltato consigliere economico di Matteo Salvini, inossidabile sovranista: ‘È normale chiedere a Francoforte di chi sia la proprietà dell’oro italiano?’. Prosegue Borghi: ‘L’Italia dispone della quarta riserva d’oro al mondo… L’incredibile è che da nessuna parte del pianeta si pone il problema di chi siano le riserve: è ovvio che le riserve dello Stato sono dello Stato’. Eppure, Borghi è stato accusato di voler mettere sotto il controllo dell’esecutivo il patrimonio aureo nazionale. ‘Macché, chi lo dice è in malafede, basta leggersi le 5 righe di proposta di legge, occorre mettere un punto fermo a una questione che carsicamente riemerge e su cui si è stratificata molta giurisprudenza’. Secondo il teorema del leghista a rendere necessaria una formulazione esplicita è stata la legge del 2014 che ha rivalutato le quote azionarie di Bankitalia (fino a quel giorno simboliche, 156mila euro) detenute dalle banche nazionali: ‘Una trovata di quei fenomeni del PD. Non vorrei che questo suggerisse a qualcuno idee strane. Per questo mi sono limitato a dire: mettiamo in chiaro che la proprietà è dello Stato’. E meno male che si è limitato.

Insomma: sembra che il tema sia serio, ma il Cremonesi di suo, oltre a riferire le dichiarazioni, non riesce a dire altro che “improbabile assalto”, “crociata improbabile”, a definire Borghi come “messo alle corde”, per chiudere con un “e meno male che si è limitato”!

Questi sono gli unici “contenuti” aggiunti dall’autore alle dichiarazioni dei protagonisti!

Abbiamo un giornalista o uno scudiero di organismi, evidentemente per lui, intoccabili?

Parliamo di organismi per giunta privati: la Bce è proprietà delle Banche nazionali, che sono per la maggior parte proprietà di banche ed assicurazioni private, che non rispondono alla politica ma alla Bce, cioè alla loro stessa emanazione, chiudendo così il cerchio di alienazione dei popoli delle loro prerogative democratiche.

La situazione descritta fa sì che gli Stati ed i loro popoli siano monchi nel loro essere ed operare, dato che uno Stato è tale quando ha un confine, un popolo e una sua moneta.

L’Italia di fatto non è più un vero Stato sovrano, ma una “cosa” da “definire”, certamente con degli “squilibri” di sistema da eliminare dall’attuale assetto europeo: questa definizione ci porterà con tutta evidenza agli Stati Uniti d’Europa, cioè ad un soggetto politico molto più grande, il nuovo miraggio della propaganda di sistema.

Un soggetto politico sempre più in mano alla finanza, alle banche ed alle logge a cui queste rispondono, in cui si amplierà ulteriormente la “distanza democratica” fra i vertici e le popolazioni.

Date queste situazioni si capisce chiaramente l’ipocrisia di dispute e posizioni che non mettono davanti a tutto la sostanza intrinsecamente antidemocratica del sistema attuale, preferendo sviare e distrarre con il pericolo “populista-sovranista”.

Il sistema privato che ci governa vive da parassita sulle ormai decadenti democrazie e sul sempre più difficoltoso lavoro delle operose ma stremate società civili, protetto da questa cortina mediatica distraente.

L’ipocrisia di cui parlo non è esente dal secondo articolo sottilmente inquietante di Fubini, che si intitola “LA PROSSIMA FRONTIERA POPULISTA. LE BANCHE CENTRALI. Negli anni della Grande Crisi, in tutto il mondo, i governatori hanno avuto il massimo dell’influenza e dell’indipendenza. Ma con la nuova politica sarà ancora così?”.

L’articolo prende spunto dalle pressioni di Trump sulla Banca centrale americana riguardo al rialzo dei tassi d’interesse; per tutto l’articolo l’autore si mostra interessato soltanto all’indipendenza dei governatori delle banche centrali, non chiedendosi mai se sia giusto o meno che la finanza e l’economia siano al di sopra della politica.

Credo che nessuna Costituzione dica che debba essere così, ma così è, e questo fatto non è mai indicato come sostanzialmente ingiusto e antidemocratico.

Le preoccupazioni dell’autore sono chiare sin dall’inizio: “È un segno dei tempi che si preparano se i dignitari europei in visita a Roma non s’informano per prima cosa di quanto sarà alto il deficit. Non cercano neanche di capire subito se il governo in carica possa durare o quali altre alleanze si preparino. No, hanno una domanda più precisa: chi nominerà l’Italia nel comitato esecutivo della Banca centrale europea, cioè nel ‘board’ di sei persone in stanza a Francoforte, una volta che la presidenza di Mario Draghi sarà scaduto tra dieci mesi. … le banche centrali di tutto il mondo, bastioni di indipendenza dai governi almeno dagli anni ’90, finiranno sotto pressione… Il 2018 potrebbe essere stato l’ultimo anno di una fase unica della storia delle banche centrali…” che avrebbero “espanso i loro bilanci di oltre quattro volte e mezzo, a quasi 15 mila miliardi di dollari, immettendo sui mercati la liquidità che ha evitato un’altra grande depressione e permesso la ripresa… banche centrali potenti e indipendenti non possono coesistere, alla lunga, con un potere politico populista dagli istinti illiberali”.

Il resto dell’articolo segue su questo tono, preoccupato che l’esempio di Trump sia seguito anche in Europa.

Insomma, la filosofia è chiara: da una parte ci sarebbero le Banche centrali, guidate da governatori evidentemente infallibili, perché indipendenti e influenti sulla politica.

Governatori evidentemente capaci e lungimiranti, in grado di rispondere alle crisi nei modi e nei tempi più opportuni, al contrario di quanto farebbe una politica illiberale e populista.

Per rimettere un po’ le questioni nel vero ordine riporto l’efficace e sintetica presentazione di un recente libro che spiega egregiamente le vere questioni.

L’autore è Luigi Copertino, il titolo “L’IDOLATRIA FINANZIARIA”.

A partire dagli anni ’80 del XX secolo, la critica neoliberista nella sua forma monetarista (Milton Friedman che riprendeva le critiche della scuola di Vienna, Hayek e Mises: a Vienna la massoneria liberale ha sempre avuto un certo peso, anche in età asburgica), mettendo in discussione il keynesismo, accusato di provocare inflazione con l’eccesso della spesa pubblica ottenibile dalla monetizzazione gratuita dei fabbisogni finanziari statali, ha fatto breccia nella cultura dominante e nella politica.

 Il cambio del paradigma culturale in favore del monetarismo si tradusse, gradualmente, nell’indipendenza delle Banche Centrali dai governi proprio mentre, al contempo, si liberalizzavano i mercati finanziari attraverso l’abrogazione di una serie di regole antispeculazione istituite sin dagli anni ’30.

 Questa svolta, un vero suicidio per gli Stati nazionali, ha costretto i governi, per procacciarsi i fabbisogni finanziari, a chiedere prestiti esclusivamente ai mercati finanziari medesimi (leggasi: grandi banche transnazionali, tipo Goldman Sachs, e fondi di investimento o hedge funds).

 Con il risultato di ridurre gli Stati a vittime dell’usurocrazia globale.

 Infatti, a causa dell’indipendenza delle Banche Centrali che non sostengono più monetariamente gli Stati, il debito pubblico è schizzato alle stelle non tanto per l’accrescimento delle funzioni pubbliche dello Stato sociale quanto piuttosto per il “vincolo da interesse esterno” ossia per l’aumento esponenziale degli interessi che gli Stati devono pagare ai “mercati”, laddove prima, quando le Banche Centrali monetizzavano il debito pubblico, tali interessi non erano affatto elevati ed oltretutto erano quelli che lo Stato doveva ad una Banca Centrale che comunque rimaneva, anche laddove non era nazionalizzata, nell’orbita del “pubblico”, rendendo il debito se non addirittura fittizio certamente sostenibile.

 L’Italia offre, di questa catastrofica svolta epocale, un esempio eccellente.”

La profonda ingiustizia della separazione della finanza dalla politica non viene normalmente presa in considerazione, si “dimentica” che le crisi, come l’ultima iniziata nel 2007, sono dovute in buona sostanza dall’operato della finanza speculativa, la stessa che detiene la proprietà delle Banche centrali che salverebbero poi le sorti del mondo!

Sono i commentatori così “sobri”, ed uso un eufemismo, verso i veri poteri forti, bancari e finanziari, i massimi responsabili del fatto che la società civile stenti ancora a comprendere i veri nodi del sistema, delle crisi e della paura inoculata nei confronti di “quanto di sbagliato può fare la politica”.

Non sto certo dicendo che la politica non possa compiere disastri finanziari tali da mettere in pericolo il benessere della nazione: ciò non giustifica però l’elezione a semidei per i governatori delle banche centrali.

Non giustifica il fatto che le democrazie dell’Occidente non siano più tali, ma vuoti contenitori ad uso e consumo di un’oligarchia bancaria che determina la sottomessa oligarchia politica.

La politica può governare in trasparenza e con avvedutezza, se decide di attuare veramente i principi delle sue Costituzioni e dei Diritti Umani a cui generalmente si ispirano.

Una nuova politica può riuscire a creare lavoro per tutti, giustizia sociale, libera impresa per quei settori che possono tranquillamente rimanere privati anche se regolati in maniera responsabile e chiara dallo Stato, come da Costituzione.

Non può farlo se devolve ai privati la sua moneta, la banca centrale, la finanza, le politiche economiche e di bilancio, le sorti stesse della sua democrazia.

La politica non è sempre uno spauracchio da cui difendersi appellandosi agli dei imperscrutabili della finanza.

Il giornalismo, infine, può essere certamente un faro di libertà, il “guardiano della democrazia”: per esserlo deve però smetterla di raccontare fandonie o mezze verità, deve allargare le sue visioni dell’economia, ora in gran parte condizionate da teorie al servizio di centri di potere privati e sganciate dai bisogni e dai diritti dei cittadini.

 

Massimo Franceschini, 24 dicembre 2018

fonte immagine: PxHere

 

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