Franco CFA: degli economisti denunciano “la servitù monetaria” dell’Africa

Pubblichiamo alcuni estratti del libro “Far uscire l’Africa dalla schiavitù monetaria. Chi beneficia del franco CFA?”.
Si tratta di un libro scritto da quattro economisti, che ha ricevuto il sostegno della fondazione Gabriel-Péri Foundation, un think tank specializzato in economia e storia sociale.

I problemi fondamentali dell’Africa sono simili a quelli che affliggono l’Eurozona in Europa: una moneta unica fuori dal controllo politico dei vari paesi, un tasso di cambio fisso con l’euro (moneta troppo forte), fughe di capitali verso i paesi più ricchi dell mondo grazie alla libera circolazione dei capitali, libertà di azione (e di rapina) per le multinazionali, oligopolismo bancario che limita l’accesso al credito.

Perché molta gente fugge dall’Africa? Succede perché sono poveri e sono mantenuti poveri per assicurare la sicurezza di pochi ricchi in Africa e in Occidente, in particolare in Francia.

I testi che seguono sono tratti e tradotti dall’articolo pubblicato da Benjamin Polle il 28 settembre 2016 sul sito internet
http://www.jeuneafrique.com/360706/economie/bonnes-feuilles-sortir-lafrique-de-servitude-monetaire-a-profite-franc-cfa/


“Un meccanismo obsoleto”

Carlo Lopes, ex segretario generale aggiunto delle Nazioni Unite, originario della Guinea Bissau, anche segretario esecutivo della Commissione Economica per l’Africa, ha recentemente dichiarato all’Agenzia France Presse che il franco CFA è “un meccanismo obsoleto“.

E’ davvero necessario discutere sull’Area del franco CFA“, ha detto lo stesso Lopes il 28 settembre scorso durante una visita alla sede dell’UNESCO a Parigi.
Nessun paese al mondo può avere una politica monetaria immutabile per trent’anni. Questo avviene nell’Area del franco. Quindi c’è qualcosa di sbagliato“.

 

Gli autori

Uno degli autori del libro è Kako Nubukpo, togolese, fervente oppositore del franco CFA, che ha recentemente rilasciato un’intervista al nostro sito Jeune Afrique, dichiarando: “non tenete separate il dibattito sulla moneta dal dibattito sullo sviluppo economico“.

Ministro per 2 anni in Togo, laureato in economia presso l’Università di Lione-2, è entrato a far parte dell’Università di Oxford dal settembre 2015, dove intende influenzare il dibattito pubblico, in particolare sul franco CFA.
Kako Nubukpo è anche stato macroeconomista e capo della sede BCEAO (Banca Centrale dell’Africa Occidentale) a Dakar fra il 2000 e il 2003.

Nelle conferenze pubbliche di economia tenutesi a Lomé a febbraio e marzo 2015, l’ex ministro ha suggerito di adottare nuove misure per promuovere la crescita nell’Unione Economica e Monetaria dell’Africa Occidentale (UEMOA).

Il secono autore, Bruno Tinel, docente all’Università di Parigi 1-Pantheon Sorbonne, è anche l’autore del libro “Debito pubblico, uscire dal catastrofismo”.
Si è particolarmente distinto come principale avversario delle politiche monetarie delle banche centrali dei paesi dell’Area del franco CFA.

Un altro coautore del libro è il senegalese Demba Moussa Dembelé, direttore del Forum africano delle alternative e coordinatore di ARCADE (Ricerca e Cooperazione Africana per il Supporto allo Sviluppo Endogeno).

Infine il camerunense Martial Belinga, economista e sociologo, caporedattore del sito Afrikara.com, che ha anche pubblicato nel 2012 il libro “In-Dépendances. Discorso sul colonialismo dopo la colonia”.

 

A seguire alcuni estratti dal libro “Far uscire l’Africa dalla schiavitù monetaria. Chi beneficia del franco CFA?”

 

Il funzionamento ed il ruolo dei conti di transazione tra la Francia e i paesi africani, di Bruno Tinel

È davvero giustificato continuare ad affermare che la” stabilità monetaria “, così come concepita e praticata in entrambe le aree del franco CFA, è una condizione necessaria e non un ostacolo allo sviluppo endogeno degno di questo nome?

Troppo spesso, la nozione di” stabilità monetaria “serve ad impedire il dibattito: chi sarebbe abbastanza folle da difendere l’instabilità e il caos monetario? Tuttavia, la nozione di “stabilità monetaria” non è evidente e ha senso solo in relazione alle dinamiche macroeconomiche generali.
Nelle aree del franco CFA, questa nozione dà troppo spesso l’impressione di servire per conferire rispettabilità a una politica monetaria che è in realtà troppo restrittiva e che serve principalmente gli interessi ben evidenti delle imprese europee – in particolare francesi – che operano nei paesi membri di quest’area monetaria e delle élites dei rentiers (coloro che vivono di rendite).

Una politica monetaria guidata dagli interessi dello sviluppo locale non è possibile nelle aree del franco CFA, per come funzionano attualmente.
Tuttavia, insieme a politiche industriali proattive, si potrebbero adottare delle strategie molto più favorevole alle attività economiche, allo sviluppo e all’integrazione reciproca tra settori industriali nazionali.
Certo, molto probabilmente questo si tradurrebbe in un tasso di inflazione superiore al 2,5% annuo che si riscontra invariabilmente nelle zone CFA, ma sarebbe poi così grave?
Se l’inflazione aumenta un poco, questo è un buon segnale: significa che la domanda interna è forte e, inoltre, rende le finanze pubbliche più sostenibili perché le entrate fiscali diventano più dinamiche ed il peso effettivo dei debiti si riduce. Lasciando salire l’inflazione al 4%, al 6% o anche all’8%, l’instabilità complessiva non sarebbe necessariamente maggiore e ciò incoraggerebbe gli investimenti piuttosto che i risparmi.

 

I “conti delle operazioni” tenuti presso il Tesoro francese

In cosa consistono i conti delle operazioni? Le banche centrali delle due aree del franco CFA non garantiscono esse stesse la stabilità della loro moneta rispetto all’euro, ma è il Tesoro francese, tramite il bilancio dello Stato (e non tramite la Banca di Francia) che se ne fa carico.

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In cambio di questa convertibilità, le riserve valutarie sono centralizzate a due livelli: gli stati delle due aree del franco CFA, UEMOA e CEMAC, centralizzano le loro riserve valutarie tramite le loro banche centrali, le quali sono a loro volta tenute a depositare il 50% delle riserve presso il Tesoro francese, su di un “conto delle operazioni” aperto per ciascuna delle due banche centrali.

Il valore esterno del franco CFA è quindi delegato ad una entità esterna, il Tesoro francese, la quale beneficia di queste riserve per i propri finanziamenti.
Da questo punto di vista, questo sistema di centralizzazione delle monete CFA contribuisce persino a finanziare una frazione molto piccola (0,5%) del debito pubblico francese.

La Francia è in grado di svolgere questo compito in quanto le economie delle zone CFA sono molto piccole in termini di economia propria.
Il PIL delle aree UEMOA e CEMAC rappresenta il 7% del PIL della Francia nel 2014, per una popolazione due volte e mezzo più grande. Se le economie delle due sottoregioni CFA dovessero crescere troppo velocemente, la Francia sarebbe meno in grado di assicurare questo paternalismo monetario nei loro confronti.

Il sistema CFA richiede alle banche centrali africane dell’area di coprire il 20% delle loro passività a vista con valute estere (di cui almeno la metà deve essere depositata presso i conti del Tesoro francese), tuttavia, sottolinea Kako Nubukpo, già nel 2007  il tasso di copertura delle emissioni nei fatti si avvicina al 100%.

 

I possibili spazi di manovra per il finanziamento dell’economia africana

Nelle aree del franco CFA sarebbe possibile condurre una politica monetaria più accomodante e quindi più attenta alle esigenze di finanziamento delle economie interessate.
E’ una questione per nulla trascurabile, in quanto stiamo parlando dei paesi fra i più poveri del pianeta.
L’eccesso di riserve dimostra che le autorità monetarie e finanziarie hanno un margine considerevole per promuovere il finanziamento dell’economia: strutturare l’offerta, creare la domanda e quindi promuovere delle attività produttive.

Perché mai non esiste questo spazio di manovra? Perché i suoi dirigenti sono più realisti del re e mantengono un tasso di copertura quattro o cinque volte superiore alla soglia minima richiesta dai trattati?

 

Messa in discussione del cambio fisso del franco CFA con l’euro

Nel sistema attuale l’equilibrio esterno ha la precedenza sull’equilibrio interno. La sfida è quella di invertire questa gerarchia, in modo che gli obiettivi interni siano presi maggiormente in considerazione, senza che l’instabilità monetaria sia tale da distruggere quanto acquisito. Questo avverrà indubbiamente un giorno o l’altro, mettendo in discussione la parità di cambio del franco CFA con l’euro.
Si tratta di un passaggio inevitabile, sia economico che politico, in quanto implica anche il recupero della sovranità e, quindi, si tratterebbe di una rottura non solo simbolica con il vecchio sistema coloniale francese.

 

Il franco CFA e il finanziamento dello sviluppo dell’Africa Centro-Occidentale, di Kako Nubukpo

Quattro fattori principali consentono di definire i contorni del franco CFA, visto come uno strumento di sviluppo economico o, al contrario, come uno strumento di inerzia delle economie africane dell’area.

1. La debolezza degli scambi intracomunitari

Nella misura in cui le economie dell’UEMOA mantengono un’integrazione primaria con il commercio internazionale, esse sono più sostituibili che complementari l’una con l’altra.

La realtà estroversa delle economie dell’area UEMOA rende praticamente privo di vantaggi condividere una stessa valuta, in questo momento il franco CFA.

In ogni caso la questione della trasformazione strutturale delle economie africane è al centro di questa questione, nella misura in cui solo la ripresa del controllo delle generazione di valore consentirà alle economie dell’area del franco di scambiare beni e servizi sufficientemente diversificati in modo da generare un aumento della quota degli scambi intracomunitari.

2. Una competitività frenata da una moneta troppo forte

Le economie dell’area UEMOA soffrono di un problema di competitività dei prezzi delle esportazioni a causa del collegamento del franco CFA con l’euro, una valuta troppo forte. Una moneta forte agisce come una tassa sulle esportazioni e come un sussidio sulle importazioni, rendendo difficile avere una bilancia commerciale estera equilibrata.

3. Sottofinanziamento cronico dell’economia locale

Le economie dell’area del franco CFA sono caratterizzate da un razionamento del credito le cui cause si rifanno sia all’agenda nascosta delle due banche centrali dell’area (il BCEAO per l’area UEMOA e il BEAC per l’area CEMAC) sia all’estrema riluttanza del sistema bancario locale.

In questo modo ci ritroviamo in un sistema in cui la gestione dei prezzi (i tassi di interesse) è teoricamente responsabile della regolamentazione del volume delle liquidità bancarie, ma un un sistema in cui, di fatto, perdura il vecchio sistema di controllo del credito.

4. La struttura altamente oligopolistica del settore bancario

Riguardo al secondo punto, quello della riluttanza del sistema bancario locale, questo non è altro che il corollario del precedente ovvero la manifestazione di una repressione finanziaria che alimenta la repressione monetaria.

In effetti, una caratteristica importante del sistema finanziario dell’area del franco CFA è la struttura altamente oligopolistica del settore bancario, che costituisce un fattore di rigidità dei tassi di interesse delle banche.
Le banche dell’UEMOA non hanno realmente bisogno di quelle del BCEAO per rifinanziarsi, nella misura in cui non solo dispongono già di molta liquidità, ma anche adottano anche un comportamento, tacito o comprovato, finalizzato all’obiettivo di massimizzare il profitto a breve termine.

Il risultato finale di questi due problemi, vale a dire, da un lato, la priorità alla difesa del tasso di cambio fisso fra il franco CFA e l’euro rispetto alle evoluzioni congiunturali interne e, dall’altro, il razionamento endogeno del credito bancario, sono la costituzione di riserve monetarie eccessive delle banche centrali dell’area del franco CFA presso il Tesoro francese.

Per la zona UEMOA le attività nette sull’estero ammontavano a 5’208 miliardi di franchi CFA circa 8 miliardi di euro] al 31 dicembre 2014 per il BCEAO, con un tasso di copertura delle emissioni valutarie dell’84,3%.
Per la zona CEMAC, le attività nette sull’estero ammontavano nello stesso periodo a 8’387 miliardi di franchi CFA per il BEAC [circa 12,8 miliardi di euro], con un tasso di copertura dell’89,8% sulle emissioni monetarie, attraverso il cosiddetto meccanismo dei “conti delle operazioni”.

Vari studi empirici, condotti in particolare nella zona UEMOA e nelle economie in transizione, hanno anche dimostrato che le politiche monetarie restrittive hanno un impatto macroeconomico recessivo mentre i modelli neo-strutturalisti insistono sugli gli effetti perversi dell’adozione politiche monetarie restrittive nelle economie in via di sviluppo.
Le due principali banche centrali dell’area del franco CFA (BCEAO e BEAC) dovrebbero concentrarsi su:

  1. Rafforzamento del coordinamento tra la politica monetaria e le politiche di bilancio nazionali (il “policy mix”) per una crescita economica forte e sostenibile nelle economie dell’area.
  2. Maggiore controllo ed efficienza dei canali di trasmissione della politica monetaria.
  3. Un tasso di cambio del franco CFA più flessibile.

Sviluppo con il franco CFA o sviluppo uscendo dal franco CFA? – di Ndongo Samba Sylla

Prima di tutto il franco CFA è la moneta peggiore possibile, perché la maggior parte dei paesi che la condividono ha avuto negli ultimi cinquant’anni performance economiche basse e al di sotto della media africana.

 

La facilitazione dell’estrazione del surplus economico dall’Africa verso l’estero

In secondo luogo, il franco CFA è una moneta coloniale il cui scopo principale è sempre stato quello di facilitare l’estrazione di surplus economico dall’Africa verso all’estero, il che spiega la straordinaria entità dei trasferimenti di profitti e dei flussi finanziari illeciti che continuano a provenire dall’area del franco CFA.

In terzo luogo, il franco CFA è una valuta disfunzionale la cui combinazione con altri strumenti di politica economica fornisce la ricetta per un cocktail economico mortale.

Infine se il franco CFA è stato in grado di perdurare nonostante il suo ovvio fallimento nello stimolare lo sviluppo, è perché esso è anche il nome di un sistema strutturato di repressione politica.

In generale, i paesi dell’area del franco CFA hanno raramente potuto ottenere, nell’arco di un decennio, un tasso di crescita medio del PIL reale pro capite superiore all’1%.
Non è quindi sorprendente constatare che l’appartenenza all’area del franco CFA faccia rima con una crescita economica mediamente debole.

In termini di crescita economica, la Guinea Equatoriale è l’unico caso di successo che l’area del franco CFA possa vantare. Purtroppo questo piccolo paese petrolifero è tutto fuorché un modello di sviluppo.
Il paradosso è che il paese più ricco d’Africa (e persino più ricco della Spagna, il suo ex colonizzatore, se il PIL pro capite viene misurato a parità di potere d’acquisto) è ancora classificato tra i paesi meno sviluppati del mondo!

Prendiamo il caso della Costa d’Avorio.
Malgrado i recenti dati lusinghieri che ha raggiunto, il suo PIL pro capite reale nel 2014 è del 41% inferiore al suo miglior livello di PIL pro capite reale raggiunto alla fine degli anni 1970.
A medio termine, la sfida per quel paese è recuperare il livello economico perso dagli anni 1980 e non quello di raggiungere i livelli della Corea del Sud.
Il recupero non avverrà entro il 2020, neppure se ci mettessero tutta la buona volontà. È importante sottolineare che tutti i “mastodonti” dell’area del franco CFA – Camerun, Costa d’Avorio, Gabon, Congo, Senegal – sono in fase di ricostruzione economica.
Per riassumere la situazione, l’area del franco CFA attualmente comprende 11 paesi fra i meno sviluppati del mondo e 4 paesi che in termini assoluti si stanno impoverendo (Costa d’Avorio, Gabon, Camerun, Congo).

 

Ad oltre 50 anni dall’indipendenza i paesi dell’area del franco CFA restano più che mai nella trappola della specializzazione primaria.

In questo contesto (coloniale), quando si dice che una certa colonia esporta un tale prodotto in Francia, in realtà è la Francia che li esporta verso la Francia.
Infatti le imprese francesi possono trasferire illimitatamente i loro profitti in Francia.
L’integrazione monetaria interviene in questo contesto riducendo i costi di transazione (converticilità con l’euro), mantenendo il valore (bassa inflazione e moneta forte) e facilitando l’estrazione del surplus economico verso la Francia.

Evidentemente questo sistema coloniale non può consentire la diversificazione del tessuto produttivo, l’integrazione commerciale a livello comunitario, lo sviluppo di un consistente risparmio interno e l’emergere di un settore privato nazionale.
Tutto questo è rimasto immutato fino ad oggi dai tempi dell’indipendenza formale dei vari paesi dalla Francia.
Da allora le relazioni economiche della “Francafrica” sono rimaste invariate.
Ciò che è cambiato nel frattempo è soprattutto l’ambiente economico globale che è diventato più competitivo e multipolare.

Paesi come la Guinea Equatoriale e il Congo, che sono dei nani economici, hanno registrato nel periodo osservato dei pagamenti netti di utili verso l’estero superiori a quelli della Corea del Sud (35 miliardi di dollari di meno).
Inutile dire che lo sviluppo economico è impossibile in paesi che sopportano livelli così alti di estrazione di capitali e di eccedenze economiche così a lungo termine.

Non c’è dubbio che questa emorragia finanziaria sia aggravata dall’istituzionalizzazione del principio del trasferimento illimitato di capitale all’interno dell’area del franco CFA e verso la Francia. Quando si vede quanto i paesi della zona CFA sono dissanguati dai trasferimenti di profitti e dai flussi finanziari illeciti, si apprezza meglio l’inutilità del discorso che vede lo sviluppo economico come sinonimo di alti tassi di crescita economica del PIL.
Vi è anche l’urgente necessità di passare dalla decolonizzazione passiva ed economica alla decolonizzazione economica verticale e attiva, che implica il rifiuto di essere una “neocolonia” e il desiderio di determinare la propria agenda politica ed il potere di controllo sulle proprie istituzioni economiche.

Il franco CFA ha molti difetti già di per sé. Combinato con altri strumenti di politica economica, la cui colorazione neoliberista è sempre più pronunciata, costituisce la ricetta per un cocktail economico mortale.
Un tale ambiente macroeconomico non consente lo sviluppo economico!
Fino ad oggi ha invece alimentato ricorrenti crisi politiche ed economiche in un contesto di miseria sociale strutturale.

 

Un sistema di repressione politica

Tra il 1960 e il 2012, l’area del franco CFA è stata teatro di 78 tentati colpi di stato. 37 di questi hanno portato ad un cambio di governo.
Tutti i paesi dell’area, senza eccezioni, sono stati coinvolti. Solo in due paesi, il Senegal e il Camerun, i tentativi di colpo di stato sono falliti, almeno fino ad oggi.

Al di là della classica guerra fra “capi”, questi tentativi di colpi di stato rispondono ad una logica almeno doppia.
Sono certamente rivelatori del disagio socio-economico delle popolazioni. In effetti si sono spesso verificati in contesti di rivolte popolari in risposta alla negligenza e all’arroganza delle élite al potere.
Ma hanno anche obbedito a una logica imperialista: rovesciare gli “indocili” capi di stato in favore di loro successori più favorevoli agli interessi neocoloniali.

Per mantenere l’ordine economico del sistema del franco CFA, i “presidenti unici” sono stati lo strumento privilegiato, soprattutto nei paesi ricchi di risorse naturali.
Questo modello di controllo neocoloniale si basa sulla longevità del potere alla testa dell’esecutivo. Fino ad oggi si è realizzato secondo due modalità: la presidenza a vita e la dinastia familiare.

 

Conclusioni, di Bruno Tinel

Il frutto è maturo, è ora di coglierlo.
Il franco CFA, in qualità di residuo coloniale, è, fra le altre cose, uno degli strumenti per mantenere in vita dei regimi collegati all’antica rete coloniale, al di sopra dei propri popoli e che non si curano del reale sviluppo economico locale.

Permette alle élite facoltose di godere di un accesso privilegiato al mercato globale attraverso una moneta “buona” come l’euro.
Senza il franco CFA l’importazione delle merci di cui le classi dominanti dei paesi africani dell’area hanno bisogno per il proprio consumo personale e per mantenere la propria posizione dominante avrebbe dei prezzi proibitivi.
Le élite di questi paesi possono anche valorizzare la proprie ricchezze grazie al tasso di cambio fisso con l’euro, molto facilmente e senza rischi.
Questa valuta postcoloniale contribuisce così a mantenere abissali differenze di ricchezza e di potere fra la gente comune e le classi dominanti.

 

Una moneta unica dell’UEMOA sotto la guida della Nigeria?

Il futuro ex-franco CFA potrebbe essere parzialmente integrato nel progetto di moneta unica dell’UEMOA sotto la leadership della Nigeria. Rimarrebbe quindi da immaginare cosa ne sarebbe della zona CEMAC. Sarebbe anche possibile immaginare una zona post-franco CFA comprendente le due aree UEMOA e CEMAC, il che limiterebbe la leadership nigeriana sui suoi vicini, più piccoli e meno potenti.

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