Fuori dall’Europa? Perché? E come?

di Davide Gionco

L’Italia è in una profonda crisi economica, e sociale, da almeno 25 anni ovvero da quando sono entrate in vigore le decisioni politiche prese nel trattato europeo di Maastricht del 1992. Da allora è stato un continuo peggioramento ed un continuo inasprimento dei vincoli alle politiche economiche di sviluppo nel nostro paese. L’obbligo di ridurre il rapporto debito/PIL al 60% combinato al limite posto al 3% al rapporto deficit/PIL ha obbligato i vari governi a fare ripetutamente degli attivi di bilancio primario. Ovvero a raccogliere in tasse dagli italiani di più di quanto spende ogni anno sotto forma di servizi e di investimenti pubblici. Si veda nella tabella sottostante i valori positivi nella colonna “Saldo primario”. Dal 1992 ad oggi gli italiani hanno pagato imposte più di quanto hanno ricevuto dallo stato per circa 860 miliardi, circa 14’300 euro per ogni italiano.

L’attuazione per oltre 25 anni di questo tipo di politiche ha portato ad un progressivo depauperamento del paese, con l’aumento del numero di poveri, la riduzione del reddito, l’aumento del lavoro precario, l’aumento dell’emigrazione dei nostri giovani e la denatalità, causata dalla mancanza di prospettive economiche.
Tutto questo per garantire le rendite finanziarie di un ristretto gruppo di potere, il famoso 1% del mondo che sta facendo dell’Italia sostanzialmente quello che vuole.

Sono sempre più persone in Italia che si rendono conto che l’adesione all’Unione Europea è stata una scelta terribilmente sbagliata, che ci ha danneggiati.
Si ritiene che le regole europee siano, quindi, la principale causa dei nostri mali.
Questo certamente è vero, ma molto ci hanno messo anche i troppi politici incapaci (se non venduti ai poteri forti della finanza) che ci hanno governato, applicando quelle regole europee in modo più realista del re.
I trattati internazionali non sono equivalenti a delle leggi che si applicano in modo rigoroso, con tanto di polizia e tribunali, in un paese democratico. A chi studia la storia, ma anche a chi studia la geopolitica di oggi, è del tutto evidente che i trattati internazionali vengono rispettati di più dai più deboli e vengono rispettati di meno dai più forti.
In questi anni di Unione Europea paesi come Germania e Francia, ma anche Paesi Bassi, Lussemburgo e Irlanda, sono stati “più uguali degli altri”. Hanno preteso che paesi “vittime” come Italia e Grecia applicassero rigorosamente quanto previsto dai vari trattati, mentre loro disattendevano le parti dei trattati che non erano funzionali ai propri interessi economici, in particolare quelli legati alle grandi industrie tedesche (con annesso il porto di Rotterdam) ed ai principali istituti finanziari europei.
Per intenderci: stare nella UE per alcuni paesi è stato, ed è tutt’ora, vantaggioso, mentre per altri è stato dannoso. La Germania sfora ripetutamente il vincolo del 6% sull’attivo della bilancia commerciale. La Francia sfora ripetutamente i vincoli al deficit pubblico. Paesi come Lussemburgo, Paesi Bassi ed Irlanda sono dei paradisi fiscali dentro la UE, intoccabili.

Quindi la questione non è semplicemente “uscire dall’Unione Europea” per liberarci dal vincolo di quelle regole, ma è di trovare il modo di non essere obbligati ad attuare quelle regole sbagliate.
Facciamo un esempio concreto. La Gran Bretagna, che ha votato SI alla Brexit e che sta uscendo (in malo modo) dalla UE, stava nell’Unione, ma con tutta una serie di eccezioni, per cui le “regole europee” che vigevano per il Regno Unito non erano le stesse dell’Italia. Altri paesi europei, ma non appartenenti all’Unione, come la Norvegia e la Svizzera, hanno sottoscritto con la UE tutta una serie di accordi e di trattati, come il Trattato di Schengen sulla libera circolazione e come non pochi accordi economici, per cui la loro situazione effettiva, dal punto di vista giuridico-internazionale, non è così distante da quella che era la posizione del Regno Unito.
Come dire: l’adozione delle regole europee non è qualcosa bianco o nero, ma è qualcosa fatto di tutta una gamma di sfumature dal bianco al nero, che variano dall’attuazione radicale di quanto previsto nei trattati europei (come ha fatto e fa l’Italia, pagandone a caro prezzo le conseguenze), fino alla totale estraneità alle regole europee (come fa ad esempio la Russia), ma passando per molte situazioni intermedie, come quella della Germania e Francia, che violano i trattati senza timore di subire sanzioni e richiami, come quella della Svizzera che sta formalmente fuori, ma adotta molte regole della UE.

Queste premesse sono molto importanti per comprendere la strada da seguire per liberare l’Italia dagli obblighi di attuazione delle regole europee che tanto ci danneggiano.
Se guardiamo non alla teoria, ma alla pratica; se guardiamo non all’ideologia “No Europa”, ma alla sostanza “liberiamoci da quelle regole”, allora posiamo immaginare un percorso di liberazione dalle regole europee, dalle regole che favoriscono la finanza internazionale che ci sta depredando. Seguire un percorso è cosa diversa che uscire dall’Unione Europea da un giorno all’altro, a seguito di una decisione politica.
L’opzione ideologica ci prospetta un’unica soluzione: fare un partito “antieuropeista”, vincere le elezioni, andare al governo e uscire dai trattati europei.
L’opzione pragmatica, invece, ci fa guardare alla Germania ed alla Francia, che pur stando nella UE non rispetta le regole “scomode” che la UE impone agli altri. Se l’Italia sapesse avere lo stesso potere contrattuale di quei paesi, potrebbe serenamente ignorare le “letterine” della Commissione Europea, i richiami della BCE e rimandare a casa con un pugno di mosche eventuali funzionare della Troika che venissero a Roma per ricattare governo e parlamento, come avvenne nel 2011.
L’opzione pragmatica ci fa anche guardare a Svizzera e Norvegia, che hanno deciso di aderire ad alcuni trattati europei e non ad altri, che hanno stipulato con la UE degli accordi commerciale e di cooperazione, ma senza l’obbligo di subire dei vincoli alle propri politiche di bilancio.
L’opzione pragmatica consente ad un paese di cogliere i vantaggi e le necessità di un paese geograficamente inserito in Europa. Uscire dalla UE sbattendo la porta e chiudendo i rapporti con i nostri vicini di casa, infatti, non è di certo una soluzione vantaggiosa per il nostro paese.

La questione chiave è il “potere contrattuale“. Cos’è che consente a Francia e Germania di violare i trattati europei, mentre ad altri paesi non è consentito di farlo?
Io ritengo che vi siano due fattori fondamentali che garantiscono a questi paesi tale libertà di azione.

Il primo fattore è la consapevolezza della propria classe dirigente del potere contrattuale. Francia e Germania sanno che senza di loro l’Unione Europea non sussisterebbe. Sanno di essere dei grandi paesi, con un sistema finanziario ed industriale importanti.
Se la Commissione Europea pensasse di mandare una “letterina” e di attivare una procedura di infrazione nei loro confronti, farebbero semplicemente finta di niente, dal punti di vista ufficiale. E dietro le quinte manderebbero dire al funzionario europeo di turno “ricordati che siamo Francia e Germania e non rompere…”.

Il secondo fattore decisivo è liberarsi dagli strumenti di ricatto.
I gruppi di potere che gravitano intorno a Francoforte, Parigi e Bruxelles hanno due importanti armi di ricatto nei confronti dei paesi europei “ricalcitranti”, come ad esempio lo era la Grecia di Tsipras nel 2015 o l’Italia di Berlusconi nel 2011 (il quale aveva messo in discussione la moneta unica euro e le politiche della UE in alcuni suoi discorsi).

Nel 2011 gli esponenti della Troika europea si presentarono (fatti dimostrati dalle interviste rilasciate fra gli altri dall’on. Andrea Orlando del PD e Massimo Garavaglia della Lega, disponibili su Bbyoblu ) ai leader politici italiani dicendo che se non si fosse dimesso Berlusconi, lasciando il posto a Mario Monti, essi avrebbero smesso di comperare titoli di stato italiani sui mercati, lasciando in soli 2 mesi lo stato italiano senza liquidità per pagare stipendi e fornitori. “Essi” chi? Ma naturalmente coloro che dispongono del denaro per acquistare grandi quantità di titoli sui mercati: la BCE ed i principali istituti finanziari europei.
Il fatto che l’Italia non disponga di proprie riserve di liquidità per pagare gli stipendi dei dipendenti pubblici ed i propri fornitori, ma che dipenda per questo dalla benevolenza della Troika e di chi essa rappresenta, impedisce ad un qualsiasi governo di assumere delle posizioni contrastanti con i loro interessi. E, quindi, impedisce di infrangere i trattati europei, che sono stati scritti per tutelare i loro interessi. Francia e Germania, invece, non hanno questo problema, perché i loro governi operano in sinergia con i suddetti poteri finanziari che agiscono per depredare le ricchezze dell’Italia.

Il secondo potere di ricatto da parte della Troika è la possibilità di bloccare il circuito privato dei pagamenti bancari, cosa che fu fatta in Grecia nel 2015 per convincere Tsipras e piegarsi alle richieste del “creditori” franco-tedeschi. La Troika ha il potere di bloccare l’accesso ai bancomat per convertire in banconote i nostri risparmi, di bloccare i pagamenti con i bancomat e con le carte di credito. Quindi di bloccare l’economia del paese, cosa che non poteva avvenire quando i pagamenti avvenivano per lo più tramite banconote, assegni girabili, cambiali girabili, ecc.
Se la piattaforma dei pagamenti elettronici, che oggi rappresentano circa il 95% del totale, è in mano alla BCE che controlla tutte le banche, questi possono presentarsi al governo di turno e minacciare di bloccare l’economia dell’interno paese se non ci si adegua alle loro richieste, nello specifico le richieste di rispettare rigorosamente i trattati europei.

Fatte queste considerazioni si conclude che non è realistico pensare di intraprendere un percorso di uscita dall’Unione Europea, come anche un percorso di “liberazione di fatto” pragmatica dalla necessità di rispettare tutte le regole sbagliate della UE (fare come Francia e Germania), se prima non ci si libera dalle armi di ricatto che la Troika possiede.
Quindi la vera differenza non è fra uscire dalla UE sbattendo la porta o restarci dentro rispettando tutte le regole, ma è fra l’avere o non avere la capacità concreta di liberarsi dalle armi di ricatto che la UE usa contro di noi. Oltre, naturalmente, ad avere la consapevolezza di potersi affrancare da questo sistema di potere.

Ma come ci possiamo liberare da queste armi di ricatto?

Per liberarci dal ricatto della mancanza di liquidità per lo Stato l’unica soluzione possibile è iniziare ad emettere una moneta parallela pubblica, la quale circoli parallelamente e indipendentemente dall’euro, venendo emessa da un soggetto pubblico sottoposto al controllo politico ed essendo utilizzabile per il pagamento delle tasse, fatto che la rende accettabile e spendibile sul territorio italiano. Nel momento in cui la Troika cessasse di acquistare titoli di stato italiani, tutti i pagamenti potrebbero essere comunque onorati usando la moneta parallela. A quel punto l’arma di ricatto sarebbe totalmente spuntata e priva di efficacia e l’Italia potrebbe rispedire al mittente le letterine di Bruxelles, senza timori di restare senza liquidità.
Circolano già delle proposte in tal senso: i Certificati di Credito Fiscale, i SIRE di Moneta Positiva, le statonote di Nino Galloni. Tutte proposte contenute nel Piano di Salvezza Nazionale www.pianodisalvezzanazionale.it .

Per liberarci dal ricatto del blocco del sistema dei pagamenti bancari e dei bancomat l’unica soluzione è quella di realizzare una piattaforma per i pagamenti che sia indipendente dal controllo della BCE ed indipendente dalle banche private. In realtà l’operazione non è così complessa, perché già oggi in Italia cittadini ed imprese dispongono di fatto di un conto corrente fiscale unilaterale, attraverso il quale pagano le tasse al governo. Il numero di conto corrente è il nostro codice fiscale o il numero di partita IVA della nostra impresa. Basterebbe rendere i rapporti fra questi conti correnti bilaterali (io pago lo stato e lo stato paga me) e poi multilaterali (dal conto corrente fiscale io Tizio posso pagare Caio), per trasformare il nostro sistema di pagamenti fiscali in una piattaforma bancaria pubblica a supporti dei nostri pagamenti. Eventualmente agganciata alla moneta parallela emessa dallo Stato, di cui al paragrafo precedente. Una proposta in tale senso è quella dei Conti Pubblici di Risparmio, sempre presentata nel Piano di Salvezza Nazionale.
Una volta messa in atto questa riforma anche la seconda arma di ricatto della Troika diventerebbe spuntata.

Finalmente, liberati dalle armi di ricatto della UE, per liberarci dal sistema di regole europee sarà sufficiente avere la consapevolezza di cosa rappresenta l’Italia in Europa: un grande paese, con una grande economia, con una propria dignità, con un popolo che soffre e le cui esigenze devono stare prima degli interessi dei gruppi finanziari internazionali. L’Italia potrà decidere, avendone la forza per farlo, se di restare dentro l’Unione Europea, ma adottando solamente le regole che ritiene conveniente adottare (e rigettando quelle che non ci convengono) o se decidere di uscire ufficialmente dai trattati europei. La decisione di merito soppesando i pro e i contro potrà essere presa in tutta serenità, senza essere sottoposti a ricatti di vario genere, come avviene oggi.

In conclusione vorrei invitare tutti coloro che hanno compreso i problemi derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea a non dividersi su inutili dispute ideologiche “antieuropeiste”, ma di concentrarsi soprattutto sulla “iva pragmatica” ovvero sullo studio del percorso da seguire per liberarci dalle armi di ricatto dei poteri finanziari internazionali e su come accrescere la consapevolezza di quello che l’Italia può permettersi di fare in Europa.

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