Giuseppe Dossetti: “Lo Stato deve bandire per sempre lo spettro della disoccupazione”.

di Davide Gionco

Giuseppe Dossetti (1913-1996) è stato un personaggio che ha dato moltissimo all’Italia. Insieme ad altri democristiani come Giorgio La Pira, Aldo Moro, Amintore Fanfani, contribuì a definire la “terza via italiana” all’economia, né socialista, né capitalista.
Molto del successo economico dell’Italia negli anni ’60-’70 e ’80 lo dobbiamo a questi veri politici che hanno servito l’Italia con cuore e competenza.
Dossetti fu giurista (esperto di diritto canonico), poi partigiano, padre costituente, deputato, politico democristiano.
Lasciò quindi la vita politica per diventare sacerdote, prendendo parte al Concilio Vaticano II, passando infine alla vita monastica.

In questo articolo esponiamo alcuni sui interventi che delineano la sua visione dell’economia. Una visione che certamente condividiamo, molto distante dalle attuali politiche liberisti adottate dall’Unione Europea e dall’Italia.

 

Documento programmatico “La democrazia cristiana ai lavoratori” (1944)

[…] Se lasciamo alla base le vecchie fondamenta e all’interno le stesse travature e le stesse volte, la democrazia sarà soltanto formale e il mutamento non sarà definitivo né sicuro.
Oltre le riforme politiche, bisogna dunque realizzare delle riforme nella struttura economica sociale. Non basta la libertà, ci vuole la giustizia sociale ed economica.
Le fondamenta e le pietre angolari dell’edificio devono essere le forze organizzate del lavoro.
Lavoratori dei campi e delle officine, del commercio e delle professioni, del pensiero e della penna, la base della nuova comunità nazionale sarete voi, se lo vorrete con tenacia, se vi preparerete con coscienza, se sarete capaci di iniziative disciplinate.
Noi vi chiamiamo all’organizzazione del lavoro (sindacale e professionale), a ricostituire le cooperative e le casse rurali, a sviluppare l’artigianato e la piccola industria, a rafforzare la classe dei piccoli e medi proprietari agricoli. Sono le vostre forze autonome che continueranno la società di domani. Un popolo libero e maturo, consapevole del proprio destino, non ha bisogno di dittature o di provvedimenti che deprimono l’iniziativa personale: si salva da sé.
La politica sociale dello Stato dovrà però aiutarvi e aprire la via, abbattendo gli ostacoli creati dall’egoismo umano e dallo sgoverno.
Facendo anzitutto appello a tutte le risorse disponibili e a tutte le forze sociali, lo Stato deve bandire per sempre lo spettro della disoccupazione.
Non il sussidio, ma il lavoro è la questione essenziale.
Lo Stato deve fare un piano di lavori e sviluppare una politica economica in modo che ci sia lavoro per tutti, sia pure tenendo conto — ove occorra — di proficue correnti migratorie. La seconda meta della politica economica deve essere la diffusione della proprietà privata.
Bisogna mirare ad abolire il proletariato. Il tipo del salariato puro che non possiede che le braccia e la prole affamata deve scomparire.
Il lavoro deve assicurare a ciascuno non solo il necessario per il mantenimento della famiglia, ma anche il mezzo per fare dei risparmi.
Lo Stato ha il dovere di intervenire per impedire l’eccessivo accumularsi della ricchezza. La colpa principale di questa tremenda piaga della plutocrazia fu proprio lo Stato coi suoi appalti, colle sue forniture di pace e di guerra; e quindi è dello Stato anche il dovere di demolirla e renderla in futuro impossibile. L’Italia è un paese povero; se vi sono troppi ricconi, vuol dire che vi sono troppi miserabili. Qui devono puntare gli sforzi della nostra politica economica, finanziaria e fiscale.

 

Intervento del 3 ottobre 1946 all’Assemblea Costituente.
Un controllo sociale della vita economica che si ispiri a queste tre garanzie essenziali: effettiva democrazia politica, che consenta la più larga possibilità di critica nei confronti del modo con cui il controllo economico viene esercitato; garanzia di un minimo di proprietà personale come risultato del lavoro e del risparmio di ciascuno; articolazione, infine, dei diversi organi in cui il controllo sociale della vita economica si verrà a realizzare, in maniera che non si abbia un accentramento esclusivo e sopraffattore nelle mani dello Stato; un controllo siffatto non solo non è dal suo partito temuto come motivo di sopraffazione o di limitazione della libertà personale, ma anzi è auspicato come l’unica possibilità per dare alle libertà, espresse in termini generici ed in termini giuridici, un contributo effettivo e concreto …
Ora, l’esperienza
storica insegna che il lasciare libero giuoco alle forze naturali ed economiche porta ad una sopraffazione; quindi non bisogna accettare, ma si deve respingere la soluzione ottimistica del libero e spontaneo giuoco delle forze economiche.

 

Resoconto della seduta parlamentare del 2 luglio 1951 (Corriere della Sera)

“Ha preso la parola l’on. Dossetti il quale, pur dando atto al Governo dell’azione compiuta, ha lamentato che gli effetti di essa siano venuti a mancare, soprattutto perché i provvedimenti sono sfasati rispetto al momento in cui dovrebbero essere presi: in relazione, poi, alla
esigenze nuove che richiedono, oltre ad un maggior tempismo, anche un’intensificazione dell’azione di Governo nel campo economico e sociale e nella lotta contro la disoccupazione, incrementando gli investimenti di Stato, da una parte, e dando maggior respiro al credito dall’altra, a favore dell’iniziativa privata […]”

 

 

Lascia un commento