Cosa accade veramente in Ucraina

di Giovanni Lazzaretti
16.04.2023

 

Premessa

Un articolo anomalo, nonché il più lungo della serie. 

Il 15 aprile 2023 sono stato invitato a Lonigo (VI) a tenere una conferenza sull’Ucraina. 

La conferenza (avendo a disposizione 1 ora di esposizione + 1 ora di domande) mi ha obbligato a scegliere e rielaborare quanto scritto in passato sull’argomento.

Da qui nasce questo testo che 

  • racconta la conferenza, 
  • espone un metodo di lavoro, 
  • e parla dell’essenziale sull’Ucraina.

Diventa il mio “dossier divulgativo Ucraina”. Si unisce quindi ai dossier del passato (caso Boffo, guerra di Libia, Charlie Hebdo).

***

Inizio con una vecchia cartina di Limes, ben superata visto che è del settembre 2022. Serve a tenere in mente la situazione geografica. 

È impossibile infatti parlare di storia senza aver presente la geografia. La storia è in funzione della geografia, direbbe Guareschi.

 

Indice

Testo molto lungo, metto un indice delle 5 sezioni

  1. Preliminari personali
  2. Invito a una conferenza insolita
  3. La conferenza – Prima parte: questioni di metodo
  4. La conferenza – Seconda parte: cosa accade veramente in Ucraina
  5. Il dopo conferenza

 

1 – Preliminari personali

Avevo scritto, non so più quando, che sarei entrato in un ingorgo di impegni plurimi. E ingorgo è stato, più intenso di come me l’aspettavo.

Le agende cartacee sono una bella cosa: le cose si incasellano bene, ogni avvenimento sembra occupare una sola riga, poi, quando gli avvenimenti vanno organizzati, ci si accorge che c’è da lavorare da matti.

Così questa vita da finto pensionato mi ha impedito di scrivere  dal 5 marzo scorso, quando invece una serie di persone (bontà loro) sperano sempre in un mio invio settimanale.

Riprendo a scrivere oggi, ed è un giorno particolare.

È il primo compleanno da defunto di Benedetto XVI.

Ed è anche la festa del Santo che porta i due nomi del Papa: si chiama infatti Benedetto (come Benedetto XVI) e Giuseppe (come Joseph Ratzinger); di cognome fa Labre e, pur francese, sta sepolto in Santa Maria ai Monti a Roma. Andate a trovarlo, se vi capita.

Benedetto XVI festeggiò il primo compleanno da Papa il giorno di Pasqua, e festeggia il primo compleanno da defunto nel giorno della Divina Misericordia. I suoi resti mortali stanno nella tomba che fu di San Giovanni Paolo II, che istituì la Festa della Divina Misericordia il 30 aprile 2000.

Noi c’eravamo il 30 aprile 2000 in Piazza San Pietro, alla canonizzazione di Suor Faustina Kowalska e all’indizione della Festa; possiamo dire che eravamo lì “per puro caso”.

Tornavo a Roma dopo 21 anni (ultima volta 21 marzo 1979, Beveren-Inter 1-0) e mi innamorai di Roma. Ma sul mio amore per Roma ho già parlato più volte e non mi dilungo.

Tutto questo che c’entra?

Niente, ovviamente. Sono “preliminari personali”.

Ma in una settimana in cui sono emerse palate di fango su San Giovanni Paolo II mi piace ricordare delle cose belle.

E ricordare anche che Hitler riteneva le palate di fango sulla Chiesa Cattolica il preliminare necessario per la persecuzione esplicita.

 

2 – Invito a una conferenza insolita

L’Osservatorio Van Thuân (Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân sulla Dottrina Sociale della Chiesa – https://vanthuanobservatory.com/) organizza tante cose belle.

Tra queste l’iniziativa “Le narrazioni sociali imposte dal potere – Tre incontri di attualità politica”.

L’11 marzo scorso è stato trattato il tema “Il totalitarismo, anche democratico, esito necessario del pensiero moderno”, conferenza tenuta da Stefano Fontana.

Il 20 maggio ci sarà “Il potere terapeutico e la narrazione totalitaria della pandemia Covid”, tema trattato dal dottor Paolo Bellavite.

In mezzo, ieri 15 aprile, c’ero io con la conferenza “Oltre la narrazione ufficiale: cosa è successo e succede veramente in Ucraina?”.

Quale è il problema?

Il problema è che potete anche non conoscere Stefano Fontana, ma quando vi descrivono il suo Curriculum Vitae capite subito che sta trattando un tema “suo”.

E potete non conoscere il dottor Bellavite, ma, idem, leggete il suo CV e il tema è “suo” all’ennesima potenza.

Ma Giovanni Lazzaretti? Come si inserisce in questa trilogia?

Ho dovuto quindi scrivere una conferenza (di fatto una ripresa ordinata di alcunei articoli precddenti), ma l’ho dovuta fare dopo aver descritto un metodo di lavoro, perché nessun Curriculum Vitae mi può far diventare esperto di Ucraina.

Un metodo di lavoro mi può invece rendere esperto di “divulgazione sulle verità che pochi vogliono cercare”.

***

Conferenza di sabato pomeriggio, con tanto tempo a disposizione per non chiudere in fretta: tra esposizione e domande durerà 2 ore e un quarto, senza interruzioni.

Conferenza in una bella villa multiuso su un colle che domina Lonigo, provincia di Vicenza.

Conferenza in una sala piccola (8 file da 6 posti), con buona acustica e senza uso di microfono.

Saletta piena, con persone che partecipavano dopo essersi prenotate.

Del pubblico conoscevo di vista una sola persona: tutti gli altri mi erano sconosciuti, e immagino che io fossi uno sconosciuto per loro.

Venivano da lontano: Bonate, Cremona, Ravenna, Varese i luoghi che ricordo. Ma anche due persone che venivano “da vicino” (San Giovanni Lupatoto) avevano comunque scelto di fare 2 x 43 km per ascoltare uno sconosciuto.

Ce l’ho messa tutta, e anche sulle domande non mi sono sentito in difficoltà.

Ecco ciò che ho detto. O meglio, ecco ciò che avevo scritto e tenuto davanti mentre parlavo. Parlando, si coglie subito se il tal pezzo va ridotto o modificato, e quindi l’audio risulta sempre una cosa differente.

 

 

3 – La conferenza – Prima parte: questioni di metodo

 La parola che spaventa è “veramente”

Nel titolo della conferenza la parola che spaventa di più è “veramente”.

Cosa è successo e succede VERAMENTE in Ucraina lo può stabilire un tizio che non si sposta praticamente mai da San Martino in Rio?

Per capire cosa significa la parola “veramente” mi rifaccio al libro “La moneta-debito – Origine del debito pubblico” di Normanno Malaguti.

Nel finale della seconda edizione si trova un dialogo tra l’autore Malaguti e un misterioso bocconiano che lui chiama “l’Alieno”.

È un lungo dialogo incentrato principalmente su Bankitalia. Al momento dei saluti l’Alieno si rivolge a Malaguti con questa frase.

«E si ricordi che lei non è solo nella sua caccia alla verità. La verità corre molto più veloce di noi, noi la inseguiamo e lei continuamente ci sfugge. Non ci è nemica: vuole essere inseguita, vuole essere raggiunta, ma non da uno solo. Per catturare una che corre più veloce di noi c’è un solo modo.»

«Bisogna circondarla.» dice Malaguti

«Sì, circondarla, braccarla da ogni lato. Lei, io, tanti altri, a braccare la verità sempre più da vicino, in un cerchio sempre più stretto, e mai da soli. Buon lavoro, caro amico.»

Ecco, qui c’è l’essenza della parola “veramente”.

  • Innanzitutto pensare di raggiungere la perfetta verità è un’utopia insensata. Ma creare invece un cerchio stretto attorno alla verità, questo non è utopia.
  • E, se uno pensa di creare questo cerchio da solo, è un povero illuso. Ma in comunità questo cerchio può essere costruito, e può essere reso sempre più stretto.

Braccare la verità da vicino, in un cerchio sempre più stretto, e mai da soli.

Questo è possibile anche da San Martino in Rio, stando inseriti in una rete di persone di buona volontà che cercano il vero.

La verità sta “veramente” dentro quel cerchio.

E tutto ciò che è fuori è, ovviamente, falso: menzogna costruita, bugia involontaria, verità annacquata.

 

È possibile fare il “giornalista d’indagine” da San Martino in Rio?

Ho sempre avuto la predisposizione a reagire a lettere o articoli che ritenevo erronei.

Ho scritto anche lettere a mano quando ancora non avevo il calcolatore in casa. Dal 1993 ho l’archivio completo.

Scrivevo principalmente ad Avvenire e a La Libertà, giornale diocesano, primo perché ero abbonato, poi perché davano spazio anche a lettere lunghe. Per fare un ragionamento elaborato ci vuole spazio, e qui si arrivava ad accettare anche una pagina A4.

Scrivere una lettera di contestazione motivata è già giornalismo d’indagine: non puoi sparare degli slogan, devi studiare e cercare dei riferimenti (all’inizio erano riferimenti cartacei, la mia biblioteca era di buona qualità).

Poi mi capitò di scrivere un dossier, e fu proprio su Dino Boffo, direttore di Avvenire.

 

Primo dossier, il “caso Boffo”

Nei giorni tra agosto e settembre 2009 esplose il “caso Boffo”: Vittorio Feltri su il Giornale attaccava Boffo come “capo dei moralisti scatenati” anti-Berlusconi e pubblicava un’informativa che, riprendendo un caso giudiziario svoltosi a Terni, lo dichiarava come noto omosessuale eccetera.

Leggendo sia Avvenire sia altri giornali, potevo affermare che nella polemica dell’estate 2009 sulle donne di Berlusconi, Boffo era stato l’unico giornalista sobrio. Ed era l’unico che veniva impallinato.

Poi cominciavo a cogliere e incasellare frammenti di notizie che stavano relegate in poche righe, mentre su tutti i giornali imperversava il “boato mediatico”, costruito sul nulla.

Percepivo finalmente come fosse vera la frase scritta in un libro di Maurizio Blondet, “gli Adelphi della dissoluzione”. Blondet è in dialogo con un misterioso bibliofilo, stanno parlando di una setta segreta, il bibliofilo gli mostra il trafiletto di un giornale.

«Una setta poco segreta, se ne parlano i giornali.»

«Ma i giornali parlano di tutto, my friend. È questo il segreto della libera stampa: le informazioni non sono nascoste, sono coperte dal rumore di fondo. Non ci sono segreti, ci sono notizie insignificanti e altre no.»

Estraendo dal rumore di fondo le notizie brevi e significative, costruii un dossier preciso e alternativo dove smontavo parola per parola la falsa informativa di Feltri, e dove stringevo il cerchio attorno alla verità. Non da solo, ovviamente.

Il cerchio della verità escludeva che, nell’impallinata di Boffo, c’entrassero qualcosa le polemiche estive sulle donne di Berlusconi.

Mi azzardai ad affermare che Boffo era stato impallinato per il caso Englaro. E, con lui, era stato impallinato anche Mario Giordano (combattente positivo nel caso Englaro, silurato dal Giornale nell’estate 2009 per fare posto a Feltri), anche se nessuno se n’era accorto.

Quel mio testo giunse non so come nella sala stampa vaticana. Da qui, attraverso altri passaggi, arrivò a Boffo. Ma il dossier era anonimo, perché io l’avevo scritto solo per un gruppetto di amici e non avevo bisogno di firmarlo.

Nel testo c’era però citato San Martino in Rio, e a Boffo venne il sospetto che l’autore potessi essere io, frequentatore abituale della rubrica delle lettere di Avvenire. Mi scrisse una mail con oggetto “Toc toc”: bussava e chiedeva.

Così, in rapporto epistolare, vivemmo insieme le fasi successive: la retromarcia di Feltri, la sua ammissione che l’informativa non c’entrava nulla con il procedimento giudiziario di Terni, e infine la condanna dell’ultimo anello della catena: il cancelliere che fece l’accesso illegale al casellario giudiziario. Con la data d’accesso: 12 marzo 2009.

  • A un mese dal caso Englaro.
  • Dopo la pubblicazione di una lunga intervista di Boffo a Nicoletta Tiliacos del Foglio, intitolata “Ma i massoni hanno perso”.
  • Dopo la pubblicazione del libro “Eluana, i fatti” di Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola, edito da Avvenire.

È certo che il caso Englaro sia il movente? No, è solo verosimile.

Ma le polemiche estive su Berlusconi stanno invece fuori dal cerchio della verità: non possono essere la motivazione.

Quindi potete trovare un altro movente per l’impallinatura di Boffo. Ma questo movente dovrà

  • escludere Berlusconi
  • andare indietro nel tempo a prima del 12 marzo 2009
  • essere un movente pesante perché (come direbbe Maigret) «non si uccidono i poveri diavoli».

Un appunto sul cancelliere condannato. Leggo sul Fatto Quotidiano del 14 aprile 2015: «Individuato il cancelliere che ha negato sempre e ha sostenuto che potrebbero essere stati estranei che hanno avuto possibilità di accedere». Possibile, perché no?

 

Secondo dossier: la guerra di Libia

Continuo a scrivere lettere e arrivo a un altro dossier, sulla guerra di Libia 2011.

Mai mi ero occupato di Gheddafi, ma è stato davvero affascinante scoprire le vere motivazioni dell’attacco alla sua terra.

Non fu certo una “primavera araba” ad abbatterlo, in una Libia che aveva il massimo PIL pro capite dell’Africa, l’Indice di Sviluppo Umano più alto dell’Africa e più alto di 10 paesi europei, niente debito, niente emigrazione, niente disoccupazione (la disoccupazione più bassa del mondo, nel pieno della crisi).

Quando trovai la frase di Sarkozy che definiva la Libia «una minaccia per la sicurezza finanziaria del genere umano» cominciai a pensare che era una minaccia per il Franco CFA, non per il genere umano.

Il dossier che scrissi è tuttora inattaccabile. Il cerchio stretto attorno alla verità era solido. Può essere ristretto ulteriormente, con nuove notizie.

Intanto la Libia, che aveva la posizione 53 nella classifica dell’ISU prima del 2011, adesso si trova al posto 104: distrutta, preda di bande, impoverita in ogni settore. Gheddafi non era il problema, era la soluzione per la Libia.

 

Terzo dossier: Bernard Maris a Charlie Hebdo

Il dossier su Charlie Hebdo, intitolato “Morte di un economista”, lo scrissi in un mese di lavoro nel febbraio 2015.

In quel frangente mi resi conto che i giornalisti normali non fanno altro che recepire rilanci d’agenzia, allungare il brodo fino a raggiungere il numero di caratteri necessario, e pubblicare.

Articoli tutti uguali, vergognosamente uguali, come studentelli che copiano in modo spudorato.

Non un pensiero, non un dubbio, non un sospetto.

Non una ricerca, non una connessione di fatti che non sia quella precotta che tutti devono riportare.

Di più, non hanno nemmeno chiara la mappa dei luoghi.

Ve la ricordate la sequenza del poliziotto che viene freddato a terra da due incappucciati?

Terroristi che lasciano l’auto in mezzo al boulevard con le portiere aperte, uno perde anche una scarpa, vanno a freddare un innocuo poliziotto a terra sul marciapiede, poi recuperano la scarpa e ripartono.

Dove si è svolta questa sequenza? A Charlie Hebdo? Ma neanche per idea. Bastava usare Google Street per trovare il luogo: non lontano da Charlie Hebdo, ma completamente avulso dalla strage.

Qui mi venne il pensiero che la strage fosse la copertura per l’assassinio della vittima designata: Bernard Maris, uno dei 7 consiglieri della Banca di Francia, propugnatore divulgativo della cancellazione parziale del debito da parte del sistema bancario (rinegoziazione del debito degli Stati europei fino al 60% del PIL, per la precisione).

Un buon dossier, anche a distanza di anni.

E ripeto la stessa cosa detta per Boffo e il caso Englaro: posso affermare CON CERTEZZA che la strage di Charlie Hebdo è stata fatta per uccidere Bernard Maris? No.

Ma posso affermare CON CERTEZZA che le cose non si sono svolte come ce le hanno raccontate in TV e sui giornali.

 

Complessità

«A ogni questione complessa si può sempre dare una risposta semplice. Ed è certamente la risposta sbagliata.»

È una frase che utilizzo spesso, anche se non ricordo più quale relatore pronunciò la frase.

Ma leggendo recentemente “Della Storia” del defunto Marco Tangheroni, mi sono trovato davanti a una citazione ancora più condensata, e stavolta col nome dell’autore.

Nella storia «Ciò che non è complicato è falso»; aforisma di Nicolás Gómez Dávila.

La storia, essendo l’intreccio di migliaia di libere volontà in situazione di relazione – confronto – scontro, non può che essere complessa.

  • L’idealista, il buono, il mediocre, il vigliacco, il traditore, vivono la stessa vicenda.
  • Il potere, l’ambizione, il denaro, la mitezza, la fede, la violenza, si mescolano.
  • Il finanziere onnipresente che lucra da ENTRAMBE le parti in guerra, e che si nutre della rovina dei popoli, sta sempre sottotraccia a complicare le cose.

La storia è complessa. Chi la semplifica, la falsifica. O la rende ideologica, che è un po’ la stessa cosa.

Don Milani, nella Lettera ai Giudici, ci offre ottimi brani di complessità.

Ho a scuola esclusivamente figlioli di contadini e di operai. La luce elettrica a Barbiana è stata portata quindici giorni fa, ma le cartoline di precetto hanno cominciato a portarle a domicilio fin dal 1861.

Non posso non avvertire i miei ragazzi che i loro infelici babbi han sofferto e fatto soffrire in guerra per difendere gli interessi di una classe ristretta (di cui non facevano nemmeno parte!) non gli interessi della Patria.

Anche la Patria è una creatura cioè qualcosa di meno di Dio, cioè un idolo se la si adora. Io penso che non si può dar la vita per qualcosa di meno di Dio. Ma se anche si dovesse concedere che si può dar la vita per l’idolo buono (la Patria), certo non si potrà concedere che si possa dar la vita per l’idolo cattivo (le speculazioni degli industriali).

Dar la vita per nulla è peggio ancora. I nostri maestri non ci dissero che nel ’66 l’Austria ci aveva offerto il Veneto gratis. Cioè che quei morti erano morti senza scopo. Che è mostruoso andare a morire e uccidere senza scopo.

Se ci avessero detto meno bugie avremmo intravisto com’è complessa la verità. Come anche quella guerra, come ogni guerra, era composita dell’entusiasmo eroico di alcuni, dello sdegno eroico di altri, della delinquenza di altri ancora.

Come vedete, don Milani non semplifica. Riconosce che entusiasmo eroico, sdegno eroico e delinquenza convivono.

Del resto ho un parente che a 17 anni, si arruolò nella compagnia “La Volontaria”, bersaglieri della Repubblica Sociale Italiana.

Di che categoria faceva parte? Non dei delinquenti. Non dello sdegno eroico. Faceva parte dell’entusiasmo eroico. Il tutto finì in un campo di prigionia in Francia, vicenda che ha segnato pesantemente la sua vita.

Complessità, sempre e comunque. Pensare ad esempio che la vicenda ucraina sia “semplice” significa in partenza non averla capita.

 

Senza potere

«Quasi tutte le persone SENZA POTERE sono in grado, applicandosi, di scoprire la verità.»

Un’altra citazione di Maurizio Blondet, significativa.

“Senza potere” significa che il tuo ruolo, professionale o genericamente di “posizione”, non ha legami con la verità che stai cercando.

Perché se la ricerca della verità mette in crisi la tua posizione, devi fare uno sforzo spesso sovrumano per ricercarla davvero.

Faccio un esempio sul covid.

Nei miei articoli le notizie dettagliate su cure alternative ospedaliere e cure domiciliari compaiono il 24 aprile 2020.

Per sentire qualcosa del genere in TV bisogna attendere Mario Giordano a inizio febbraio 2021.

Sono più bravo di Mario Giordano? No, sono “senza potere”. Una volta recepita una notizia, ben capita, confermata alle spalle da medici di fiducia, la pubblico.

Mario Giordano deve sempre fare i conti col suo ruolo. La domanda «Se ne parlo, mi massacrano?» deve pur farsela.

 

Questo è il mio Curriculum Vitae

Questo è il mio Curriculum Vitae.

Non una “competenza sull’Ucraina”, ma una certa dimestichezza nella ricerca di verità divulgative, sempre perfettibili, che stringono il cerchio attorno alla “verità vera”.

Con queste premesse posso cimentarmi sull’Ucraina.

 

 

4 – La conferenza – Seconda parte: cosa accade veramente in Ucraina

 

Un esempio di semplicità

Il signor Nestore mi ha inviato un SMS che iniziava così:

«La vicenda ucraina è molto semplice».

Capite bene che, con questo incipit e usando lo strumento dello SMS, il resto non può che essere il distillato estremo della narrazione televisiva.

«Un’aggressione diabolica, maledetta, criminale e ingiustificabile da una parte… e un popolo fiero che resiste. Tutti i balbettamenti, i distinguo, le posizioni da “anime belle” è mettersi dalla parte del diavolo.»

Poi Nestore prosegue dicendo che, da buon cristiano, prega perché Putin e quelli del Cremlino muoiano.

Chissà se faceva lo stesso con Bush, Obama e il Pentagono, ai tempi di Afghanistan, Iraq e Libia.

Ma non è questo il punto.

Ciò che pensa Nestore non mi scuote, è ciò che pensa una buona parte degli italiani.

Quello che mi preoccupa è la sua convinzione che la storia possa essere «molto semplice».

 

Da dove partire?

Posto che l’approccio del signor Nestore è erroneo, per il solo fatto che è “semplice”; posto che TV e grandi giornali non si discostano molto dal signor Nestore; da dove partire se si vuole capire qualcosa della guerra d’Ucraina?

Le radici del conflitto tra Russia e Ucraina sono molto antichi, ma non possiamo andare troppo indietro.

Ricordiamo la tragedia dell’Holodomor nel 1932-1933. Ricordiamo che nella seconda guerra mondiale Stepan Bandera e altri cercarono di ottenere l’indipendenza sotto il “cappello” nazista, portatori di posizioni antipolacche, antisemite, antisovietiche.

Ma, finita la seconda guerra mondiale, dobbiamo immaginarci Russia e Ucraina unite e tranquille nella gabbia unificata del comunismo, blindate a ovest dalla fascia insormontabile dei paesi del Patto di Varsavia.

Iniziamo quindi a narrare la vicenda dalla fase di deflagrazione dell’URSS.

 

Dissoluzione dell’URSS e “vocazione” dell’Ucraina

Non c’era alcun motivo particolare perché l’URSS si dissolvesse: avrebbe dovuto solo uscire dal comunismo e cambiare nome. Il nome scelto prima della dissoluzione formale, ossia CSI (Comunità degli Stati Indipendenti), non era scelto male: poteva anche diventare il nome di una Repubblica Federale.

In fondo quando parliamo degli USA stiamo parlando di una sigla generica (Stati Uniti d’America) che non dice nulla sulla sostanza della Repubblica Federale.

Se in America si riesce a tenere uniti un contadino del Nord Dakota e un liberal della California, la faccenda poteva riuscire anche con la ex URSS.

Di fatto élite neoliberiste erano certamente all’opera sia nei paesi del Patto di Varsavia, sia nelle singole repubbliche sovietiche.

Possiamo affermarlo con buona sicurezza guardando gli esiti, ma anche guardando i fatti attuali.

Il 31 gennaio 2023 c’è stato un convegno di Conservatori e Riformisti Europei per la de-imperializzazione e de-colonizzazione della Federazione Russa, dove c’erano relatori provenienti non dalla Russia, ma da

Baschiria, Carelia, Circassia, Ichkeria, Inguscezia, Kuban, Idel-Ural, Oirat, Siberia, Tatarstan,

e da un tot di altri territori della Federazione Russa. Partecipa anche il rappresentante del “Comitato Internazionale dei Popoli Indigeni di Russia”. Il convegno era sotto direzione polacca (Anna Fotyga, Kosma Złotowski, parlamentari europei).

È la tecnica del carciofo già usata per la Jugoslavia, per il Patto di Varsavia, per l’URSS: frantumare un’unità, per poi mangiarsi (da parte di élite neoliberiste) i pezzi uno a uno. E la tecnica è pronta ora per la disgregazione della Federazione Russa.

Torniamo al 1991.

Il 26 dicembre 1991 l’URSS si dissolve. Nascono ufficialmente una serie di Stati che fino a un attimo prima erano divisioni amministrative all’interno di un progetto unico (il progetto comunista: deleterio, ma unitario).

Quando delle divisioni amministrative diventano Stati, devono reinventare un po’ tutto: l’esercito, la moneta, la politica estera… E soprattutto devono darsi una “vocazione”. Come ci collochiamo, ora che siamo indipendenti?

Per fare l’esempio più semplice: le 3 piccole repubbliche del Baltico (Estonia, Lettonia, Lituania) sapevano bene cosa volevano fare: stare lontane dalla Russia il più possibile.

Erano state sotto lo Zar per 2 secoli (la Lituania un po’ meno, dal 1795), erano diventate indipendenti dopo la prima guerra mondiale, infine erano state riprese dall’URSS con la seconda guerra mondiale.

“Stare lontani dalla Russia” poteva essere la linea delle 3 repubbliche baltiche, perché hanno un’identità etnica abbastanza forte,

  • in Estonia: Estoni 68,8% // Russi 25,1% // altri 6,1%
  • in Lettonia: Lettoni 61,8% // Russi 25,6% // altri 12,6%
  • in Lituania: Lituani 84,2% // Russi 5,8% // altri 10,0%.

ossia risulta ben chiara l’etnia maggioritaria e quelle minoritarie.

Ma l’Ucraina non poteva dire «sto lontana dalla Russia», per il semplice motivo che la Russia l’aveva in casa propria: più o meno la metà della popolazione era russa/russofona/russofila.

Quale doveva essere allora la vocazione dell’Ucraina?

 

Russi, russofoni, russofili. E la vocazione erronea dell’Ucraina

L’etnia russa è la più grande d’Europa e una delle più grandi del mondo.

E l’attrattiva culturale russa va ben al di là dell’etnia.

In Ucraina i numeri stanno circa in questo modo. O meglio, “stavano” in questo modo.

[Mi riferirò a numeri del censimento 2001 e a sondaggi del 2004, ossia a numeri conteggiati “prima”. Prima degli eventi distruttivi iniziati nel 2004].

  • Gli Ucraini erano il 77,5% // i Russi 17,2% // 5,3% gli altri.
  • Il Russo però era la lingua madre del 29,3% della popolazione, ben al di là dell’etnia.
  • Il Russo poi veniva usato correntemente dal 43-46% della popolazione, ossia la stessa percentuale di quelli che parlavano ucraino.
  • Se andiamo a livello elettorale, la russofilia era addirittura maggioritaria, come vedremo dopo.

[cartine di Wikipedia consultate il 12 novembre 2022]

Questa è la percentuale di persone di madrelingua russa secondo il censimento del 2001, nei vari oblast’ e Repubblica Autonoma di Crimea
.

Questa è invece la percentuale delle persone che preferiscono usare la lingua russa secondo il sondaggio pubblicato nel 2004. La mappa è fatta sulle macro-regioni, non sui singoli oblast’.

E questa infine è la mappa del sostegno alla lingua russa come seconda lingua ufficiale dello Stato ucraino, secondo un’indagine del 2005.

Il dato di realtà era che l’Ucraina doveva assumere la vocazione di “Stato mite”, dovendo tenere conto non di una semplice minoranza, ma di una sostanziale divisione in due dell’attrattiva culturale tra occidentalisti e russofili.

Invece la neonata Ucraina spinse da subito per una “ucrainizzazione” culturale e linguistica a scapito del Russo. La spinta è arrivata all’estremo con la legge del 2019

  • che richiede a tutti i cittadini di conoscere l’ucraino
  • che rende obbligatorio l’uso della lingua ucraina negli uffici pubblici, nelle scuole e università, nelle attività scientifiche, culturali, sportive
  • che prevede che le pubblicazioni in lingua diversa dall’ucraino siano accompagnate dalla traduzione in ucraino.

Un modellino inquietante, che fa impallidire la “italianizzazione” del Sud Tirolo realizzata in epoca fascista. (Per immaginarci però il livello di russofilia presente in Ucraina dobbiamo pensare un immaginario Sud Tirolo esteso a tutto il nord Italia, più la Toscana).

E, naturalmente, a ogni azione violenta corrisponde una reazione.

Così succedevano in Ucraina cose di questo tipo.

Nel 2006 il consiglio municipale della città di Kharkiv per primo ha dichiarato il russo lingua ufficiale a livello comunale. Successivamente quasi tutte le regioni meridionali ed orientali dell’Ucraina hanno fatto lo stesso. Nonostante l’appello del presidente Viktor Juščenko [presidente dal 2005 al 2010, NdR], solo poche giurisdizioni hanno revocato queste decisioni. (Wikipedia)

 

La storia elettorale dell’Ucraina

La storia più recente dell’Ucraina è racchiusa in queste tre cartine elettorali.

In questa prima cartina è descritto il ballottaggio delle presidenziali 2004

  • tra il candidato Yanukovich (filo-russo, colore azzurro-blu)
  • e il candidato Yushenko (filo USA/filo UE/filo NATO, colore giallo-ocra).

In questa seconda cartina c’è invece il ballottaggio delle presidenziali 2010, ancora

  • tra il candidato Yanukovich (filo-russo, colore azzurro-blu)
  • e la candidata Tymoshenko (filo USA/filo UE/filo NATO, colore rosa-rosso).

E infine nella terza cartina abbiamo le elezioni presidenziali del 2014, dove il candidato Poroshenko vince al primo turno col 54,70% dei voti. La seconda classificata Tymoshenko stava al 12,82%. Entrambi i candidati erano filo USA/filo UE/filo NATO.

Com’è possibile che uno Stato sostanzialmente diviso in due orientamenti (filo USA-UE-NATO // filorusso) alla fine produca un’elezione plebiscitaria per Poroshenko?

 

Cronologia degli avvenimenti 2004-2014, dalla “rivoluzione arancione” a Euromaidan

Un paese diviso in 50% di filo USA-UE-NATO e 50% di filorussi diventa a un certo punto interamente omologato.

Il tutto avviene attraverso questi passaggi.

Nel 2004 il ballottaggio per le presidenziali lo vince il filorusso Yanukovich, ma le elezioni vengono contestate, e la piazza della cosiddetta “rivoluzione arancione” costringe alla ripetizione del ballottaggio.

Furono riportati casi di irregolarità e abusi, come voti multipli e voti extra assegnati a Janukovyč dopo la chiusura delle urne. Gli exit poll misero Juščenko in vantaggio nelle regioni occidentali e centrali della nazione.

La supposta frode elettorale, combinata col fatto che gli exit poll davano un margine di vittoria consistente per Juščenko (in alcuni casi l’11%), numero che si rivelò molto diverso dal risultato definitivo (una vittoria del 3% per Janukovyč), spinsero Juščenko e i suoi sostenitori a non accettare i risultati ufficiali. (Wikipedia)

È interessante questa descrizione tratta da Wikipedia. Infatti, considerata l’attendibilità degli exit poll (vedere le elezioni italiane…), è un po’ ridicolo che la Corte Suprema annulli il ballottaggio e lo faccia ripetere.

Il tutto avviene quindi sotto la pressione della piazza (i 13 giorni della “rivoluzione arancione”), più che sull’esame dei dati.

Nonostante Yushenko affermi che, nella ripetizione, avrebbe vinto col 60% dei voti, finisce per vincere solamente col 52%.

Ma si arriva alle elezioni presidenziali del 2010, e c’è sempre Yanukovich al ballottaggio, stavolta contro Yulia Tymoshenko (la “principessa del gas”, secondo la Treccani).

Yanukovich vince, e stavolta “secondo i successivi report dell’OCSE e dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, le consultazioni si sono svolte regolarmente, in un contesto equo e trasparente”.

Il che mi fa pensare sommessamente che forse Yanukovich aveva vinto anche la volta precedente, e che gli eventuali brogli fossero ininfluenti sul risultato. Il ballottaggio 2004 rifatto dopo 13 giorni di rivolta di piazza ha infatti un significato democratico molto modesto.

Siamo comunque in una situazione di piena evidenza: che si guardi al ballottaggio annullato del 2004, o al ballottaggio rifatto del 2004, o al ballottaggio del 2010, l’Ucraina è un paese diviso in due.

Comunque dal 2010 il presidente è Yanukovich democraticamente e correttamente eletto. E filorusso.

Yanukovich nel 2013 “data la critica situazione delle finanze pubbliche, aveva rifiutato di firmare un accordo di associazione dell’Ucraina all’Unione Europea, in favore di un prestito russo (acquisto di titoli di stato per circa 15 miliardi di dollari) concesso dal Presidente Putin, che legava ancora di più il Paese alla Russia”.

In pratica Yanukovich aveva rifiutato il classico prestito “stile Troika” (prestiti in cambio di “riforme & privatizzazioni”, lacrime e sangue per la popolazione) in favore di un prestito russo che si sarebbe limitato a creare una zona d’influenza, non certo una “gabbia del debito” come toccò alla Grecia.

E qui inizia la rivoluzione di Euromaidan, 2013-2014, attraverso la quale una violentissima piazza filo USA-UE-NATO costringe il presidente democraticamente eletto a fuggire.

Il 22 febbraio 2014 il presidente Yanukovich fugge da Kiev e si rifugia in Russia. Il 24 febbraio viene spiccato un mandato d’arresto nei suoi confronti.

L’11 marzo 2014 la Repubblica Autonoma di Crimea si dichiara indipendente dall’Ucraina. Il 16 marzo 2014 un referendum vota a larga maggioranza l’autodeterminazione della Crimea e la richiesta di adesione alla Federazione Russa (niente di strano, visto che in Crimea Yanukovich aveva preso il 78,24% dei voti nel 2010).

Il tutto viene indicato come “illegittimo” dalla dirigenza ucraina. Ma ovviamente la stessa dirigenza ucraina dovrebbe essere dichiarata “illegittima”, essendo il frutto del colpo di stato di Euromaidan.

La strage di Odessa del 2 maggio 2014 indica ai russi/russofoni/russofili che aria tira.

La strage di Odessa è un massacro avvenuto il 2 maggio 2014 ad Odessa presso la Casa dei Sindacati, in Ucraina, ad opera di estremisti di destra, neonazisti e nazionalisti ucraini ai danni dei manifestanti che si opponevano al nuovo governo instauratosi nel Paese in seguito alle rivolte di piazza di Euromaidan.

In concomitanza del rogo, preceduto e seguito da linciaggi e violenze nei confronti degli aggrediti, trovarono la morte almeno 48 persone tra impiegati della Casa dei Sindacati, manifestanti contrari al nuovo governo, o favorevoli al separatismo, simpatizzanti filo-russi e membri di partiti di estrema sinistra. (Wikipedia)

Questa era la frase di Wikipedia condivisa da tutti fino al febbraio 2022 (per fortuna la scaricai per tempo sul calcolatore). Adesso invece l’hanno modificata e suona così.

Il rogo di Odessa è stato un incendio verificatosi il 2 maggio 2014 presso la Casa dei sindacati di Odessa, in Ucraina, a seguito di violenti scontri armati fra fazioni di militanti filo-russi e di sostenitori del nuovo corso politico ucraino determinatosi nel paese dopo le proteste di Euromaidan. Il rogo ha portato alla morte di 42 persone. (Wikipedia attuale)

Una sorta di “incidente domestico”.

La Crimea era una Repubblica Autonoma e riesce ad organizzare il referendum-salvezza in breve tempo. Donetsk e Luhansk provano anche loro a organizzare il referendum, ma non fanno in tempo, perché arrivano le truppe ucraine (e i battaglioni vari) ad attaccare una parte dei cittadini ucraini.

È la guerra del Donbass, 2014-2022, trasformatasi poi nella guerra attuale.

Le elezioni 2014 ovviamente sono una farsa, perché un candidato filorusso semplicemente non si presenta (c’era da rischiare la pelle, dopo il trattamento riservato a Yanukovich); inoltre la Crimea non c’è più e le aree sotto attacco militare non votano. Vince Poroshenko al primo turno.

Il 5 settembre 2014 viene firmato da Ucraina, Russia, Donetsk e Luhansk il protocollo di Minsk per fermare la guerra del Donbass. Protocollo mai realizzato, tanto che il 12 febbraio 2015 si deve arrivare a Minsk II, tirando in ballo Francia e Germania come garanti.

Risulta comunque inapplicato anche il protocollo di Minsk II: l’Ucraina evidentemente “risponde” a USA e Polonia, non a Francia e Germania.

È importante vedere per sommi capi il protocollo di Minsk II, perché dal protocollo possiamo “dedurre” la guerra del Donbass, completamente oscurata.

 

Minsk II

Il protocollo di Minsk II dell’11 febbraio 2015 (firmato da Russia, Ucraina, Francia, Germania) nasce a completamento del protocollo precedente del settembre 2014, con lo scopo di chiudere la guerra del Donbass.

Ecco i punti principali, seguiti da una serie di “quindi” che descrivono la vera situazione del Donbass

[1] Ritiro di tutte le armi pesanti da ambo le parti a distanze uguali per creare una zona di sicurezza con profondità almeno 50 km riferita a sistemi di artiglieria di calibro di 100 mm o più, aumentata a 70 km per i sistemi MLRS [lanciarazzi multiplo] e a 140 km per i sistemi MLRS “Tornado-S”, “Hurricane”, “Twister”.

Quindi togliamoci dalla testa che la guerra del Donbass sia una sorta di guerriglia urbana.

Si parla di armi pesanti e quindi di una distruzione immensa in queste aree abitate principalmente da russi/russofoni/russofili. Una fascia di sicurezza di 140 km. è significativa. L’OSCE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) avrebbe avuto il compito di monitorare il tutto, anche con satelliti, droni, sistemi radar, ecc.

[2] Subito dopo il ritiro, dovevano essere definite le modalità delle elezioni locali in Donetsk e Lugansk. Entro 30 giorni il Parlamento ucraino doveva definire le aree che sarebbero state soggette a questa forma di autonomia.

Quindi l’Ucraina era d’accordo sul fatto che queste aree dovevano godere di autonomia, blando risarcimento dopo aver cacciato con la forza il presidente Yanukovich che costituiva la loro forma di protezione.

[3] Fornire un accesso sicuro, consegna, stoccaggio e distribuzione di assistenza umanitaria ai bisognosi sulla base di un meccanismo internazionale.

Quindi in Donbass c’è una crisi umanitaria: l’Ucraina aveva davvero attaccato la vita dei suoi cittadini.

[4] Determinazione delle modalità del completo ripristino delle relazioni socio-economiche, compresi i trasferimenti sociali, come le pensioni e altri pagamenti.

Quindi era vero il discorso del presidente ucraino Poroshenko (video sottotitolato del quale diffidavo, ma il protocollo di Minsk ne conferma l’attendibilità) dove diceva che «così e solo così vinceremo la guerra»: “noi” (ucraini dell’ovest) avremo il lavoro, le pensioni, i sussidi per bambini e pensionati, asili e scuole; “loro” (ucraini del Donbass) non li avranno, e i loro bambini vivranno nelle cantine.

[5] Riforma costituzionale in Ucraina con l’entrata in vigore, entro la fine del 2015, di una nuova costituzione, intesa come elemento chiave di decentramento (tenendo conto delle caratteristiche delle singole zone delle regioni di Donetsk e Lugansk, concordato con i rappresentanti di questi settori), nonché l’adozione della legge permanente sullo status speciale delle singole regioni di Donetsk e Lugansk.

Quindi non è errato evocare l’esempio del Sud Tirolo // Alto Adige come esempio virtuoso che l’Ucraina doveva seguire per superare il suo miope nazionalismo. Gli accordi firmati dicevano proprio questo.

[5] Lo status speciale comprendeva diverse cose tra cui il diritto all’autodeterminazione della lingua.

Quindi era vero che l’Ucraina ha tentato un’omologazione linguistica sullo stile del nostro periodo fascista: imposizione della lingua ucraina anche ai russi che non la parlano.

Tutte queste non erano “rivendicazioni”, ma “accordo firmato” da Ucraina (come colpevole del colpo di Stato e causa scatenante della guerra del Donbass), Russia (come protettore armato di Donetsk e Lugansk e quindi coinvolta nella guerra), Francia & Germania (principali Stati europei, mediatori).

 

Quale è il problema di Minsk?

Il problema di Minsk è che il presidente Poroshenko rispondeva alla statunitense Victoria Nuland, gestore di Euromaidan, quella che nel 2014 aveva garbatamente invitato l’Unione Europea a fottersi («Fuck the EU») per quanto riguardava la gestione dell’Ucraina. E che è di nuovo ai vertici adesso che c’è la guerra 2022.


Victoria Nuland

Il presidente Poroshenko e altri dell’opposizione ucraina certamente incontrarono la Nuland e il Segretario di Stato USA Kerry a Monaco il 1 febbraio 2014, poco prima dello scoppio della rivoluzione di Maidan (seconda fase di Euromaidan).

Poroshenko quindi ha referenti USA, non UE.

E l’Ucraina è talmente “colonia” che nel gennaio 2015 si ritrova ad avere 3 ministri stranieri nel governo Yatseniuk, ai quali viene frettolosamente data la cittadinanza ucraina.

Vediamoli.

Il ministero delle finanze, un posto cruciale considerando la situazione economica del paese e la crescente insoddisfazione da parte del Fondo Monetario Internazionale per l’assenza delle riforme richieste, è stato affidato a Natalie Jaresko, cittadina americana di origine ucraina, laureata in Public Policy alla Kennedy School of Government.

Nella parte iniziale della sua carriera la Jaresko ha ricoperto vari ruoli all’interno del Dipartimento di Stato Americano. Dal 1992 vive a Kiev, prima come dipendente della sezione economica presso l’Ambasciata americana e poi come amministratrice di una società (Western NIS Enterprise Fund) impegnata nel collocamento dei fondi governativi USA in Ucraina e Moldavia.
(https://www.eastjournal.net/archives/52857)

La Jaresko è quindi stata messa lì per gestire la classica trappola del Fondo Monetario Internazionale: prestiti in cambio di “riforme strutturali”.

Tradotto in linguaggio comune: povertà, privatizzazioni, Ucraina divorata da fondi d’investimento stranieri.

Gli altri due ministri, sempre in posti chiave (Commercio e sviluppo economico + Sanità) erano un lituano e un georgiano, entrambi formatisi negli USA.

Il ministero del commercio e dello sviluppo economico è stato affidato a Aivaras Abromavicius, cittadino lituano che nella sua carriera ha ricoperto importanti posizioni all’interno del sistema bancario.

Laureato in Business Internazionale presso la Concordia University del Wisconsin, negli anni novanta ha lavorato per Hansabank e Swedbank group, principali istituti bancari operanti nei paesi baltici.

Dal 2002 è entrato a far parte di East Capital, fondo d’investimenti specializzato nei mercati emergenti e nella regione est-europea.

L’unico dei “ministri stranieri” che nel passato ha ricoperto ruoli governativi è invece il georgiano Aleksandre Kvitashvili, che tra il 2008 e il 2010 è stato ministro del lavoro e della salute sotto la presidenza di Saakashvili in Georgia.

Il nuovo ministro della sanità di Poroshenko è laureato in Storia a Tbilisi e specializzato in Public Management presso la Wagner Graduate School of Public Service in New York. Dopo la breve parentesi governativa in Georgia, Kvitashvili ha assunto l’incarico di rettore dell’Università Statale di Tbilisi.
(sempre tratto da eastjournal)

Eh, quanto è duro il lavoro per esportare democrazia.

Poroshenko ha firmato Minsk, ma di fatto ha ignorato la firma e ha concretizzato la parolaccia della Nuland: se ne è “fottuto” dei due mediatori Francia e Germania, e non ha mai realizzato nulla di ciò che era in suo potere.

Per il semplice fatto che il vero potere stava altrove.

[E la Merkel lo sapeva]
https://contropiano.org/news/internazionale-news/2022/12/11/angela-merkel-ricordi-e-bugie-sugli-accordi-di-minsk-0155287

 

Poi avviene l’incredibile

Nelle elezioni 2019 avviene l’incredibile: il presidente uscente, Poroshenko “re del cioccolato”, viene battuto dall’attore comico Zelenskyj che, attraverso una campagna elettorale interamente virtuale, passa dal ruolo di “attore comico che recita in TV la parte del presidente ucraino” a presidente ucraino reale.

Zelensky era un attore comico (il Grillo d’Ucraina, l’aveva definito Biloslavo), decisamente volgare, e quindi abituato a recitare a soggetto.

Il partito politico che lo sostiene nasce direttamente dallo staff di Kvartal 95, produttrice della serie TV in cui Zelensky interpretava la figura del presidente ucraino.

Viene eletto presidente nel 2019 con una campagna elettorale completamente virtuale, “liberal” all’estremo,

Zelens’kyj sostiene la distribuzione gratuita di cannabis medica, l’aborto gratuito in Ucraina e la legalizzazione della prostituzione e del gioco d’azzardo. (Wikipedia)

Privo di avversari (l’antagonista Poroshenko era filo USA esattamente come Zelensky, ma meno “simpatico”), filo NATO e filo UE.

Ma si presenta come “morbido”, disponibile a una pacificazione in Donbass.

Considerato che la sua esperienza politica era inesistente, possiamo immaginare che Zelensky, anche da presidente, abbia continuato a recitare a soggetto.

 

Un 2021 caldissimo

Con gli accordi di Minsk inapplicati la guerra dell’Ucraina contro il proprio popolo va avanti imperterrita.

Il contesto internazionale, con Trump negli USA (il meno guerrafondaio dei presidenti USA) e la Merkel in Germania (che parlava con Putin direttamente in russo), consentiva almeno una “guerra a bassa intensità” (chiedere però agli abitanti del Donbass per sapere come si vive in una “guerra a bassa intensità”) e la garanzia che l’Ucraina non entrasse nella NATO.

Nel 2021 cambia tutto.

  • Negli USA arriva Biden e torna ai vertici Victoria Nuland, una delle maggiori promotrici del colpo di stato di Euromaidan (c’è anche il filmino che la ritrae mentre porta sacchetti di pane, munifico dono degli USA, ai manifestanti).
  • In luglio in Ucraina avvengono le manovre militari congiunte Polonia + Lituania + Ucraina (assieme agli USA, ovviamente), col nome di “Three Swords (Tre Spade).
  • In dicembre finisce l’era Merkel, e il contatto diretto Germania-Russia cessa.
  • Il primo atto che fa la Polonia col nuovo cancelliere Scholz, 9 dicembre 2021, è quello di chiedere il non utilizzo del gasdotto Nord Stream che porta energia dalla Russia alla Germania.

 

Non 24 febbraio, ma 16 febbraio

Il monitoraggio dell’OSCE (Missione di Monitoraggio Speciale per l’Ucraina) rileva un’impennata di esplosioni belliche dal 17 febbraio.

Dalla media stabilizzata di 50 esplosioni belliche al giorno, si passa a 350 – 600 – 1400 – 1600 nei giorni dal 17 al 22.

È in questi giorni che avviene l’affrettato riconoscimento di Donetsk e Luhasnsk da parte della Russia, 21 febbraio 2022.

Il 24 febbraio 2022 (casualmente è l’ottavo anniversario del mandato di cattura per Yanukovich), inizia la “operazione speciale”, ossia la guerra esplicita tra la Russia (che riconosce Donetsk e Luhansk come repubbliche autonome) e l’Ucraina.

 

Commento sulla cronologia

La cronologia aiuta.

Il nostro problema è che abbiamo cancellato mediaticamente la guerra del Donbass (truppe ucraine e battaglioni vari che attaccano i propri cittadini, oltre all’attacco amministrativo della cancellazione delle pensioni e dei sussidi per la popolazione) e fingiamo di credere che l’Ucraina fosse tranquilla e in pace fino all’attacco di Putin del 24 febbraio 2022.

Ci siamo completamenti dimenticati gli accordi di Minsk II coi quali Francia Germania Russia Ucraina concordavano zone smilitarizzate, modifica della Costituzione ucraina, autonomia per le aree russe/russofone/russofile, ripristino di pensioni e sussidi, eccetera. Accordi mai realizzati, ma esistenti.

Quindi Putin stava portando pazienza da 7 anni, quando decide di entrare in Ucraina in difesa dei “suoi”.

Suoi nel senso di russi/russofoni/russofili; territori che passerebbero senza problemi con la Russia in caso di liberi referendum. Adesso sono passati con la Russia tramite referendum in tempo di guerra; ma le mappe elettorali che ho riportato indicano che sarebbero passati a larghissima maggioranza anche in tempo di pace.

L’Ucraina ha cessato di essere un paese democratico con la rivoluzione di Euromaidan: ha conservato le forme, ha ucciso la sostanza, eliminando dall’agone politico il 50% della popolazione (quella russa / russofona / russofila, che non ha più rappresentanza).

La guerra d’Ucraina non è quindi l’attacco di Putin all’Ucraina.

È invece la risposta di Putin, dopo 7 anni di attesa e di promesse mancate, all’attacco dell’esercito ucraino e di brigate varie alla componente russa/russofona/russofila che era maggioritaria nel paese (ricordiamo ancora la vittoria di Yanukovich nel 2010) e che aveva rifiutato la gabbia del debito occidentale (prestito con obbligo di riforme neoliberiste, stile Grecia), in favore di un prestito russo (prestito e basta).

Quindi l’Italia che fornisce armi e supporto all’Ucraina sta partecipando come parte attiva a una guerra che non ci riguarda e nella quale il primo aggressore è l’Ucraina stessa contro i suoi stessi cittadini.

In fondo è la riproduzione 2022 della guerra di Libia 2011, nella quale, con la foglia di fico di “proteggere i civili”, fummo parte attiva nell’attacco a Gheddafi.

Mentre gli attaccanti veri erano i mercenari al soldo dell’Occidente e di qualche paese del Golfo.

 

Individuazione della strategia USA

La strategia USA è ormai abbastanza palese.

Innanzitutto ricordiamoci che alla fonte della guerra c’è la “terribile” scelta di Yanukovich: scegliere il prestito russo “normale” al posto del prestito-gabbia occidentale (soldi in cambio di riforme neoliberiste, privatizzazioni, lacrime & sangue per il popolo).

Guai a toccare i meccanismi finanziari predatori.

Gli USA puntano palesemente a realizzare (100 anni dopo…) l’idea del generale Pilsudski che voleva riunire Polonia, Lituania, Ucraina (i 3 Stati delle citate manovre Three Swords) e Bielorussia in una federazione che facesse barriera contro i due nemici storici della Polonia: Germania e Russia.

Agli USA va benissimo che la Germania venga tagliata fuori dai rifornimenti energetici russi: un indebolimento contemporaneo di Russia e Germania non può che favorire gli USA.

E la fedelissima Polonia diventa la colonia prediletta che dovrà realizzare in permanenza questa separazione Germania-Russia.

In attesa ovviamente di “disfare” la Russia a pezzetti, come se fosse una Jugoslavia qualsiasi.

In più la NATO ha approfittato della guerra per chiamare a sé anche Svezia e Finlandia, facendo del Baltico un mare della NATO.

[Ecco una mappa della possibile disintegrazione della Russia pubblicata dall’Economist]

 

Un esempio di storia vera: vedere Kherson dai due lati

Il signor Enrico in una mail mi scrive così.

Il mio professore di Storia al Liceo Massimo alla fine degli anni ’50, il gesuita padre Franco Rozzi, nel corso della sua seconda lezione ci disse:

«Cari ragazzi ricordatevi sempre che ogni fatto storico può essere valutato da almeno due punti di vista parimenti degni di attenzione».

E questo insegnamento mi ha accompagnato in tutta la vita.

L’11 novembre 2022 la città di Cherson viene liberata dagli Ucraini.

Questo però secondo i media occidentali, ossia secondo il primo punto di vista.

Proviamo a costruire il secondo punto di vista, secondo l’insegnamento di padre Rozzi, visto che nessuno ce lo descriverà in TV.

Kherson sta alla foce del Dnepr.

Le cartine elettorali ci mostrano Kherson in zona azzurra, anche se più tenue rispetto alle zone attorno. Comunque siamo in territorio decisamente russofilo: nell’Oblast di Kherson il filorusso Yanukovich aveva ottenuto nel 2010 il 59,98%.

È quindi probabile che a Kherson non tutti fossero contenti del ritorno dell’esercito di Kiev con l’aggregato di milizie varie che fino al 2021 definivamo “neonaziste” e oggi “patriottiche”.

115.000 persone infatti se ne sono andate per mettersi sotto protezione russa.

E che altro potevano fare, visto come l’Ucraina tratta i filorussi dal 2014 in poi?

Questo è il secondo punto di vista.

Kherson liberata. O Kherson rioccupata. Secondo il punto di vista.

 

Chiudo

Chiudo. Mai mi ero occupato di Putin, questa guerra mi ha costretto a occuparmene.

Quel che ne è venuto fuori è

  • l’espansione strutturale degli USA verso est, attraverso la NATO
  • i colpi di Stato in Ucraina del 2004 e 2014 in funzione antirussa
  • l’Ucraina come nazione sostanzialmente divisa in due, che applica un nazionalismo becero
  • i patti di Minsk inapplicati
  • la guerra del Donbass dimenticata
  • l’invasione del 24 febbraio 2022 come cosa erronea e al contempo inevitabile, avendo l’occidente posto tutte le condizioni perché ciò avvenisse.

Questa è la situazione.

 

Approfondimenti? A volontà

Ci sarebbero tante cose da approfondire.

  • Il ruolo della Polonia
  • Ebrei e neonazisti
  • Le guerre Russe, le guerre USA
  • Imperialismo reale e immaginario
  • Semi-blocco di Kaliningrad
  • Biolaboratori
  • E tanto altro

Ma non si può dire tutto.

 

5 – Il dopo conferenza

Il dopo conferenza è fatto di domande e le domande/risposte durano 1 ora e 5 minuti. Impossibile riassumerle, perché dovrei riascoltarmele anch’io in audio per ricordare.

Ricordo però che mi sentivo soddisfatto delle risposte, perché nessuna era evasiva o cercava di “svicolare”.

Una domanda è arrivata anche a parlare di moneta, una sorta di invito a nozze per il sottoscritto.

Solo a una signora che diceva il suo sgomento sul “che fare dopo aver ascoltato” avrei potuto dare una risposta migliore.

La risposta di don Milani ad esempio, nel finale della “Lettera ai Giudici”.

Spero di tutto cuore che mi assolverete, non mi diverte l’idea di andare a fare l’eroe in prigione, ma non posso fare a meno di dichiararvi esplicitamente che seguiterò a insegnare ai miei ragazzi quel che ho insegnato fino a ora. Cioè che se un ufficiale darà loro ordini da paranoico hanno solo il dovere di legarlo ben stretto e portarlo in una casa di cura.

Spero che in tutto il mondo i miei colleghi preti e maestri d’ogni religione e d’ogni scuola insegneranno come me. Poi forse qualche generale troverà ugualmente il meschino che obbedisce e così non riusciremo a salvare l’umanità.

Non è un motivo per non fare fino in fondo il nostro dovere di maestri. Se non potremo salvare l’umanità ci salveremo almeno l’anima.

Il “che fare” è esattamente questo.

Se uno ha il tempo e le capacità di portare barlumi di verità, o di costruire un cerchio attorno alla verità, deve fare il suo dovere di maestro (e non deve sgomentarsi di questa parola: chiunque ha qualcosa da insegnare, è un maestro). Si può perdere l’anima anche per i peccati di omissione.

Oppure potevo recitarle il finale “lirico” di Carlo Alianello, al termine del libro “La conquista del sud”. Nel caldo di Messina, in una pausa degli esami di maturità, Alianello “vede” un soldato borbonico, uno degli ultimi difensori di Messina assediata. Colloquia con lui. Poi chiude così.

Da quel sogno…

Ma fu un sogno? Una visione? Chi sa,

m’è rinato anche il desiderio di vedere a occhi aperti,

di conoscere meglio le cose,

come stavano,

come stanno alla luce del giorno.

Perciò ho scritto questo libro.

Storia per me non nuova,

ma degna d’essere scritta

per chi non sa e nemmeno dubita.

 

Il “desiderio di vedere a occhi aperti” è degno dell’uomo.

E, quando uno ha visto, non può che comunicare.

Per chi non sa e nemmeno dubita.

Cena finale, nella villa, in 11 attorno a un tavolo quadrato.

Due dita sole di vino, e bevute subito all’inizio perché dopo devo guidare.

Tanti discorsi non banali anche a tavola, sull’Ucraina, ma anche sulla Chiesa, sull’economia, sulla moneta, sul superbonus.

E viene fuori una questione importante.

«Filosoficamente però non regge una giustificazione dell’invasione di Putin basata sulle invasioni fatte dagli altri».

«Vero. Però il GIUDIZIO sull’invasione di Putin, non può venire da chi pratica le invasioni come stile corrente di vita. O da chi, come noi, le nostre invasioni dell’unità d’Italia addirittura le festeggiamo».
[Si veda il paragone del prof. Alessandro Barbero https://www.youtube.com/watch?v=UxjxvcMprIk]

 

Giovanni Lazzaretti

giovanni.maria.lazzaretti@gmail.com

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