Gli USA vogliono gli italiani in Siria, ma sulla Siria in Italia vige il silenzio

di Tatiana Santi
09.06.2019

Gli Stati Uniti vogliono l’aiuto dell’Italia in Siria, ma Roma non risponde. La guerra in Siria continua, ma non trova spazio nel dibattito politico italiano né sui giornali, dove fa più notizia la morte dell’ex calciatore simbolo della rivolta contro Assad che la persecuzione dei cristiani nella regione.
Da diverse settimane gli Stati Uniti premono su Roma per ottenere un maggiore impegno militare dell’Italia in Siria con l’obiettivo di stabilizzare la regione. Da Roma la risposta non è ancora arrivata.

Nel silenzio della stampa e del governo italiano in merito alla guerra in Siria i combattimenti nei pressi di Idlib, roccaforte dei terroristi, continuano. Che interesse avrebbe l’Italia ad inviare i propri soldati in Siria? Qual è la vera partita giocata dagli americani in Medioriente? Sputnik Italia ha raggiunto per un’intervista Fulvio Scaglione, giornalista e scrittore, autore del libro appena uscito nelle librerie “Siria. I cristiani nella guerra” (Edizioni Paoline).
La copertina del libro di Fulvio Scaglione

– Gli Stati Uniti vogliono l’Italia in Siria, ma Roma non ha ancora dato una risposta. Fulvio Scaglione, come commenterebbe questa richiesta americana?

– La richiesta americana non ha una giustificazione pratica, se pensiamo che il Pentagono qualche settimana fa aveva manifestato il proposito, poi forse ritirato, di stanziare altri 120.000 soldati in Medioriente. Se pensiamo che gli Stati Uniti hanno basi in 13 Paesi del Medioriente con 54.000 soldati ed il numero dei soldati americani in Medioriente è cresciuto del 30% tra il 2017 ed il 2018, allora capiamo benissimo che gli americani non hanno alcun bisogno di soldati o istruttori italiani.
La richiesta ha un significato tutto politico, cioè gli americani vogliono che l’Italia si aggreghi al loro ennesimo progetto di smontaggio e ricostruzione del Medioriente. Tra l’altro la loro presenza nel nord est della Siria viene giustificata con due ragioni: il timore per il ritorno dell’Isis ed il timore che la questione curda possa esplodere fino a portare ad un conflitto fra la Turchia e le forze democratiche siriane, che sono quelle forze che hanno combattuto l’Isis formate da curdi e da milizie arabe. La prima questione è una questione fasulla.

– Perché?

– Perché l’Isis torna o non torna indipendentemente dalla presenza di truppe nel nord est della Siria, ma in dipendenza dal fatto che sono i suoi finanziatori, le petromonarchie del Golfo Persico alleate degli Stati Uniti, che decidono se l’Isis o Al Qaeda torni o meno. L’altra questione è più importante: la Turchia è un Paese che è nell’occhio del ciclone rispetto agli americani poiché più irridente rispetto alle politiche filoamericane di prima e più incline a stringere accordi militari anche con la Russia. Quindi questa presenza militare servirebbe a in qualche modo a mettere sotto tutela Erdogan ed il suo governo. Non si vede bene perché l’Italia dovrebbe andare a cacciarsi in questo pasticcio.

– Di Siria in Italia si parla poco, i politici non parlano di questo dossier, cosa crede che dovrebbe fare Roma in questo contesto secondo i propri interessi nazionali?

– È chiaro ed evidente che viviamo una fase in cui gli Stati Uniti d’America hanno deciso di riaffermare il ruolo di potenza globale dominante. Questo è avvenuto in una maniera un po’ controversa, perché all’origine nella campagna di Trump c’era un’opera di distensione con la Russia, che è stata bloccata con il Russiagate e Trump, da questo punto di vista, è stato ingabbiato.

Resta però il fatto che lo slogan trumpiano “America first” è in corso di implementazione molto radicale perché gli Stati Uniti sono, a ben vedere, in conflitto con la Cina, la Russia, l’Europa che è minacciata di dazi sempre più pesanti. Gli americani sono in conflitto anche con l’America Latina e la recente resa del Messico alle richieste americane sull’immigrazione lo dimostra.
Quindi l’offensiva americana è a 360°. Con grosse difficoltà economiche in un contesto di un’Europa che nella politica estera è completamente divisa, indecisa ed impotente, l’Italia non può opporsi da sola agli Stati Uniti.

– Oggi nei media si sta parlando della morte del calciatore simbolo della rivolta contro Assad, però il tema dei cristiani in Siria non viene quasi mai sollevato. Perché?

– Questa notizia ha avuto molto più risalto di quanto abbia avuto quella della morte di un gruppo di scolari cristiani che sono stati colpiti da un razzo nella regione di Idlib sparato dai ribelli. Sono sette – otto anni che si va avanti così, io credo che la rimozione del tema dei cristiani in Siria nell’opinione pubblica occidentale sia stata accuratamente perseguita e lo scrivo anche nel mio ultimo libro appena uscito che si intitola “Siria. I cristiani nella guerra”.
I cristiani in Siria in questi anni ci hanno costantemente mandato un messaggio che è diverso da quello che il politicamente corretto occidentale vuole. Loro ci hanno detto che in questa rivolta siriana, che pure aveva le sue ragioni e motivazione, non è tutto come viene raccontato, ci hanno detto di fare attenzione perché i cristiani rischiano l’estinzione. La tutela dei cristiani del Medioriente dovrebbe essere uno dei pensieri dominanti del pensiero cristiano, invece accade regolarmente il contrario.

La realtà che non si vuole riconoscere è che nell’Iraq “liberato” le comunità cristiane sono sull’orlo dell’estinzione, sono state ridotte a meno di un quinto di quelle che erano nel 2003, cioè prima dell’invasione anglo-americana. In Siria dove c’è un regime che sarà infinitamente criticabile, autocratico e tutto quello che si vuole, ci si preoccupa però delle minoranze che vivono nel proprio Paese e quindi anche della minoranza cristiana. Dopo otto anni di guerra ovviamente il numero dei cristiani è calato, ma è ridotto alla metà, non è sull’orlo dell’estinzione. Questo quadro viene completamente rimosso, perché ci manda dei messaggi che sono contrari alla nostra versione preferita.

– Perché leggere il suo libro “Siria. I cristiani nella guerra”? Quanto è importante questo tema per tutti noi?

– Io credo che sia un tema fondamentale, perché i cristiani in Medioriente sono una presenza fondamentale, anche dove sono pochi. In Siria prima della guerra erano il 10% della popolazione, in Egitto sono il 10% della popolazione, in Libano sono il 30% della popolazione. Dove sono pochi però i cristiani hanno più di una funzione fondamentale, perché sono una presenza disarmata ma molto presente dal punto di vista sociale. In Israele ed in Palestina, per fare un esempio, se uno eliminasse domani le scuole cristiane andrebbe in crisi tutto il sistema dell’educazione, questo vale anche per la Siria. Questo anche dal punto di vista della sanità e di tante opere di intervento sociale.

L’altro fattore fondamentale è che i cristiani ovunque in Medioriente assicurano il fondamentale terzo elemento: ci sono i musulmani sunniti, i musulmani sciiti e ci sono i cristiani. Il fatto che ci sia questo terzo elemento garantisce che in queste società ci sia il pluralismo. Dove i cristiani scompaiono o quasi, come in Iraq, la società si riduce ad un confronto sterile e spesso violento tra musulmani sciiti e sunniti. La presenza dei cristiani nei paesi Mediorientali è fondamentale anche dove sono pochi.

In Siria il discorso aumenta poiché è un Paese che ha un DNA profondamente cristiano. Il cristianesimo come lo conosciamo oggi è nato in Siria. Quando uscì da Gerusalemme e dalla Palestina è in Siria che si formò secondo le linee che conosciamo oggi. Il nazionalismo arabo di fine ottocento – primi del novecento in che nacque in Siria fu prodotto dal pensiero quasi esclusivamente di filosofi, storici e politici cristiani. La Siria è un Paese che ha un DNA cristiano innegabile ed insopprimibile.

Tratto da:
https://it.sputniknews.com/opinioni/201906097752737-usa-vogliono-italiani-in-siria-ma-sulla-siria-in-italia-vige-il-silenzio/

 

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