Come i poteri forti limitano l’esercizio della sovranità popolare

di Davide Gionco

 

Tucidide, nel famoso “Monologo di Pericle”, ci ha trasmesso una frase del famoso politico dell’antica Atene: “Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi, per questo è detto democrazia.
Un 
cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende la proprie faccende private. Ma in nessun caso si avvale delle pubbliche cariche per risolvere le questioni private.” 

Da quando la polis di Atene si sottomise ad Alessandro Magno nel 335 a.C., ponendo fine alla propria libertà democratica, il mondo dovette attendere fino al 1776, con la dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America, per avere una Democrazia istituzionalizzata, anche se durante il Medioevo ci furono molte forme di democrazia a livello locale (arengo o il famoso Landsgemeinde di Appenzel, in Svizzera).

Oramai la maggior parte dei paesi del mondo possiedono forme di governo almeno formalmente “democratiche”, in cui sono previste forme di democrazia rappresentativa e, in casi più rari, forme di democrazia diretta.

In entrambi i casi si tratta di forme organizzative per fare in modo che i processi decisionali, sulle scelte che riguardano la società civile, tengano conto dell’opinione del “popolo” ovvero di migliaia, di milioni di cittadini che non hanno la possibilità di riunirsi e prendere una decisione comune come avviene in una piccola assemblea (ad esempio di una famiglia o di un’assemblea condominiale).

I processi decisionali democratici, quindi, sono fatti di “forme” ovvero di regole per la presentazione delle istanze, per la diffusione delle informazioni e per l’espressione del voto che determina la decisione finale.
Ma sono fatti anche di “sostanza” ovvero del merito delle decisioni, di dettagli tecnici, di cifre, di testi di legge, di procedimenti di attuazione.
Questo processo, nel suo insieme, è ciò che trasforma la volontà popolare in decisioni e, infine, in cambiamenti concreti nella vita della comunità umana, negli interessi di tutti o, quantomeno, della maggioranza della popolazione.

Da che mondo è mondo sempre ci sono state persone ed organizzazioni che hanno operato per tutelare gli interessi privati di pochi a scapito di molti, esattamente il contrario di quello che Pericle riteneva essere il fondamento della Demo-crazia, il “governo del popolo”.

Oggi, con la democrazia istituzionalizzata, la cultura diffusa di sovranità popolare non accetta che ci siano un re o un dittatore al di sopra delle leggi che decida per conto di tutti.
Giustamente nella nostra Costituzione, all’art. 1 si precisa che “la sovranità appartiene al popolo”, che la esercita nelle “forme” e nei “limiti” della Costituzione.

Per questo motivo i poteri forti che operano nella società, non potendo privare il popolo dell’esercizio del proprio potere democratico, operano per tutelare i propri interessi cercando di modificare le forme in cui il popolo influisce sulle decisioni, in modo da ottenere dei vantaggi sulla sostanza di tali decisioni.

 

Le limitazioni alla Democrazia Diretta

Per conseguire i loro obiettivi prima di tutto i poteri forti cercano di limitare al massimo l’esercizio della democrazia diretta ovvero la possibilità del Popolo di agire come ente legislatore supremo, superiore al Parlamento.
Infatti se la sovranità appartiene al popolo, significa che l’ultima parola su ogni decisione che lo riguarda deve spettare al popolo stesso.

In questo senso l’Italia ha il vantaggio, rispetto alla maggior parte della altre nazioni del mondo, di disporre di alcuni strumenti di democrazia diretta. Per intenderci: le democraticissime nazioni Germania e USA non concedono al popolo di votare per decidere direttamente dei provvedimenti legislativi, la democrazia è solamente di tipo rappresentativo. L’Unione Europea, che nei media è presentato come un avanzato strumento di democrazia continentale, non prevede alcuna forma di esercizio diretto della sovranità popolare.

Nei paesi in cui esiste la possibilità di una votazione popolare diretta, esistono altri modi per limitarla. In Italia si escludono alcune materie (fiscalità, trattati internazionali) dalla possibilità di voto, cosa che in Svizzera, ad esempio, non accade.
Inoltre si possono porre dei limiti rendendo più difficile la presentazione delle istanze, aumentando il numero di firme da raccogliere o prevedendo difficili procedure di autenticazione delle firme raccolte (in Svizzera bastano delle firme semplici, senza autenticazione).
Infine si può limitare l’accesso ai mezzi di informazione, creando un sostanziale squilibrio informativo a favore di chi è contrario all’istanza popolare.

I gruppi di interesse, inoltre, diffondono l’idea che “votare costa”, per cui sarebbe più conveniente per il popolo votare di meno ai referendum, in quanto si risparmierebbero dei soldi. Naturalmente nessuno ci spiegherà i maggiori costi derivanti dal non voto ovvero dal fatto di demandare le decisioni ad altri soggetti più vicini agli interessi dei gruppi di potere, come troppo spesso succede ai partiti politici ed agli eletti in Parlamento.

 

Le limitazioni alla Democrazia Rappresentativa

Per quanto riguarda la democrazia rappresentativa i gruppo di potere puntano a ridurre il più possibile il numero degli interlocutori.
Per loro è meglio un parlamento composto da poche persone, che potranno contattare e influenzare, piuttosto che un parlamento composto da molte persone, più rappresentativo del territorio e fatto di deputati più vicini ai loro elettori.
La distanza fra gli elettori ed i loro rappresentanti è una questione fondamentale.
Se un deputato ha la possibilità di incontrare le persone che lo hanno votato sarà maggiormente in grado di cogliere le loro necessità e sarà sottoposto ad un maggiore controlla da parte degli elettori.
Se invece un deputato rappresenta un grande territorio e raramente può avere contatti con i propri elettori, avrà una scarsa conoscenza delle necessità degli elettori e tenderà a chiudersi nella “torre dorata” della politica romana.

Mi piace definire questo concetto “DISTANZA DEMOCRATICA”.

Quanto maggiore è la distanza democratica, tanto minore sarà il controllo da parte degli elettori e tanto maggiore sarà il potere di influenza delle lobbies di interesse, che hanno molta più facilità rispetto al popolo di avvicinarsi alle “stanze del potere politico”.

Quando qualcuno ci dice che dobbiamo ridurre il numero di parlamentari per ridurre i costi della politica, proviamo a pensare quando molto di più potrebbe costarci se avessimo meno parlamentari troppo distanti dai loro elettori.

L’aumento della “distanza democratica” lo si ha anche quando si riduce il potere decisionale degli enti territoriali più vicini al popolo per trasferirlo ai livelli superiori.
In un comune, soprattutto piccolo, la popolazione conosce i consiglieri comunali, conosce il sindaco ed ha un forte controllo sul loro operato e le loro decisioni.
In una regione la distanza fra politici ed elettori aumenta notevolmente.
A livello nazionale è ancora maggiore.
E quando arriviamo a livello di Unione Europea o di Organizzazione delle Nazioni Unite la possibilità per i cittadini, anche organizzati, di influire sulle decisioni è sostanzialmente nulla.

Naturalmente è chiaro che si dovranno sempre trovare dei compromessi. Ci sono dei livelli “geografici” ottimali anche nella presa delle decisioni politiche, per cui è effettivamente necessario definire le competenze decisionali dei vari livelli.
Quello che ci preme sottolineare è che i gruppi di interesse spingeranno per allontanare i livelli decisionali dal popolo, portandoli ad una maggiore “distanza democratica”. Lo faranno non per l’interesse del popolo (non si potrebbe decidere la politica estera di un paese votando nei consigli comunali), ma per il loro proprio interesse.

Ad esempio in Italia è stata sostanzialmente sottratta l’autonomia di bilancio ai comuni, addirittura trasferendo la cassa a livello nazionale.
All’interno dell’Unione Europea i vincoli di bilancio imposti ai vari stati vengono decisi da pochi oscuri funzionari della Commissione Europea, che mai nessun elettore ha votato e che non renderanno conto agli elettori.
Certo gli elettori europei potranno esprimersi la prossima primavera, ma proviamo a fare un confronto:
1) Da un lato 500 milioni di persone di 27 paesi diversi, che si devono organizzare in partiti che esprimano una diversa linea politica, i quali esprimeranno dei nuovi parlamentari europei, che daranno il voto di fiducia ad una nuova Commissione Europea per una diversa linea di politiche economiche da imporre ai vari governi di 27 paesi. E aggiungiamo l’estrema difficoltà di cambiare la linea politica della Banca Centrale Europea, composta da esponenti delle varie banche centrali che, a loro volta, sono “indipendenti” dalla politica ed hanno un legame molto labile con i politici eletti.
2) Dall’altro lato dei gruppi di potere che si recano presso le persone che a Bruxelles o a Francoforte hanno un potere decisionale determinante sui bilanci dei vari paesi dell’Unione Europea.

Da un lato l’estrema difficoltà degli elettori a farsi rappresentare, dall’altro lato l’estrema facilità delle lobbies di influire sui processi decisionali.
Ad esempio offrendo un posto di prestigio, ed economicamente molto appagante, a chi si sarà reso disponibile alle loro richieste. E’ il caso, ad esempio, dell’ex presidente della Commissione Europea Manuel Barroso, che a fine servizio è rapidamente diventato uno dei massimi dirigenti della Goldman Sachs.

 

Ogni volta che ci verrà proposto di “ridurre i costi” per votazioni referendarie, di “ridurre il numero” di parlamentari o di “cedere” quote di sovranità (ricordate Mario Monti?) verso centri decisionali più distanti da noi, ricordiamoci che corriamo il rischio di trovarci a pagare dei costi occulti che deriveranno dall’aumento della distanza democratica, dalla riduzione del nostro controllo sui centri decisionali, lasciando maggiore potere ai gruppi di potere, nel loro interesse e a nostre spese.

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