Crollano i ponti le strade piene di buche. Il neoliberismo, le privatizzazioni e le politiche di austerità

di Davide Gionco

Ci ritroviamo una volta di più a piangere i nostri morti, dopo l’ennesimo crollo di un ponte per scarsa manutenzione, dopo l’ennesimo disastro idrogeologico prevedibile, dopo l’ennesimo terremoto con conseguenze evitabili, se si facevano gli opportuni investimenti.

Abbiamo le strade piene di buche che non si riparano per mancanza di fondi: sono l’immagine dei difetti nascosti di molte altre strutture pubbliche.
Abbiamo gli ospedali con mancanza di personale e code interminabili al pronto soccorso. Piangiamo i morti per la mala sanità.

Abbiamo scuole ed altri edifici pubblici fuori da ogni norma di sicurezza.
Abbiamo tribunali allestiti sotto i tendoni.

Senza parlare degli sprechi di energia (che per fortuna non causano morti), della non funzionalità di troppe strutture, della mancanza di strutture che sarebbero necessarie.

Potremmo riempire un libro con le troppe cose che non vanno in Italia.

Dopo il crollo del Ponte Morandi Genova naturalmente ci auguriamo che la magistratura definisca al più presto tutte le responsabilità.
Chiediamo che i gestori privati della società Autostrade per l’Italia, proprietà di Atlantia, del gruppo Benetton, ci spieghino perché hanno destinato buona parte degli utili derivanti dai continui aumenti dei pedaggi autostradali (5% di aumento medio ogni anno in Italia dal 2005 al 2014) non alla manutenzione delle infrastrutture, ma a continue acquisizioni, in Italia ed all’estero, di altre tratte autostradali da gestire in monopolio.

https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/con-i-soldi-delle-autostrade-benetton-si-prende-la-spagna/

Ci sono certamente delle responsabilità personali, che devono essere perseguite. Sempre che la magistratura disponga delle risorse necessarie per farlo.

Vogliamo però mettere in evidenza le ancora più gravi responsabilità politiche per l’insieme di questi problemi, che sono le conseguenze inevitabili di un sistema dei servizi pubblici che non funziona.

Nel 1967 non era stato un problema trovare i fondi per finanziare la costruzione del Ponte Morandi a Genova.

L’Italia negli anni 1960 aveva un tasso di disoccupazione al 5%, disponeva di bravi ingegneri, costruiva infrastrutture per lo sviluppo del paese.

Oggi l’Italia dispone di tecnologie avanzate, di ottimi ingegneri che progettano opere di altissimo livello in giro per il mondo. Dispone di 7 milioni di lavoratori disoccupati, che volentieri lavorarebbero per mantenere le attuali infrastrutture o per costruirne di nuove.
Tuttavia è incapace di utilizzare queste risorse, obbligando gli ingegneri ad emigrare all’estero ed i lavoratori a stare a casa disoccupati. Tutto questo mentre i ponti (e tutto il resto) crollano.

Dicevamo: le responsabilità politiche.
Facciamo un po’ di nomi e cognomi.

Massimo D’Alema

Fino agli anni 1990 le autostrade erano per la maggior parte pubbliche, di proprietà dell’IRI, di province e comuni.
Nel 1999-2000 il geniale Massimo D’Alema, applicando uno dei teoremi fondamentali del neoliberismo (il pubblico è inefficiente, il privato è efficiente), privatizzò le autostrade dell’IRI.
I risultati furono molto positivi per il gruppo Benetton. Molto meno per gli italiani, che dopo essere stati la vacca da mungere per quasi 20 anni, ogi si ritrovano a fare i conti con pedaggi elevatissimi, che paghiamo anche quando facciamo la spesa (causa il trasporto su gomma delle merci), ora si trovano anche a fare i conti con una rete autostradale in pessimo stato di manutenzione. Quando mai si decideranno a fare i necessari interventi di manutenzione, indovinate chi li pagherà?
Il privato è più efficiente per le proprie tasche. Se gli si mette in mano un monopolio per 20 anni, farà i propri interessi massimizzando le tariffe e minimizzando gli investimenti. E’ evidente che sia così.
D’Alema risponderà a qualche giudice di questo crimine politico?

Giuliano Amato

Il 7 febbraio 1992 l’Italia sottoscrisse il Trattato di Maastricht, che costituiva l’Unione Europea.
Il trattato prevedeva non solo la cooperazione economica fra gli stati europei (cosa buona e condivisibile), ma comprendeva il vincolo del 3% al deficit di bilancio e l’impegno a ridurre al 60% del PIL il debito pubblico, che nel 1992 era al 105% del PIL.
Altro dogma neoliberista: lo Stato è come una famiglia e non si deve indebitare.
La necessità di ridurre il debito pubblico ha obbligato tutti i governi da allora in poi a fare degli attivi di bilancio ovvero a spendere meno di quanto incassato con le imposte. Dal 1993 ad oggi l’Italia ha stabilito il record storico mondiale di serie di attivi di bilancio pubblico.
La gente non si è mai lamentata di questo, in quanto l’informazione a senso unico sul tema ha sempre presentato i malfunzionamenti dei servizi pubblici come causati dalla corruzione ed non ha mai spiegato il significato concreto degli attivo di bilancio pubblico.
Oggi, però, ne stiamo pagando il conto.
Tagliare la spesa pubblica è significato svendere a privati la proprietà e la gestione dei servizi pubblici (vedi D’Alema), è significato tagiare sulla manutenzione delle infrastrutture rimaste pubbliche, è significato tagliare le assunzioni di dipendenti pubblici, anche quando erano necessari, fino ad arrivare a livelli molto al di sotto della media dei principali paesi civilizzati.

Fonte: Forbes

Ora che i ponti crollano e che i pazienti restano 3 giorni su di una barella al pronto soccorso prima di essere ricoverati, qualche giudice chiamerà Giuliano Amato a renderne conto?

Romano Prodi

Il sedicente “economista” Romano Prodi portò nel 1998 l’Italia nell’euro-moneta-unica, cedendo alla BCE il potere di creare denaro per conto dello Stato, potere che precedentemente apparteneva alla Banca d’Italia.
In realtà già nel 1981 Carlo Azeglio Ciampi, insieme a Beniamino Andreatta, aveva provveduto alla sostanziale privatizzazione della Banca d’Italia.
Il tutto in attuazione di un altro principio neoliberista: la banca centrale deve essere indipendente dalla politica.
Abbiamo affrontato in altri articoli l’argomenti.
Ci basti sapere che da allora l’Italia ha un problema fondamentale: mancano i soldi per gli investimenti.
Non solo per realizzare nuove strutture che sarebbero necessarie al paese, ma anche per la manutenzione dell’esistente.
Ora ci ritroviamo con i ponti che crollano, emblema di un’Italia che crolla, con dei governi che non hanno mai realizzato la variante autostradale “Gronda” di Genova che avrebbe permesso di intervenire sul Ponte Morandi, in quanto, non disponendo di fondi propri, attendevano i finanziamenti privati del gruppo Benetton e delle banche ad esso legate. Se ne parlava da oltre 10 anni. E intanto il ponte è crollato.

Disponiamo di ingegneri qualificati, di acciaio (fino a che l’ILVA non chiude), di operai qualificati. Abbiamo tutto il necessario per riparare o costruire i ponti e quant’altro necessario.
Solo ci mancano i soldi, quelli che oggi Mario Draghi crei dal nulla per 30 miliardi al mese semplicemente pigiando i tasti di un computer.
Per i trattati europei è più importante rispettare le formalità della moneta scritturale che ristrutturare i ponti delle autostrade.

Silvio Berlusconi e Mario Monti

Nel 2011 in Italia fu attuato un cambio di governo, con la fine del governo di Silvio Berlusconi (2008-2011) e l’ascesa al governo di Mario Monti (2011-2013).
Silvio Berlusconi, fra gli uomini più ricchi d’Italia, preferì salvare le proprie ricchezze personali piuttosto che difendere il proprio paese. Dimettendosi spianò la strada a Mario Monti, il quale non solo attuò politiche catastrofiche per l’economia italiana, ma anche proseguì l’opera di Berlusconi nel taglio degli investimenti pubblici, senza che peraltro il livello degli investimenti sia stato ripristinato dai successori Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni.
Ora stiamo a vedere se il nuovo governo Conte intende fare sul serio per cambiare rotta.

 

Quali politiche per il futuro?

Se proseguiranno le politiche economiche di stampo neoliberista, incapaci di vedere il denaro come uno strumento pubblico per guidare l’economia del paese, non ci resta che stare ad aspettare la prossima tragedia.
Il prossimo terremoto che raderà al suolo una città del Centro o Sud Italia. Siamo pronti per la lacrime?
La prossima alluvione che porterà via l’ennesimo paese di una vallata del Piemonte. Siamo pronti per i messaggi di cordoglio?
Il prossimo morto di mala sanità in un pronto soccorso sprovvisto di mezzi. Siamo pronti a scandalizzarci?
Ci saranno dei giudici che cercheranno le persone colpevoli.
Ma poi la storia si ripeterà, se non cambiamo il quadro politico generale.

Per evitare queste tragedie dobbiamo investire tutte le risorse di cui disponiamo, che sono le migliaia di imprese in sottoproduzione, che sono i milioni di lavoratori disoccupati, che sono i nostri ricercatori e professionisti che oggi emigrano all’estero per potere lavorare.
Sono queste le vere risorse da investire, perché i ponti si costruiscono con cemento, acciaio, bravi progettisti e operai specializzati, non con i clic di computer che creano gli euro elettronici per le lobbies finanziarie e non per realizzare opere di pubblica utilità.

Per evitare queste tragedie dobbiamo cambiare paradigma: dimentichiamo i dogmi neoliberisti che hanno già fatto troppi danni.
Mettiamo al centro la nostra Costituzione. Siamo una Repubblica fondata sul lavoro, non sulla contabilità di bilancio, né sugli umori dei mercati finanziari.

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