Come non si cura il covid dopo un anno di pandemia

di Giovanni Lazzaretti


NOTICINE

Nel caso di vicende narrate, si tratta di vicende reali, con nomi di fantasia.
In particolare, nelle vicende narrate eventuali nomi di medici e di istituzioni sanitarie sono frutto di fantasia: ogni riferimento a medici o istituzioni realmente esistenti è puramente casuale.
I dati citati, salvo diversa indicazione, sono aggiornati al 12 marzo 2021, e provengono tutti dalle Istituzioni (Ministero della Salute, ISS, Protezione Civile, Regioni, AUSL).


INDICE

– Unione Sovietica, 1959 – Il tecnico dei trattori

– Italia 2021 – I medici che sanno come si cura

– Governo Draghi: continuità con Conte, aggravata

– Che bello, tanta fatica risparmiata: la parola a Giorgia

– Il protocollo di cura del Re degli Ignoranti


Unione Sovietica, 1959 – Il tecnico dei trattori

(da “Il compagno don Camillo”, di Giovannino Guareschi)

Alla fine si arrivò al termine della catena di montaggio e si poterono vedere i trattori pronti per essere spediti al loro destino: qui don Camillo rimase come folgorato e, dopo aver rimirato con occhi estatici un esemplare appena sfornato, esclamò rivolto a Peppone:
«Compagno senatore, ma questo è identico alla meravigliosa macchina regalata dall’Unione Sovietica alla cooperativa agricola che tu hai creato!»


Peppone avrebbe volentieri squartato don Camillo che vilmente gli ricordava il maledetto trattore che non voleva andare a nessun costo e aveva fatto scompisciare dalle risa l’intera provincia. Ma ciò che più gli avvelenò il sangue fu che dovette sorridere e parlare con entusiasmo del famoso trattore, come si trattasse di una cara persona viva. Però quand’ebbe finita la sua fatica, il meccanico che dormicchiava dentro di lui fece udire la sua voce e, così, mentre gli altri proseguivano nella visita, agguantò per una manica uno dei tecnici che scortavano i visitatori e, appressatosi a un trattore, gli indicò un certo pezzo della pompa d’iniezione, e cercò di spiegare, armeggiando con le dita, che la faccenda non poteva funzionare per questo e quest’altro. Il tecnico lo stette a rimirare molto interessato, poi si strinse nelle spalle. Per fortuna, sopraggiunse la compagna Petrovna alla quale il tecnico parlò brevemente.
«Dice» spiegò la Petrovna a Peppone «che ha capito. Aspettano che arrivi l’autorizzazione a modificare il pezzo».
Il tecnico ridacchiando disse qualcosa d’altro alla ragazza e lei corrugò la fronte e rimase soprappensiero un momento. Poi si decise e, senza guardare in faccia Peppone, gli comunicò sottovoce: «Dice che l’autorizzazione dovrebbe arrivare da un anno all’altro».


Italia 2021 – I medici che sanno come si cura

Una certa percentuale di italiani sa come NON ci si deve curare a casa col covid.
Un’altra percentuale sa come ci si dovrebbe curare a casa col covid.
Una percentuale di medici sa come curare a casa col covid.

Questo sottoinsieme di Italiani, che non saprei quantificare, possiede una cultura personale e di piccolo gruppo, che non riesce a diventare cultura di massa. E non riesce perché è oppressa da un pachiderma medico-politico-burocratico-mediatico che incombe.
Non c’è nessuna possibilità di far muovere il pachiderma, così “quelli che sanno” non possono fare altro che imitare il tecnico dell’URSS 1959: ridacchiare, tristemente, sulla povertà di chi li dirige.
Avremmo bisogno di una svolta-covid decisa e rapida, da far partire “da un giorno all’altro”.
Invece, come il tecnico sovietico, dobbiamo rassegnarci, e aspettare che la svolta avvenga “da un anno all’altro”.

Letteralmente “da un anno all’altro”. E’ passato un anno e il pachiderma è sempre piantato in quel punto. Il suo barrito è sempre lo stesso: «Chiudete tutto, il vaccino ci salverà!».
Anzi, addirittura il pachiderma ha fatto dei passi indietro. Perché, se nel marzo 2020 palesava solo ignoranza (perdonabile), adesso palesa ancora ignoranza (ormai imperdonabile), ma si è dotato in aggiunta di software farlocchi che gli fanno vedere una realtà che non esiste.

«Ma cosa dici “realtà che non esiste”! Gli ospedali sono pieni e le intensive sature!»
Sì, le intensive sono a 2.914 (come il 21.03.2020 il 16.04.2020 il 10.11.2020).
Sì, i ricoverati sono 23.656 (come il 25.03.2020 il 22.04.2020 il 05.11.2020 il 29.12.2020 il 12.01.2021).
Ma invece di concentrarci su questi 2.914+23656=26.570 italiani in situazione severa o critica, continuiamo a sparare in TV i 26.790 “nuovi casi del giorno” che non vogliono dire assolutamente nulla, perché al 95,3% sono “casi” ininfluenti per l’ospedale (lievi al 20,2%, paucisintomatici al 16,4%, asintomatici al 58,7%).

L’unico, l’unico, l’unico problema covid sono le ospedalizzazioni.
E se il problema sono le ospedalizzazioni, bisogna curare a casa.
E per curare a casa bisogna saper curare a casa.
E per imparare a curare a casa bisogna dar voce ai medici che curano a casa, per ottenere una cultura “popolare” e diffusa.

Sì, certo… Provate a dirlo al pachiderma.

Quelli che curano a casa possono al massimo ottenere spazio da Mario Giordano, oppure un servizio del TGR a riguardo del distretto Acqui-Ovada, apripista delle cure domiciliari per il Piemonte.
Invece il pachiderma mette in campo Burioni da Fabio Fazio.
«Piemontesi, sappiate che studi sterminati hanno stabilito non solo che per Covid 19 l’idrossiclorichina è inutile, ma che è anche pericolosa. Se qualche “medico” ve la prescrive, buttatela nel cesso e cambiate medico velocemente».
Ovviamente non ci sono “studi sterminati”, al massimo c’è l’articolo farlocco su Lancet della primavera 2020.
E i “medici” con le virgolette citati da Burioni sono normali medici delle AUSL che hanno capito, che curano con clorochina e con tanto altro, che rilevano con soddisfazione i risultati, ma che non hanno accesso ai pulpiti importanti.
Ma del resto Burioni ormai lo conosciamo. Mi “autocito”:
Su Burioni fu rivelatoria questa sua frase: «Questa è una scemenza di proporzioni immense. Lo scritto mette insieme alcune cose vere con altre scemenze olimpioniche, e arriva a conclusioni che definire senza senso è generoso». Stava insultando il testo che descriveva (quasi un anno fa) la realtà di come si moriva di covid: «La gente va in rianimazione per tromboembolia venosa generalizzata, soprattutto polmonare. Se così fosse, non servono a niente le rianimazioni e le intubazioni perché innanzitutto devi sciogliere, anzi prevenire queste tromboembolie. Se ventili un polmone dove il sangue non arriva, non serve! Infatti muoiono 9 su 10. Perché il problema è cardiovascolare, non respiratorio! Sono le microtrombosi venose, non la polmonite a determinare la fatalità!»
Burioni è stato sbugiardato dalla realtà (nonché dalla stessa AIFA).

Riguardo il trattamento dei pazienti con Covid-19 con le eparine a basso peso molecolare, nel razionale della sua scheda tecnica l’Aifa indica che l’uso delle EBPM si può collocare sia nella fase iniziale della malattia che nella fase avanzata. Nella fase iniziale, quando è presente una polmonite e si determina una ridotta mobilità del paziente con allettamento, l’eparina potrà essere utilizzata a dose profilattica allo scopo di prevenire il tromboembolismo venoso. Nella fase più avanzata della malattia, in pazienti ricoverati, per contenere i fenomeni trombotici a partenza dal circolo polmonare come conseguenza dell’iperinfiammazione dovuta alla malattia, le EBPM dovranno essere utilizzate a dosi terapeutiche.
Eppure per Burioni c’è sempre una tribuna disponibile, per i suoi proclami privi di dati e privi di contraddittorio.


Governo Draghi: continuità con Conte, aggravata

Se qualcuno sperava in una svolta da parte del governo Draghi, spero abbia già capito che aria tira.
Secondo le norme previste da lunedì 15 marzo fino al 6 aprile le Regioni che avranno un numero settimanale di casi superiore a 250 ogni 100.000 abitanti passeranno automaticamente in zona rossa.
In altre parole per istituire la zona rossa in una regione con ordinanza del ministro della Salute non si considererà più solo l’Rt (indice di trasmissibilità) superiore a 1,25 nell’ultima rilevazione, ma anche l’incidenza settimanale superiore a 250 casi complessivi su 100 mila abitanti. Il cambio di fascia sarà automatico.
I 250 casi su 100.000 abitanti ti fanno diventare “zona rossa”. Il problema è che 238 di questi casi stanno a casa da sani o da lievi. E i 12 casi che davvero contano si perdono nel mucchio, spesso arrivati in ospedale perché non curati e lasciati in balia della tachipirina.
Abituiamoci a questa norma senza reagire, e avremo pronta una tecnica per conservare le zone rosse anche d’estate. I 250 casi mica devono essere dei malati, possono anche esser tutti sani.
Avete visto delle reazioni a questa sciocchezza? E come potrebbero esserci? Al governo c’è il Partito Unico, i governatori di regione sono tutti legati a una componente governativa, il silenzio è d’obbligo.

«Ma il decreto non è eterno, dura fino al 6 aprile». Come si andò avanti nel 2020? Di settimana in settimana, di bugia in bugia («chiudiamo tutto per 15 giorni per poi riabbracciarci» o qualcosa del genere), di proroga in proroga, di abitudine in abitudine.
Una mini tabella per chiarirci, coi dati tratti dall’Aggiornamento Nazionale dell’ISS. 

Ho preso gli aggiornamenti del 30.06.2020 del 07.11.2020 del 10.03.2021 per avere tre periodi quasi identici.
Come vedete, se nel periodo iniziale ci si occupava di qualcosa che aveva a che fare con la malattia, adesso ci si occupa essenzialmente di dare la caccia ai sani.
Non ha senso parlare di 250 casi su 100.000 che ti fanno diventare zona rossa, se questi 250 diventano sempre più dei “segregati sani”.
Se si arrivasse a trovare 250 casi su 100.000 tutti asintomatici, cosa direste?
«Che bello! Siamo riusciti a convivere col covid! Altro che zona rossa!»


Che bello, tanta fatica risparmiata: la parola a Giorgia

Avrei voluto descrivere il calvario di “quelli della tachipirina”, attingendo dalle innumerevoli situazioni che mi sono state raccontate.
Ma su “L’Eco di Lezzano Montese” ho trovato un testo che li riassume tutti. L’Eco deve essere come Prima Pagina Reggio o la Voce di Reggio: giornali piccoli che possono permettersi di dare spazio anche ai piccoli. Alla signora Giorgia hanno dato uno spazio ampio.

***

Caro Direttore, appena ho finito di scrivere questa lettera, mi sono accorta che è lunghissima, più lunga dei vostri articoli. La mando lo stesso, per sfogarmi. Se mi sfogo con le amiche, finisce sempre che alzo la voce. Qui al massimo mi scapperanno dei punti esclamativi.
Presento la mia famiglia, perché così sono più comoda nel raccontare. Sono Giorgia, moglie di Antonio, mamma di Cecilia e di Tosca (a mio marito piace la lirica), figlia di Susanna (vive da sola, ma nell’appartamento di fianco a noi), sorella di Costanza e sorella anche di altri che non entrano nel racconto.
E’ un racconto covid, ovviamente. Covid contemporaneo tra me, mio marito e mia madre. Più Cecilia e Tosca, che però sono sempre state bene.
Venerdì 12 febbraio alla sera cominciamo coi sintomi: io e Antonio abbiamo entrambi la febbre.
Al sabato mattina chiamo la guardia medica per spiegare la situazione e prenotare i tamponi perché ero quasi certa che fosse covid: in particolare io avevo molto mal di testa e dolori muscolari soprattutto a livello dei polmoni.
La notte tra sabato e domenica sto malissimo: ho forti dolori muscolari all’altezza dei polmoni e non trovo la posizione per alleviare un po’ il dolore. Prendo un antinfiammatorio che ho in casa. Il dolore un po’ se ne va.
Il tampone lo facciamo lunedì 15. Ci mettiamo in isolamento in casa e le ragazze si devono occupare di mia madre, che è brava, ma ha bisogno di essere un po’ seguita nelle incombenze quotidiane. Sempre nella mattina di lunedì contatto il mio medico. Dopo lunga attesa riesco a prendere la linea, ma mi risponde la segretaria dicendo che il dottore è molto impegnato e se posso dire a lei…
Già questo mi disturba, ma spiego la situazione dicendo che ho preso un antinfiammatorio.
Lei mi risponde che ho fatto male perché può alterare l’esito del tampone! Io l’ho mandata a quel paese dentro di me…
Mi passa il dottore che ha molta fretta e mi dice di continuare con l’antinfiammatorio e di aspettare comunque l’esito del tampone.
Intanto Antonio continua ad avere la febbre molto alta; di notte saliva anche a 39,5. La sua dottoressa suggerisce di prendere la tachiripirina e di aspettare l’esito del tampone che arriva martedì 16 pomeriggio.
La febbre però non se ne va e Antonio continua a stare male. La dottoressa gli prescrive i raggi al pronto soccorso la sera del martedì 16. I suoi polmoni non sono ancora intaccati e lo rimandano a casa. Terapia: la solita tachipirina per altre 72 ore! Se non migliora cominciare con il cortisone.
Avendo letto delle cose su Internet sulla necessità di interventi tempestivi, supplicavo Antonio di prendere un antifiammatorio. Ma lui mi rispondeva sempre che faceva quello che gli dicevano i medici, tachipirina. Abbiamo anche discusso, ma niente da fare, non sono riuscita a fargli cambiare idea. Mi metto anche in contatto con Costanza. Mia sorella è una “sul pezzo”, infermiera domiciliare in Toscana, nell’AUSL di Ponte al Mulino, e ha fatto anche parte anche dell’USCA del territorio.
Quando le dico che io e Antonio siamo dovuti andare a fare il tampone a Pratolungo, lei si scandalizza e mi dice: «Ma come! Vi dovete muovere con la febbre? Ma qui in Toscana va l’USCA a fare i tamponi a casa dei pazienti con la febbre e poi vengono seguiti a domicilio con visite richieste dal medico curante!»
Quando poi impara che nostra madre, 87 anni, deve andare addirittura fino al capoluogo con la febbre per fare il tampone, e che Cecilia e Tosca ce l’hanno il giorno dopo, si scandalizza ancora di più. Riflessione personale: ma visto che l’ufficio igiene ci aveva contattato, e sapeva bene che eravamo un nucleo familiare, perché non ha predisposto i tamponi il più presto possibile e soprattutto tutti insieme?
La tanto decantata sanità della nostra regione…

Tutte le sere Antonio ha un contatto telefonico con la sua dottoressa, la quale era più preoccupata per mia madre che nel frattempo aveva la febbre. Ma le hanno fatto fare il tampone solo il giovedì 18 pomeriggio e per di più nel capoluogo (le ragazze l’hanno fatto il venerdì 19).
Il giovedì 18 sera Antonio supplica la sua dottoressa di fare venire qualcuno a visitarlo, perché continua a stare male. Dopo un po’ d’insistenza la dottoressa prenota una visita domiciliare con gli operatori dell’USCA. Vengono venerdì 19 mattina, ma senza l’ecografo, lo visitano e gli dicono che il giorno dopo avrebbe dovuto cominciare il cortisone.
Una nota a margine sulla gestione delle USCA. In famiglia non abbiamo lo stesso medico: Antonio e mia madre hanno una dottoressa di Pratolungo, mentre io, Cecilia e Tosca abbiamo il medico a Ca’ Monte.
L’USCA esce a chiamata del medico curante solo per visitare il paziente per cui è stata fatta la chiamata: ma se nel nucleo familiare sono tutti ammalati perché non visitare almeno tutti quelli che hanno lo stesso medico curante?
Quindi quando sono venuti per Antonio il venerdì 19 mattina potevano visitare anche mia madre, che aveva la febbre. Ma purtroppo non era ancora arrivato l’esito del tampone!
E quando sabato 20 pomeriggio sono venuti quelli dell’USCA per mia madre, potevano visitare anche Antonio che stava sempre peggio.
Poveretti, però erano pieni di chiamate, li capisco! Ma in questo modo si sprecano energie e risorse.
Il sabato 20 mattina Antonio comincia il cortisone, ma ahimè è troppo tardi!
Comincia a sentire formicolio alle mani, la saturazione è sempre più bassa, arriva anche a 86.
Al sabato sera la sua dottoressa decide di chiamare il 118 e lo portano al Pronto Soccorso, ore 22.
Alle 2 di notte Antonio mi telefona e mi dice che lo ricoverano in terapia intensiva perché non c’è posto nei reparti.
Il medico mi chiama il giorno dopo dicendomi che Antonio ha una grave insufficienza respiratoria, con una polmonite da covid più un focolaio.
Questo per me è un caso di abbandono terapeutico!
Io non so se l’antinfiammatorio precoce avrebbe tenuto lontano il mio Antonio e mia madre dall’ospedale, ma continuo a leggere esperienze di medici che gridano «Sì, l’antinfiammatorio precoce è necessario!».
So per certo comunque che la tachipirina non conta nulla, se non come foglia di fico in attesa dell’ospedale.
Scusi lo sfogo, direttore. Sono qui a casa, sono a pezzi, ma grazie a Dio non sono andata in ospedale. Aspetto il ritorno di mia madre, che è finita in ospedale anche lei, ma non ricordo nemmeno più in che giorno, tanto sono suonata. Adesso sta meglio.
Antonio invece è ancora là, il covid sembra superato, ma intanto si è preso la classica infezione ospedaliera, con un buon extra di febbre alta.
Non siamo stati contenti dei nostri medici locali. Ma poi mi dico che la colpa è di chi li sta guidando male.
Grazie, e mi scusi ancora.

Giorgia M.


Il protocollo di cura del Re degli Ignoranti

Lo scorso febbraio 2020 scrivevo:
«Giulia, cerco la percentuale dei morti da Coronavirus divisi per età, ma non trovo niente in italiano. Cosa devo scrivere per cercarlo in inglese?» «Fatality rate by age. Però, papà, lascia perdere…»
Mia figlia ha ragione. Con la medicina ho un rapporto un po’ fantasioso: faccio strane autodiagnosi, confondo i termini, attribuisco a certi medicinali poteri che non hanno, scambio le cause con gli effetti. Insomma, sono pericoloso.
Poiché però mi sollecitano sul Coronavirus, mi tocca dire la mia. Sarà un lungo articolo sussurrato, tranne qualche passaggio. Comunque, se faccio dei copia-incolla di citazioni altrui, grandi danni non ne dovrei fare.

Non sono certamente cambiato da allora. In medicina sono sempre il Re degli Ignoranti.
Quello che è cambiato è il mio archivio.
Ho molte cose e so come ritrovarle al bisogno.
Ho molti dati, e li ho ben chiari, certamente più di Draghi nel suo discorso inaugurale.
Ha parlato di 2.725.106 cittadini colpiti dal virus. Ovviamente non è così: 2.046.555 non sono colpiti dal virus, essendo sani o paucisintomatici; sono colpiti solo dalle norme governative di internamento domiciliare.
Un Presidente del Consiglio non può citare i dati all’unità, per poi darne un’interpretazione a vanvera.
Ho imparato a distinguere tra autori da leggere, ma inutilizzabili perché non possono fornire pezze giustificative “spendibili”, e altri che semmai hanno visioni più limitate, ma hanno documenti inoppugnabili.
Ho imparato a fare domande ad alcuni medici, senza paura di passare per ciò che sono, un ignorante.

Così, vista la lettera della signora Giorgia, ho pensato che c’è un protocollino che può essere scritto anche dal Re degli Ignoranti. Alla prossima puntata.

 

Giovanni Lazzaretti

giovanni.maria.lazzaretti@gmail.com

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