Facebook e Google distruggono la Democrazia, tramite le “bolle di filtraggio”

di Davide Gionco

Molti di noi frequentano internet e lo usano come luogo importante di interazione sociale e come fonte principale di informazione, ritenendolo una fonte più affidabile delle televisioni e dei giornali. Più affidabile perché spesso – forse troppo spesso – le notizie confermano quello che già pensavamo di certe situazioni.
Sentirsi confermare quello che abbiamo sempre pensato ci rassicura, ci fa sentire sicuri a casa, non ci obbliga a metterci in discussione.

 

Il concetto della finestra di Overton

Il sociologo statunitense Joseph P. Overton introdusse il concetto della “finestra” dell’opinione pubblica.

In un normale paese democratico esiste una diversità di opinioni sulle varie questioni. Ci sono punti di vista che consideriamo estremi, al di fuori dell’accettabilità. Ad esempio non accettiamo che venga praticata la pedofilia, che è un concetto che si pone al di fuori della “cornice della finestra”.
Nella finestra troviamo le opinioni che sono entrate a fare parte del sistema legislativo vigente, ma anche altre “popolari” o “ragionevoli” che si pensa che potrebbero essere legalizzate.

Nell’antica Grecia la pedofilia era un fatto non legalizzato, ma comunemente accettato e non ritenuto disdicevole.
Come si dice “erano altri tempi…”, ma lo stesso potrebbe dire della nostra società una persona proveniente dal Rinascimento o proveniente da una tribù degli Yanomami dell’Amazzonia.

Dal punto di vista del dibattito democratico in un paese, questo deve necessariamente avvenire fra posizioni diverse, ma sempre all’interno della cornice di accettabilità, mentre le posizioni radicali o addirittura inconcepibili, poste ai due estremi, non trovano spazio nel dibattito pubblico.
All’interno di questa cornice il dibattito democratico è possibile e proficuo, in quanto ogni “partito” considera quantomeno discutibili e degne di essere in qualche modo prese in considerazione le posizioni degli altri partiti, per cui si riesce quasi sempre ad arrivare a delle posizioni di accettabile compromesso.
E’ quello che si chiama la “mediazione politica” e che Otto Von Bismarck definiva “l’arte del possibile” che è la politica.

 

Il concetto delle “bolle di filtraggio”

Introduciamo ora un concetto più recente, elaborato dall’attivista internauta statunitense Eli Pariser: il concetto delle “bolle di filtraggio” (filter bubbles).

Questo concetto ha a che fare con gli algoritmi utilizzati nei social media, come Facebook, Instagram, Twitter e altri, ma anche dai motori di ricerca come Google.
Ricordiamoci sempre che questi operatori su internet, che ci vendono dei servizi apparentemente gratuiti, non sono degli enti di beneficienza, ma traggono profitto dalla profilazione degli utenti funzionale alla vendità di inserzioni pubblicitarie mirate.
Gli algoritmi di Facebook, di Twitter e di Instagram tengono conto dei “mi piace” (like) che abbiamo digitato, tendendo automaticamente a proporci altri contenuti e post di persone per cui abbiamo espresso il nostro gradimento e con i quali abbiamo interagito.
Gli algoritmi di Google tengono conto delle parole che abbiamo ricercato in passato per proporci come “prime selezioni” della ricerca dei contenuti più confacenti a ciò che in passato abbiamo ricercato. La maggior parte dei siti web conserva i cookies e dati di navigazione dei propri visitatori in modo da offrire loro un’esperienza quanto più possibile personalizzata.
Se questi meccanismi sono efficaci per la profilazione degli utenti e per vendere meglio annunci pubblicitari e prodotti, il loro effetto sul dibattito politico è fortemente negativo.

Già in Italia, ai vecchi tempi della polarizzazione fra Democrazia Cristiana e Partito Comunista, esisteva qualche cosa di simile: le persone che facevano riferimento alla Democrazia Cristiana leggevano Il Popolo ed erano iscritte alla CISL, mentre le persone che facevano riferimento al Partito Comunista leggevano L’Unità ed erano iscritte ala CGIL. Nei due “ambienti” le persone che li frequentavano assimilavano una diversa visione del mondo e quindi avevano idee abbastanza diverse, a volt antitetiche. Tuttavia la pervasività dei giornali e dei sindacati si limitava a poche ore di vita a settimana, mentre molto maggiori erano i momenti di vita in cui ci si poteva confrontare con persone “non filtrate”, appartenenti ad altre aree di pensiero politico, con le quali era inevitabile confrontarsi.

Gli algoritmi dei social media e dei motori di ricerca, pur essendo invisibili, creano intorno a noi come delle “bolle trasparenti” di incomunicabilità ideologica con coloro che appartengono ad altre “bolle” in cui si trovano le persone che non hanno la nostra stessa visione politico-ideologica. Non ci vengono mai proposti contenuti provenienti da persone di altre “bolle”, anche se nulla ci impedisce concretamente di accedervi.

La differenza rispetto a 60 anni fa è che oggi i meccanismi che creano le filter bubble sono molto meno evidenti. Una volta era evidente che avevamo scelto di appartenere ad una certa area politica, acquistando un giornale o iscrivendoci ad un sindacato. Sapevamo che c’erano persone di diversa opinione, perché le incontravamo sui luoghi di lavoro e le frequentavamo nelle mille occasioni di relazioni sociali della nostra vita. Oggi, invece, non tutti coloro che navigano su internet sono consapevoli che l’esperienza in rete è soggetta a forme diverse di filtraggio, quindi limitata e limitante. Alla fine viene a crearsi una realtà virtuale, un villaggio in cui abitiamo virtualmente e dove tutti (o quasi) la pensano allo stesso modo, dove è evidente pensarla in un certo modo.

 

Gli effetti sul dibattito democratico

Ogni bolla di filtraggio rappresenta una “finestra di Overton”, dove esistono idee considerate normali e accettabili, insieme a idee considerate estreme e inammissibili.
Il problema è che le idee circolanti in altre bolle di filtraggio corrispondono ad una diversa “finestra di Overton”, nella quale le idee accettabili o inaccettabili possono essere ben diverse da altre bolle.
E non si tratta delle idee “di un giornale” a cui dedichiamo 10 minuti al giorno per una rapida lettura, ma di una comunità di centinaia di persone che frequentiamo quotidianamente da diversi anni, con la quale interagiamo in modo attivo e reciproco.
Il risultato di queste dinamiche è una sostanziale incomunicabilità fra le due diverse comunità di cittadini appartenenti a diverse “finestre di Overton”.

Se quelli aderenti al “partito rosso”, appartenenti alle bolle di filtraggio rosse e sostenenti una maggioranza parlamentare rossa, impongono come legge qualche cosa che essi ritengono essere ragionevole e “popolare”, quelli aderenti al “partito blu”, appartenenti alle bolle di filtraggio blu e sostenenti l’opposizione parlamentare blu, potrebbero ritenere quella legge non solo contraria alla propria opinione politica, ma addirittura una posizione al di fuori della cornice delle idee ammissibili.

La polarizzazione politica viene ulteriormente acuita dall’adozione di leggi elettorali di tipo maggioritario, le quali tendono ad esasperare le differenze e lo scontro politico.
Le conseguenze sul sistema democratico del paese possono essere devastanti.
La ripartizione della popolazione in bolle informatiche non comunicanti (o poco comunicanti) fra loro, le quali hanno la sensazione che sia “normale” pensarla in un certo modo, porta a considerare gli appartenenti alle altre bolle come una esigua minoranza, anche a dispetto dei responsi elettorali, a considerarle persone radicali, estremiste, non degne di entrare a far parte del dibattito democratico.

Quando qualcuno prova ad uscire dalla bolla, tentando di comunicare con l’altra, vi sono alte probabilità che la discussione risulti impossibile, e questo non solo per la cattiva volontà dei soggetti, ma proprio per il fatto di presentare idee al di fuori del quadro di ammissibilità di chi ci ascolta.

Facendo riferimento alla famosa piramide di Graham, che mostra i vari livelli possibili di confronto politico (e non solo), generalmente non si riesce ad andare oltre al Livello 1 ovvero: Livello 0, quando va male il dialogo si riduce ad insulti rivolte a persone che riteniamo non degne di essere prese considerate persone, a motive delle loro convinzioni “non accettabili” (quello che tutti penseremmo, ad esempio, di un pedofilo); Livello 1 quando va bene l’interlocutore non viene considerato credibile e autorevole come persona, per cui lo si liquida in quel modo, senza neppure tentare di capire di cosa ci sta parlando.

Si tratta di una situazione storica e sociale assolutamente nuova, che mette a dura prova la tenuta della Democrazia in un paese, creando spaccature difficilmente sanabili fra la popolazione e spesso su questioni non fondamentali.
Queste dinamiche, ad esempio, portano a polarizzare il dibattito su questioni importanti, ma non fondamentali, come la questione dell’immigrazione, dato che all’interno delle diverse filter bubble la visione del problema è molto differente. Questa incomunicabilità impedisce alle persone di comunicare costruttivamente su questioni primarie, come ad esempio il diritto al lavoro, sulle quali il dialogo sarebbe probabilmente possibile e proficuo per risolvere il problema.

 

Quali soluzioni?

Le soluzioni non sono semplici.
La prima che proporrei, che dipende da ciascuno di noi, è prendere conoscenza di questi meccanismi e di condividerla con altri, il che ci consentirà di avere molta più comprensione e tolleranza nei confronti delle persone che, provenendo da altre bolle di filtraggio, potrebbero esprimere opinioni che reputiamo al di fuori della nostra “finestra di Overton” di accettabilità. Un po’ come comunicare con una persona che non parla la nostra lingua: si deve prima fare lo sforzo di definire dei concetti comunemente compresi, solo dopo si può discutere, in qualche modo. Fondamentale è quindi sforzarsi di trovare delle aree di dialogo in cui le due finestre di Overton riescano ad intersecarsi.

Una seconda soluzione, a livello politico, è che i social media, così come i motori di ricerca su internet, siano regolamentati, chiedendo loro di adeguare i loro algoritmi, se vogliono fornire il “servizio pubblico”, perché tali sono, anche se offerti da privati, i social media ed i motori di ricerca su internet. Le esigenze commerciali dei gestori di questi servizi informatici, che ospitano la vita virtuale di decine di milioni di persone, non possono andare a scapito della tenuta democratica di un paese, portandolo alla sostanziale incomunicabilità fra diversi settori della popolazione.
L’articolo 41 della Costituzione dice chiaramente che l’iniziativa economica privata è libera, ma che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale. E questo vale anche per gli operatori di internet. Questo significa che:
1) o lo Stato fornisce un servizio social per tutti i cittadini privo di algoritmi che polarizzano ed esasperano il dibattito politico nel paese
2) o i fornitori di servizi su internet devono essere obbligati ad adeguare i loro algoritmi, per evitare pericolosi “danni collaterali” alla Democrazia nel nostro paese.

Per il momento, facciamo la nostra parte: prendiamo coscienza del problema e diffondiamo queste riflessioni.

 

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