Ernesto Laclau: Comprendere la logica populista

di Enrico Lafuente
12.08.2015

Il pensiero di Ernesto Laclau presenta delle coordinate chiave per comprendere la logica politica del populismo.

 

Laclau: la sua definizione di populismo
Il popolo non esiste: si costruisce come identità politica. Sarebbe questa una delle premesse de La ragione populista, di Ernesto Laclau (1935-2014). Il titolo è un ammiccamento kantiano (la ragione pura, la ragione pratica, la ragione populista) ed il testo, un’analisi storica, politica e filosofica del fenomeno del populismo, che il filosofo post-marxista argentino non valuta moralmente. Per quanto riguarda la definizione di populismo, tanto elusiva per gli studiosi, Laclau dice; “per “populismo” non intendiamo un tipo di movimento, identificabile con una specifica base sociale o con un determinato orientamento ideologico, ma è una logica politica.
In altre parole, un movimento populista può essere urbano o rurale, di sinistra o di destra, millenarista o teleologico, conservatore o rivoluzionario. Ciò che veramente lo identifica come tale è la forma in cui si articola un discorso che, a sua volta, definisce un concetto di “popolo”.
Un movimento populista nasce, spiega Laclau, quando un insieme di settori della società è escluso, ignorato o squalificato come interlocutore quando domanda delle soluzioni specifiche allo Stato, che riconosce come legittimo. Quelle che inizialmente erano petizioni democratiche si articolano in seguito in una leadership e si convertono in un confronto che implica una rottura con gli schemi tradizionali del suddetto Stato e diventano, quindi, delle acclamazioni popolari. Il processo è noto.

Se mi riferisco ad un insieme di risentimenti sociali, all’ingiustizia generale, e attribuisco la loro causa alla “oligarchia”, per esempio, sto effettuando due operazioni interconnesse: da un lato sto costituendo il popolo trovandogli una identità comune intorno ad un insieme di reclami sociali in opposizione all’oligarchia; dall’altro lato il nemico cessa di essere puramente circostanziale e acquisisce dimensioni più globali.
Laclau descrive qui come un discorso politico “costituisce” il popolo. Se prima esistevano solo settori dispersi, classi, sindacati, identità di gruppo, individui che reclamavano l’inclusione nel dibattito pubblico e nelle soluzioni, il discorso del movimento populista li articola ora come un “ente” (il popolo) che deve sempre affrontare un nemico, un nemico politico.

Un altro elemento centrale dei movimenti populisti è l’esistenza di un leader che promette una soluzione definitiva, della cui pertinenza un ampio settore sociale si convince. Questo individuo rappresenta la possibilità di ristabilire l’unità del popolo con lo Stato, trasformando le relazioni di potere e l’egemonia politica. Gli individui desiderano ristabilire questa unità, dice Laclau seguendo la sua vena freudiana, come un modo per ritornare all’oggetto primordiale del desiderio individuale: il seno materno. Il fattore affettivo degli individui nei confronti del leader diventa, così, una caratteristica onnipresente dei movimenti populisti.

Per articolare e mantenere i differenti settori che compongono la base, il discorso populista deve essere vago e indefinito: “[…] possiamo dedurre che il linguaggio di un discorso populista, che sia di destra o di sinistra, tende sempre ad essere impreciso e fluttuante: non a motivo di una insufficienza cognitiva, ma  in quanto intende operare in modo efficace all’interno di una realtà sociale che è per lo più eterogenea e fluttuante.
Considero questo momento di vaghezza e di imprecisione, che –dovrebbe essere evidente- non comporta per me alcuna connotazione peggiorativa, come una componente essenziale di qualsiasi operazione populista.

Laclau, antico militante della sinistra comunista argentina, valuta positivamente le possibilità dirompenti del populismo: “l’elemento comune è dato dalla presenza di una dimensione anti-istituzionale, di una certa sfida alla normalizzazione politica, all’ordine usuale delle cose.” Il populismo è una via per rompere l’egemonia di un sistema politico limitante, che per definizione esclude i settori più deboli politicamente ed economicamente: “la crisi di rappresentanza […] sta alla radice di qualsiasi esplosione populista anti-istituzionale.

Laclau omette di menzionare che la vaghezza ed il riduzionismo discorsivo del populismo compiono la funzione di permettere di comprendere lo spettro più ampio possibile di clientela politica: l’unico limite del popolo è il nemico del popolo. Questa ambiguità conferisce al leader populista la libertà di muoversi con sbandamenti politici in accordo con le necessità specifiche del movimento. Il leader, nella libertà dell’ambiguità, amministra i cammini ed i tempi della lotta, l’ideologia e la politica ad hoc. Nell’interpretazione tradizionale (Barker, Reflections on Government, 1967) sui movimenti populisti, il leader non rappresenta la volontà del popolo, ma il contrario: il popolo svolge la volontà del leader. Per Laclau, tuttavia, la dinamica di rappresentazione non è unilaterale (dal basso verso l’alto), né lo può essere, ato che il rappresentato nel movimento populista non è un ente costituito ed uniforme: “[…] la rappresentazione costituisce un processo in due sentimenti: un movimento dal rappresentato al rappresentante ed un movimento correlato del rappresentante verso il rappresentato. Il rappresentato dipende dal rappresentante atraverso la costituzione della sua identità.

La leadership populista esige sacrifici dai settori che costituiscono il popolo appena costituito. La sottomissione delle minoranze, le limitazioni alle critiche al leader, sono solitamente comuni nei populismi e si giustificano come un male necessario per accedere a questo stadio in cui le contraddizioni saranno eliminate: una situazione senza corruzione, un governo senza politici, una nazione senza immigrati, una strttura economica senza sfruttamento, ecc. La libertà non è una condizione necessaria per l’utopia populista; al contrario, la libertà individuale e delle minoranze attentano sino alla fine il benessere del popolo.

Populismo, libertà e democrazia
I movimenti populisti possono esistere nei regimi democratici liberali. Mentre non hanno accesso al potere sono considerati una manifestazione politica in più nel panorama elettorale. Durante gli anni 1960 negli Stati Uniti – Laclau cita il caso- George Wallace,

George C. Wallace

governatore dell’Alabama, guidò un movimento con un discorso radicale diretto al nordamericano medio (bianco, impiegato, poco educato), grazie ad una serie di richieste anti-establishment e se a volte contro le minoranze.
Altro esempio: Le Front National, il partito francese di estrema destra, che segue un discorso populista (il lepenismo, con la sua leadership ereditaria), è andato crescendo negli ultimi decenni fino a diventare la prima forza politica rappresentativa della Francia nel Parlamento Europeo, con il 25% dei deputati nel 2014. Anche se sono minoritari, i partiti populisti possono guadagnare importanza nei sistemi parlamentari quando risultano determinanti nel formare una coalizione di maggioranza.

I movimenti populisti che salgono al potere tramite delle elezioni possono “normalizzarsi” e lasciarsi cooptare dalle forze del sistema politico ricostituito, come avvenne con Forza Italia di Berlusconi o con Vicente Fox in Messico. L’alleanza del leader populista con le forze politiche tradizionali implica un malinteso con i settori eterogenei che lo avevano portato al potere.
I movimenti populisti possono svilupparsi in sistemi democratici o in sistemi totalitari.

La costruzione di una catena di equivalenze a partire da una dispersione di richieste frammentate e la sua unificazione intorno a delle posizioni popolari, che operano come vuoti significativi [la logica populista], non è in se stessa totalitaria, ma è la condizione stessa di costruzione di una volontà collettiva che, in molti casi, può essere profondamente democratica.
Di fronte ad un sistema monarchico o ad una dittature di partito, ad esempio, un movimento populista può aprire spazi ad attori prima emarginati.

Una prima decisione teorica è concepire il “popolo” come una categoria politica e non come un dato della struttura sociale. Questo significa che non designa un gruppo dato, ma un atto di istituzione che crea un nuovo attore, a partire da una pluralità di elementi eterogenei.

In altre parole, il populismo, quando articola gruppi eterogenei affrontando una dittatura, per esempio, può rappresentare un progresso democratico, come il caso del movimento Solidaność in Polonia, guidato da Lech Wałęsa.

Il populismo nei sistemi democratici ha la possibilità di essere anche sinonimo di “demogogia triviale”, dice Laclau, quando è esercitato in società altamente istituzionalizzate, come il caso della candidatura di Trump alla presidenza degli Stati Uniti. La demagogia, d’atra parte, è un ingrediente presente in qualunque campagna politica, dato che i candidati promettono soluzioni vaghe alle richieste di ampi settori. Ma il populismo va oltre: suggerisce e promette la rottura con le classi politiche tradizionali, con il fino di ristabilire, in un modo o nell’altro, il potere del popolo: “[…] il populismo si presenta a se stesso come ‘sovversivo’ dello stato delle cose esistenti ed anche come il punto di partenza di una ‘ricostruzione’ più o meno radicale di un nuovo ordine, una volta che si è compromesso. Il sistema istituzionale deve stare (di nuovo, più o meno) diviso, affinché l’invito populista risulti effettivo.

Populismo in Messico
Che si tratti di paesi ricchi o poveri, di sistemi democratici o oligarchici, esisteranno sempre dei settori con richieste insoddisfatte che si percepiscono o sono effettivamente esclusi dall’establishment politico. La via populista vive e diventa più attrattiva e politicamente più fattibile nella misura in cui la legittimità istituzionale si frattura (ed è il caso di ricordare che la legittimità è, ovviamente, una percezione pubblica).

In Messico le condizioni di frattura nella legittimità del sistema politico si sono realizzate e la figura di López Obrador è senza dubbio quella di un leader populista. Non è l’unico. Il governtore eletto del Nuevo León, Jaime Rodríguez “El Bronco”, ad esempio, tiene discorsi da leader populista di destra, anche se nel suo caso conta di mettere da parte i suoi discorsi demagogici per accedere al potere, normalizzandosi politicamente, per governare con le vecchie oligarchie.


Andreas Manuel Lopez Obrador, attuale presidente del Messico

Il caso di Lopez Obrador è più incerto. La polarizzazione delle elezioni del 2006 fu dovuta in parte all’ambiguità dei discorsi politici del candidato di sinistra, che rendevano impossibile prevedere se, in caso di arrivo al potere, la logica populista avrebbe teso alla “nomalizzazion” o alla radicalizzazione. Non c’è certezza su quello che sarebbe accaduto. Dobbiamo considerare che, così come il discorso populista “crea il popolo”, dà anche forma ad una opposizione a questi discorsi, ovvero, rende unita l’oligarchia per avere trovato un “nemico”, creando un fronte anti-populista conformato ai settori di popolazione esclusi dalla nuova alleanza che pretende di accedere al potere (i mezzi di informazione, le associazioni di imprenditori, le minoranze politiche, ecc.).

Nel 2006 una possibilità era che l’opposizione della destra e della oligarchia, con la quale López Obrador si confrontava, avesse scommesso sulla destabilizzazione del nuovo sistema, portando ad una radicalizzazione delle posizioni e dei discorsi, come avvenne in Cile con Salvador Allende o in Venezuela con Hhugo Chavez, il che non implica, ovviamente, che il candidato messicano non avesse alcuna affinità con questi personaggi. L’altra opzione era che López Obrador si normalizzasse e includesse al potere gli esponenti della classe politica tradizionale, rompendo con i discorsi ed i settori di popolazione che aveva nutrito sotto il mantello del populismo.

Dire che la classe politica messicana, legata ad interessi di impresa, forma una oligarchia chiusa ed escludente, fortemente ideologica e di discorsi favorevoli ad un liberismo economico contrario allo stato sociale è solo una descrizione. Dichiarare guerra a questa oligarchia, chiamandola “la mafia al potere”, descrivendola come “i nemici del Messico”, è un atto populista.

Se si considera che l’unico modo di rompere questa egemonia (che va certamente oltre la carta intestata dei partiti) è attraverso un movimento populista, è necessario assumere le conseguenze ed il ruolo che ciascuno intende giocare: i movimenti populisti non necessitano di intellettuali, ma di propagandisti. Se si considera la via populista come indesiderabile, soprattutto per i rischi di totalitarismo che implica, il compito degli intellettuali dovrebbe essere quello di definire i cammini attraverso i quali le richieste democratiche possano e debbano essere perseguite, stabilire i limiti –inclusi quelli semantici- delle diverse lotte politiche che si portano avanti nel paese: le istanze dei lavoratori, le possibilità del sindacalismo, le istanze delle minoranze etniche e di genere, i diritti politici dei cittadini, le disuguaglianze economiche, la mancanza di crescita economica, ecc. Articolare tutti i problemi del paese e cercare una soluzione politica unica significa rispondere al populismo, con i rischi che questo implica per la eterogeneità politica del Messico. Delimitare la complessità dei problemi e non puntare su soluzioni semplici è la via non populista.

 

Tratto da :
https://horizontal.mx/ernesto-laclau-y-la-logica-populista/
Traduzione a cura di Davide Gionco

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