Da Prodi a Padoan: l’eterno conflitto d’interessi tra politica e finanza

di Alessandro Di Battista

“La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è stato convincere il mondo che lui non esiste”, sostiene Verbal Kint, alias Keyser Söze, nel film I soliti sospetti. In Italia, la beffa più grande che l’establishment politico, mediatico e finanziario ha fatto, è stato convincere la pubblica opinione che il conflitto di interessi riguardasse solo Berlusconi. Se davvero fosse stato così avremmo una legge sul conflitto di interessi quantomeno dal 2013. La finta sinistra, borghese, conformista, liberista e di sistema ha agitato lo spauracchio berlusconiano da un lato per racimolare qualche voto e dall’altro per nascondere le proprie oscenità dietro al satrapo di Arcore.

Lungi da me difendere Berlusconi. In un Paese normale avrebbe consumato i tacchi nel cortile di un carcere e non lungo i lussuosi corridoi dei palazzi del potere romano, Quirinale incluso. Ma ridurre l’annosa calamità dei conflitti di interesse nostrani solo all’ex-cavaliere è ridicolo, oltreché profondamente dannoso per chi intende affrontare e risolvere la questione.

In queste ore apprendiamo che Pier Carlo Padoan, dalemiano quando D’Alema contava, renziano quando Renzi credeva di contare, ex-ministro dell’Economia e deputato eletto due anni fa proprio a Siena – la città del Monte dei Paschi – ad aprile diverrà presidente di Unicredit, la seconda banca italiana. Lui, noncurante del gigantesco conflitto di interessi che lo riguarda, pare abbia detto che si dimetterà da deputato. Quanta grazia! D’altro canto, nell’era della “bancocrazia”, presiedere un colosso finanziario è un onore, altro che rappresentare la Nazione in Parlamento. Scrivere una legge? Robetta al confronto di guidare una banca.

L’attrazione fatale tra illustri esponenti del Partito Democratico ed il mondo del capitalismo finanziario non è nuova. Chi non ricorda quell’intercettazione tra Fassino e Consorte, numero 1 di Unipol, che mostrava quanto all’epoca segretario dei DS stesse a cuore la scalata alla BNL. Quel “abbiamo una banca?” ha rappresentato per molti ex-sostenitori del centro-sinistra un punto di non ritorno. Per lo meno lo rappresentò per me. Io unii quelle intercettazioni ai bombardamenti su Belgrado durante il Governo D’Alema e alle ignobili parole pronunciate da Violante nel 2003 alla Camera dei Deputati (quando quasi si vantò di non aver toccato il conflitto di interessi di B. e di aver favorito la crescita di Mediaset) e smisi di votarli.

Ebbene, il vizietto di stare sempre dalla parte dell’establishment mi pare che molti esponenti del PD non l’abbiano perso. C’è chi sostiene, al contrario, che il PD sia cambiato. Che la fuoriuscita di Renzi (che tuttavia si è sincerato di lasciare i suoi “bravi” all’interno del partito) abbia disintossicato il PD. Sarà, ad ogni modo io riterrò reali i chimerici cambiamenti del PD solo quando leggerò prese di posizione nette su scandali politici come, per l’appunto, la nomina di Padoan alla presidenza di Unicredit.

Riavvolgiamo il nastro.
Padoan viene scelto nel 2014 da Renzi come ministro dell’Economia e delle Finanze. Resiste al crollo renziano del 2016 e viene confermato al MEF anche da Gentiloni. Fu lui, nel dicembre del 2016, a varare l’ennesima misura salva-banche, una ventina di miliardi messi a disposizione del sistema finanziario da un Consiglio dei ministri durato una manciata di minuti. Di quei 20 miliardi quasi 5 finirono nelle casse di MPS, salvandola, di fatto, dal fallimento.

Da allora lo Stato è l’azionista di maggioranza del Monte dei Paschi detenendone il 68% delle azioni. Due anni più tardi, nel 2018, il tecnico Padoan che mai si era lanciato in una campagna elettorale decide di candidarsi alle elezioni politiche. Padoan, romano di nascita, sceglie di presentarsi nel collegio di Siena, città la cui economia è indissolubilmente legata ad MPS. Risultato? Padoan viene eletto deputato con una percentuale del centro-sinistra superiore alla media toscana. Furbo lui. Adesso, dopo essersi preso un impegno con i cittadini, lascia il Parlamento per sedersi su una poltrona più confortevole (probabilmente anche economicamente) e, forse, più rilevante dal punto di vista politico.

A quanto pare proprio Unicredit sarebbe interessata ad acquistare MPS. L’Unione europea, infatti, impone all’Italia di sbarazzarsi piuttosto velocemente delle azioni di MPS e quando si ha fretta di vendere, solitamente, gli affari li fanno i compratori. Padoan è passato in meno di quattro anni da ministro dell’Economia, ovvero salvatore di MPS, a deputato eletto proprio a Siena e poi a presidente di Unicredit, la banca interessata all’acquisto di Monte dei Paschi, ovviamente ad un costo stracciato o, addirittura, pretendendo dallo Stato qualche miliardo di dote ritenendo MPS una banca decotta.

E con chi dovrebbe trattare tale acquisizione il futuro presidente di Unicredit Padoan? Con Gualtieri, attuale ministro dell’Economia e suo collega di partito, e con Alessandro Rivera, direttore generale del Tesoro, fedelissimo di Padoan. Questo non sarebbe un conflitto di interesse grande come una casa, sarebbe grande come una banca. La commistione tra politica e finanza è una costante degli ultimi anni ed ha raggiunto un livello, per quantità e responsabilità politiche dei coinvolti, indecente.

Ovviamente è un fenomeno che non riguarda solo l’Italia. Barroso, ex presidente della Commissione europea, concluso il suo mandato a Bruxelles, è stato nominato presidente non esecutivo e advisor di Goldman Sachs. Goldman Sachs è una delle banche d’affari più grandi al mondo. In Goldman Sachs lavorò per 22 anni Roger Rubin, segretario del Tesoro USA sotto Clinton.

E sempre da Goldman Sachs, di cui era presidente e amministratore delegato, proveniva un successore di Rubin al Tesoro americano, quel Henry Paulson al quale Bush affidò la gestione della crisi finanziaria dei subprime del 2007 che, un paio di anni dopo, travolse l’economia europea, italiana inclusa. Anche in Italia Goldman Sachs ha saputo legarsi a uomini importanti. Mario Monti, ex commissario europeo per la concorrenza ed ex presidente del Consiglio, dal 2005 al 2011 fu international advisor proprio in Goldman Sachs. E sempre in Goldman Sachs lavorò Prodi dal 1990 al 1993, subito dopo aver lasciato la guida dell’IRI. Prodi fu presidente della Commissione europea proprio quando Monti ricopriva la carica di commissario. Prodi, dal 2014, ricopre l’incarico di presidente dell’International Advisory Board di Unicredit. Con Padoan, insomma, si rafforza la corrente piddina all’interno del gruppo finanziario milanese.

Tra l’altro, due anni fa, Unicredit ha rinnovato l’Advisory Board per l’Italia. Ne fa parte Giampaolo Letta, figlio di Gianni, braccio destro di Berlusconi e, anche lui, ex consulente di Goldman Sachs. Con Goldman Sachs, come ho ricordato su questo giornale ad agosto scorso, ha avuto a che fare anche l’apostolo Draghi.

Il Mario nazionale venne nominato vicepresidente per l’Europa di Goldman Sachs nel 2002, dopo aver lasciato la direzione generale del Tesoro. E proprio come lui anche i suoi successori Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli vennero assunti da due banche d’affari dopo aver concluso il mandato pubblico. Siniscalco, dopo aver fatto il ministro dell’Economia sotto Berlusconi, fu nominato managing director e vicepresidente di Morgan Stanley, altro colosso finanziario americano. Grilli, anch’egli alla guida del MEF, governo Monti, nel 2014, divenne presidente del Corporate & Investment Bank di JPMorgan. Anche Fabrizio Saccomanni, pace all’anima sua, passò dal ministero dell’Economia al mondo bancario. L’ex ministro del governo Letta, nel 2018 venne nominato presidente di Unicredit.

Sembra che guidare il Dipartimento del Tesoro o il Ministero dell’Economia e delle Finanze sia propedeutico a far carriera nel sistema finanziario. Un po’ come i calciatori promettenti mandati a far gavetta in B prima dell’esordio in serie A. Sarà una coincidenza, così come è certamente una coincidenza il fatto che tre personaggi che in cuor loro vorrebbero succedere a Mattarella, Prodi-Monti-Draghi, abbiano tutti avuto a che fare con Goldman Sachs.

A proposito di Prodi. Sapete a chi ha preso il posto in Unicredit nel 2014? A Giuliano Amato, quel Giuliano Amato che una notte del luglio 1992 varò un prelievo forzoso del 6 per mille da tutti i conti correnti dei risparmiatori italiani.

Amato, oggi giudice della Corte costituzionale nominato direttamente dall’ex presidente Napolitano, è noto per esser stato sia premier che ministro del Tesoro. È, tuttavia, meno noto il fatto che la Deutsch Bank, nel 2010, lo scelse come senior advisor, ovvero consulente per l’Italia. Come senior advisor, questa volta dalla banca d’affari Lazard, venne scelto un altro illustre Ministro del Tesoro: Augusto Fantozzi.

Potrei citare Claudio Costamagna, Luisa Todini, Massimo Tononi e persino Carlo De Benedetti, nominato nel 2008 nel consiglio di sorveglianza di Rothschild. La lista di uomini politici o, comunque, uomini di potere italiani indissolubilmente legati al capitalismo finanziario non finisce più. Padoan è solo l’ultimo di una lista alla quale si aggiungeranno molti altri, se il Parlamento non approverà una durissima legge sui conflitti di interesse tra politica e finanza. Ne va della nostra democrazia.

È democratico un sistema dove chi mette bocca su questioni finanziarie (tra l’altro teoricamente su mandato dei cittadini) proviene o fa carriera negli istituti interessati alle scelte politiche? Il capolavoro dell’establishment non è solo dividere i popoli per meglio controllarli. È soprattutto fargli credere che i responsabili delle crisi economiche e sociali siano gli ultimi: i percettori del reddito di cittadinanza, i pensionati, gli immigrati.
Al contrario le ingiustizie sociali hanno un solo padre: l’accentramento di potere. Ed esiste un solo modo per contrastarlo: risolvere il conflitto di interessi. Per farlo, tuttavia, occorre coraggio e precisione di mira. Ciò che è mancato in passato quando gli stolti guardavano Berlusconi e i potenti mettevano le mani sulla luna.


Tratto da: https://www.tpi.it/opinioni/padoan-prodi-conflitto-interessi-politica-finanza-20201016683090/

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