BASTA DAR CREDITO E VOTI A CHI NON HA UN VERO PROGETTO E UN’ADEGUATA DISCIPLINA

Dobbiamo capire la morte della politica e le distrazioni della politica-spettacolo

Di Massimo Franceschini

 

Credo che le seguenti argomentazioni possano fornire una base di discussione assai opportuna in questo preciso periodo storico, caratterizzato da un panorama di offerta politica assai desolante, molto più che in qualsiasi epoca precedente.

Gli ideali sono andati a farsi benedire di fronte alle emergenze, soprattutto dopo l’attuale, continua, economico-finanziaria ed alla globalizzazione, entrambe pilotate dalle élite a cui le amministrazioni rispondono: finanziarie, bancarie, corporative.

Quando parlo di ideali non mi riferisco alle ideologie e, per lo scopo di questo articolo, ripropongo l’introduzione da questo precedente, sulla tecnocrazia, adattissima anche qui:

Ritengo, ormai da molti anni, che le ideologie e le categorie novecentesche siano insufficienti e devianti per la nuova politica che reputo necessaria.
L’insufficienza risiede, a mio modo di vedere, nel fatto che tali ideologie si basano, in buona sostanza, su lotte “di classe” o su “conservazioni” di situazioni che le lotte di classe miravano a ribaltare, o su restaurazioni di passati ormai bocciati dalla storia.
Una causa di questa insufficienza è certamente l’evoluzione dei rapporti sociali, dovuta alla tecnologia, che da un lato ha “fluidificato” le relazioni umane ed i rapporti fra le classi sociali, dall’altro ha modificato grandemente i rapporti fra élite e governati: quel che resta delle classi sociali è ormai subalterno ad una cerchia di soggetti, sempre più ristretta.
Questo processo ha fatto sì che le “classi sociali” siano sempre meno dissimili fra loro: in parte anche nelle “prerogative” socio-economiche, data la crisi della “classe media”, certamente nel  modo di pensare, negli obiettivi, nei sogni.
Al di là della condizione economica, il disoccupato di oggi può non essere così dissimile dall’imprenditore di successo, culturalmente, nel suo essere e nelle aspirazioni; una differenza molto meno marcata rispetto a quella che potevamo registrare fra un proletario ottocentesco ed un “aristocratico”, oppure ad un “padrone”.
Già da molto prima dell’emergenza sanitaria-reset globale, la “classe imprenditoriale” era molto meno al sicuro di un tempo: il mercato su cui opera è soggetto a variabili che solo qualche decina di anni fa erano impensabili, dovute in primis alla finanza che ormai da troppo tempo straccia nettamente il Pil dell’economia “sana”, quella relativa alla produzione di beni e servizi.
Tutte le altre variabili economiche dipendono dalla presenza della finanza e dai tentativi della politica di “convivere” con la stessa: tramite l’enorme tassazione delle economie per pagare gli interessi sui debiti sovrani, con il regalo alla finanza stessa dell’emissione monetaria delle banche private, liberalizzando-privatizzando ogni ambito socio-economico, demolendo i residui “intralci” alle élite dovuti a quel che rimane dello Stato di diritto e delle costituzioni.

La situazione appena esposta, si caratterizza anche per la trasformazione dei partiti in comitati elettorali continui, vuote scatole personalistiche in mano al soggetto di turno che riesce ad apparire più efficace in televisione e sui social media.

I periodici tentativi di riforma alla Costituzione completano il quadro della nostra democrazia, già disastrata dal fatto che debba seguire interessi privati e trattati internazionali non democratici.

Nella politica “quotidiana” abbiamo un messaggio maintream, un pensiero unico bipartisan, composto in buona sostanza di retorica “tecnicista” e “tecnocratica”, apparentemente pragmatica, sostanzialmente attenta alla gestione di un presente su cui non si intende veramente intervenire.

L’agenda politica che vediamo nei media è di fatto decisa dai media stessi che fanno capo a pochi gruppi editoriali privati mondiali, senza che la politica possa compiere o si permetta un colpo d’ala, un sussulto di onestà con cui risvegliare l’attenzione preoccupata/sopita della società civile che in gran parte non crede più nella politica stessa, anche quando continua a votare.

Non è certo la vuota retorica sui “diritti”, sui “valori europei” e sullo “Stato leggero” della sinistre/destre “libertarie/conservatrici” a darci la necessaria risposta per il presente.

Ugualmente distraesti sono gli slogan “patria-sicurezza-difesa dei confini-onestà-risparmio-meno parlamentari” delle destre/sinistre populiste.

Di fatto, anche il governo giallo-verde, presunto più “sovranista” di altri, stava agendo entro i parametri di trattati che avrebbero dovuto essere considerati incostituzionali, ed operava comunque per una maggiore integrazione europea, rivenduta come più “onesta”: tutte le politiche degli ultimi anni ci portano agli USE, all’unione bancaria, all’esercito comune, ad una sempre maggiore distanza democratica fra società civile ed élite burocratiche.

Insomma, al di là delle vuote parole d’ordine elencate, i partiti principali si limitano a gestire, assai male, i problemi e le scadenze quotidiane, senza che al Paese sia raccontato dove in effetti si sta andando: non sono certo le parole d’ordine a fornire la risposta, buone solo a trattenere l’elettorato più “tifoso” e ideologizzato, più “contro” il nemico di turno, o ideologico.

La verità è che la politica manca, spesso anche nelle sue frange potenzialmente alternative, di un vero programma politico-operativo e della necessaria disciplina.

Dove il programma c’è, questo diventa carta straccia appena si arriva al “potere”, finendo sopravanzato dai percorsi e dalle emergenze imposte dal “sistema”.

Vediamo cosa intendo con programma politico-operativo e disciplina, delineando allo stesso tempo ciò che riterrei auspicabile.

La parte “politica” del programma dovrebbe strutturarsi in due parti: un’analisi dei meccanismi del presente e la posizione che si intende assumere di fronte alla realtà socio-politica del Paese.

Ciò vuol dire, che si dovrebbero delineare la “scena ideale” che l’azione politica vorrebbe raggiungere e le sue motivazioni ideali, che andranno anche a chiarire l’aspetto operativo e la relativa disciplina.

Per essere seria, e adeguata alla grave condizione della nostra democrazia, la parte “operativa” dovrebbe investire tre ambiti.

Il primo ambito operativo, sarebbe quello della democrazia e della trasparenza interna dello stesso soggetto politico, da riversare anche nelle istituzioni e nei vari processi democratici del Paese, istituzionali e legislativi.

Il secondo ambito operativo sarebbe quello relativo a cosa si andrà esattamente  a fare, anche nella sua progressione-programmazione, per attuare quanto auspicato e definito nel programma politico.

Ciò dovrebbe anche comprendere la spiegazione di come ci si comporterà in caso di alleanze: innanzitutto si dovrebbe mettere nero su bianco le condizioni per allearsi, le cose su cui si sarebbe intransigenti e quelle su cui ci potrebbe essere un margine di trattativa, e quale sarebbe questo margine.

Dovrebbe essere scongiurato, almeno nell’intento, un andazzo che possa ridursi alla gestione del presente e dell’agenda politica dettata dal “sistema”, come avviene regolarmente da decenni; ciò dovrebbe essere immediatamente fermato con crisi di governo e richiesta di nuove elezioni.

Il terzo ambito operativo, dovrebbe essere quello relativo ai media e dovrebbe occuparsi di due obiettivi ben precisi.

Il primo obiettivo, dovrebbe essere quello di liberare il sistema mediatico privato dai condizionamenti e dalla proprietà dei grandi gruppi, per liberalizzarlo veramente, senza la possibilità che si formino trust e gruppi troppo grandi e influenti, con svariati conflitti di interesse.

Si dovrebbe istituire un percorso obbligatorio di cessione per i detentori di gruppi mediatici.

Il secondo obiettivo dovrebbe essere quello di una profonda riforma dei media pubblici, non solo per “liberare dai partiti” il sistema, cosa abbastanza generica che potrebbe comunque lasciare le scelte sull’informazione alle corporazioni private, come avviene di fatto anche adesso.

I media pubblici dovrebbero svolgere un servizio culturale a 360 gradi, non commerciale ma di vera informazione al Paese, liberando le prassi di formazione e confezionamento delle notizie e della realtà mediatica, dalle abitudini che hanno reso il mondo dell’informazione una cosa assai lontana dall’essere quel “quarto potere” che avrebbe dovuto vigilare sulle democrazie e sulle libertà civili e sociali.

Per approfondire il rapporto media-politica e la problematica relativa ai media stessi consiglio la lettura del mio articolo tratto dalla serie sui 30 diritti umani, il numero 19 sulla libertà di opinione-espressione.

Veniamo alla disciplina, che dovrebbe investire l’operatività del soggetto politico e dei suoi esponenti.

Il tema è delicato, perché ora è trattato in maniera difforme da come recepito nella Costituzione, che intendeva salvaguardare la libertà di ogni eletto configurandolo come rappresentante della Nazione intera.

Ciò dovrebbe essere ancora sacro, mentre al contrario si vorrebbe ridurre la questione, in maniera populista, al fatto che il parlamentare non debba “tradire” il mandato elettorale: una cosa assai “fumosa” che in realtà nasconde il fatto che si vorrebbero parlamentari fedeli ai leader “carismatici”, quindi agli interessi che questi difendono, senza che possano dare un personale contributo creativo (sul tema mi sono espresso successivamente anche qui).

Nei desiderata delle élite, il parlamentare oggi dovrebbe essere solo un numero per la votazione, meno parlamentari ci sono meglio si possono condizionare ai voleri ed ai programmi dei leader: dietro il risparmio di spesa, irrisorio, si nasconde una tragica “economia di democrazia”.

Altra cosa da dire sulla disciplina, a mio parere, sarebbe in relazione ai media: vorrei che gli esponenti del partito alternativo, qui brevemente delineato, avessero una politica operativa comune su come comportarsi nei talk e nelle interviste.

Dovrebbero essere capaci di gestire la comunicazione, anche in presenza di provocazioni e dei tentativi di conduttori e giornalisti di portare il discorso in territori “sicuri”, entro i confini stabiliti dalla narrazione ufficiale e dagli interessi lobbistici del “sistema”.

Dobbiamo sempre ricordare che i professionisti dell’informazione sono ben addestrati a gestire il dibattito, a guidare l’attenzione dello spettatore entro i confini della narrazione predeterminata.

Il politico ideale in TV sarebbe quello che riuscirebbe, sempre elegantemente e civilmente, a sorprendere spettatori e conduttori con la forza delle idee, con memoria storica, con paragoni e metafore comprensibili, ma intelligenti e spiazzanti.

È assai triste vedere esponenti onesti, colti e preparati, finire risucchiati dal vortice dei tempi televisivi, in dibattiti rissosi e inutili, imprigionati nella sapiente ragnatela dei professionisti della distrazione.

Non è certo facile riuscire a frenarsi per gli attacchi e le fesserie propagate in TV, ma non c’è alternativa se vogliamo mantenere uno spazio libero in cui sfruttare le poche chance di comunicare veramente.

La strada per il cambiamento non è certo facile, l’alternativa è accontentarsi del “meno peggio” che il sistema ci propina, mentre è impegnato nella sistematica restrizione degli spazi democratici e di partecipazione reale.

Non accontentiamoci di chi è buono solo a solleticare i nostri sogni e le nostre idiosincrasie.

 

31 gennaio 2019
fonte immagine: Wikipedia

qui il mio libro, un programma politico ispirato ai diritti umani in cui affronto anche i temi qui espressi, ora in fase di revisione

Lascia un commento