Chi per il Tesoro mette all’asta i titoli di stato è davvero un pessimo commerciante. Si potrebbe fare molto di meglio!

di Davide Gionco

Supponiamo che Pierino debba mettere all’asta 10 rare sterline d’oro del 1819, ricevute in eredità dallo zio d’America.

All’asta si presentano 10 partecipanti:

2 offrono di acquistare ciascuno 1 sterlina a 600 euro
4 offrono di acquistarle ciascuno 1 sterlina a 500 euro
3 offrono di acquistarle 1 sterline a 400 euro
1 offre di acquistare 1 sterlina a 300 euro.

Cosa farà Pierino?
Venderà 2 sterline a 600 euro, 4 sterline a 500 euro, 3 sterline a 400 euro ed 1 sterlina a 300 euro, per un totale di incasso di 4’700 euro.

Se, invece, lasciasse mettere all’asta le moneta da un attuale funzionario del Ministero del Tesoro, sì quelli che mettono all’asta i nostri titoli di stato, tutte le sterline verrebbero vendute ai 10 partecipanti al prezzo di 300 euro l’una, per un incasso totale di 3’000 euro e con una perdita, rispetto alla situazione precedente, di 1’700 euro.

Questo perché il meccanismo attualmente utilizzato per l’asta dei titoli di stato (soprattutto BTP) prevede di assegnare i titoli al tasso di interesse offerto da colui che consente di completare la vendita di tutti i titoli messi all’asta. Quelli che costituiscono il nostro debito pubblico.
Perché fanno così? Chi lo ha deciso?
A questa domanda non sappiamo dare risposta, sarebbe bene che qualcuno in Parlamento svolgesse le necessarie indagini.
Possiamo solo dire con certezza che prima del 1981 i tassi di interesse venivano stabiliti dal Ministero del Tesoro. Una volta messi all’asta, chi voleva li acquistava a quel tasso di interesse. I titoli invenduti venivano sempre e in ogni caso acquistati dalla Banca d’Italia, il che assicurava allo Stato di avere sempre un finanziamento certo dello spesa pubblica ed assicurava di mantenere bassi i tassi di interesse sul debito pubblico.
Nel 1981, a seguito di una decisione dell’allora governatore della Banca d’Italia Carlo Azeglio Ciampi e del Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, decisione mai sottoposta ad approvazione del Parlamento, questa consuetudine cessò.
Da allora i titoli dovettero essere totalmente venduti agli investitori finanziari.
Ad un certo punto, non sappiamo quando, si decise di organizzare il mercato dei titoli su due livelli: un mercato primario, destinato ad investitori specializzati (“specialisti in titoli di stato), ed un mercato secondario, a cui possono prendere parte i normali investitori.
Attualmente alle aste del mercato primario possono partecipare solo 17 operatori.
Sono loro i famosi “mercati”, quelli che decidono l’andamento dello spread.
I “mercati” sono in realtà solamente 17 società d’investimento:
http://www.dt.tesoro.it/it/debito_pubblico/specialisti_titoli_stato/elenco_specialisti.html

Si tratta di 3 banche italiane (Intesa, Unicredit e MPS, tra l’altro sempre più in mano estere) e ben 14 banche estere:
– 5 americane
– 4 francesi
– 2 inglesi
– 1 tedesca
– 1 giapponese
– 1 olandese

Questi “mercati” hanno nel tempo imposto/proposto (lavoro di lobby!) a qualcuno del Ministero del Tesoro di stabilire i tassi di interesse con il meccanismo truffaldino di asta marginale (come viene chiamata dagli addetti ai lavori).
Questo meccanismo viene utilizzato solo in Italia, pare.

Come fanno ad esempio in Germania? Sì, quella nazione i cui titoli fanno da riferimento per il calcolo dello spread…
Come colloca i suoi titoli di stato? Naturalmente anche lei con un’asta. Fissa un tasso di interesse massimo. Se le offerte di acquisto ricevute sono inferiori a questo limite, tutti i titoli vengono venduti al tasso offerto da ciascun investitore, mentre eventuali titoli invenduti, se il tasso proposto non era abbastanza allettante per gli investitori, vengono acquistati da delle banche pubbliche, aggirando i divieti teorici dell’Unione Europea.

Anche senza arrivare alle furbate dei tedeschi, basterebbe riformare il meccanismo d’asta dei titoli di stato, assegnandoli secondo il criterio “commerciale” di Pierino, sarebbe possibile ridurre i tassi di interesse dall’attuale 3,8% medio a valori dell’ordine dell’1,5%.
Si tratterebbe di un risparmio dell’ordine di 50 miliardi di euro, che potrebbero essere utilizzati per alleggerire il carico fiscale che pesa sugli italiani o per investimenti pubblici urgenti, per esempio nella sanità, per i rifiuti, per la messa in sicurezza del territorio, per le scuole, ecc.
Il tutto a costo zero per lo Stato, in quanto non c’è nessuna norma europea che ci impone di essere così sconsiderati nelle aste dei titoli.

Giustamente vengono perseguiti i funzionari pubblici che acquistano beni a prezzi superiori a quelli di mercato.
Per quale motivo non si fa nulla per porre fine alla vendita dei titoli ad un interesse di 2,5 volte più elevato di quello che potremmo pagare?

Ma la truffa degli “specialisti in titoli di stato” non si ferma qui.

La maggior parte dei titoli di stato emessi sono dei BTP (Buoni del Tesoro Poliennali).
La caratteristica di questi titoli è di essere soggetti, nel tempo, alle fluttuazioni del mercato. Sono titoli ad alto rischio e, quindi, ad alto rendimento.
Alto rendimento per gli investitori, che significa alto interesse da pagare per noi.
Si tratta di titoli che si adattano ad operatori continuamente presenti sui mercati, pronti ad acquistare e a vendere (andamento altalenante dello spread…) a seconda della loro convenienza.
Nulla a che vedere con i classici BOT del tipico investitore italiano: tasso fisso, privi di rischi, basso rendimento.

I “mercati finanziari” (i 17 investitori) hanno sostanzialmente proposto/imposto al Tesoro non solo un meccanismo d’asta truffaldino, ma anche di emettere in quantità esageratamente alta dei titoli di stato che, per loro natura, richiedono dei tassi di interesse più elevati.
Se il Tesoro avesse il coraggio di eliminare il mercato primario dei titoli, potrebbe probabilmente piazzare tutti i titoli a tassi molto inferiori a quelli attuali, emettendo soprattutto titoli a basso rischio e basso rendimento, che sarebbero più appetibili ai piccoli investitori italiani e meno per i grandi investitori “istituzionali”.

Per concludere una proposta.
Sarebbe ora di porre fine al rito ottocentesco di rilasciare dei “pezzi di carta” corrispondenti a titoli di stato, il “denaro prestato allo stato”.
Oggi tutti gli i risparmiatori e gli investitoti operano online, tramite internet.
Sarebbe molto, ma molto più semplice e logico che il Ministero offra ai risparmiatori la possibilità di avere un CONTO DEPOSITO.
Anziché versare 5’000 euro in banca per acquistare titoli di stato e ricevere in cambio dei certificati di carta, i risparmiatori potrebbero semplicemente fare un bonifico bancario online su un conto deposito presso il Tesoro, il quale garantirebbe in cambio un tasso di interesse stabilito durante il periodo convenuto. In sostanza sarebbe la stessa cosa di oggi.

Quali sarebbero i vantaggi rispetto ad oggi?

1° vantaggio: si crea un rapporto diretto fra risparmiatore e Tesoro, evitando l’effetto “nefasto” dell’intermediazione degli specialisti in titoli di stato.

2° vantaggio: i cittadini si rendono conto che il “debito pubblico” non è altro che un servizio pubblico di risparmio offerto dalla “banca di stato”.

E forse sarebbe un primo passo per capire che il debito pubblico è uno strumento di finanza pubblica e non qualcosa che si debba pagare e ridurre, come un normale debito privato.

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