L’opinione di Karl Popper sul domani della televisione

Le ambiguità del filosofo austriaco Karl Popper: “secondo me esiste un solo metodo valido: quello della autoregolamentazione”. E intanto invoca un ‘Istituto per la televisione’.

di Laura Massacra

 

Non passa giorno che il tema “politica e televisione” non si imponga in tutta la sua bruciante attualità. Tra le notizie più recenti, la diffida che l’onorevole Berlusconi ha rivolto a Rai e Mediaset riguardo alla pubblicità della politica governativa sulla famiglia. Un tema di non facile discussione. Può essere d’aiuto, allora, ascoltare l’opinioni di chi, godendo del privilegio di essere fuori dal coro, ha avuto modo di riflettere con mente non offuscata dalle urgenze politiche. Parliamo di uno dei più eminenti filosofi del secolo appena trascorso, Karl Popper, che, poco prima della sua morte, avvenuta un anno fa, rilasciò un intervista dal titolo ‘scandaloso’: Contro la televisione. Il filosofo austriaco, per molti anni professore presso la mitica London School of Economics, pone una questione centrale. La stessa questione che la diffida di Berlusconi ha riproposto sollevando, come al solito, polemiche accesissime: la televisione deve essere sottoposta a controllo? Deve esservi, cioè, una autorità dinanzi alla quale i giornalisti sono chiamati a render conto del proprio operato? Popper ne è assolutamente convinto.

Nella famosa intervista, ‘Contro la televisione’, egli si scaglia contro i “professionisti della televisione”, adoperando parole pesanti: “Tutti coloro che invocano la libertà, l’indipendenza o il liberalismo per dire che non si possono porre delle limitazioni ad un potere pericoloso come quello della televisione, sono degli imbroglioni che vogliono arricchirsi con lo spettacolo della violenza educando alla violenza”. Un linguaggio inusitato per un filosofo abituato a parlare dottamente della “Logica della scoperta scientifica” di “Epistemologia, razionalità e libertà”, solo per citare alcune delle sue opere più famose in tutto il mondo. Ma Popper e’ anche autore di un testo come “La società aperta e i suoi nemici”, dove indaga le radici culturali da cui hanno tratto alimento i regimi totalitari e dispotici nel nostro secolo. La veemenza con cui attacca la televisione è dunque dovuta alla sentita preoccupazione per il destino della democrazia. Popper, infatti, non si è mai stancato di denunciare quelle ideologie, quei poteri, quei costumi che tendono a rendere ‘chiusa’ la società, ad interrompere cioè il processo di civilizzazione. Nonostante queste posizioni connotate da un forte liberalismo secondo il filosofo la televisione va controllata perché essa mette in pericolo la civiltà.

Lo studioso Jean Starobinnski, stupito dalle dichiarazioni popperiane, riflette sul fatto che “è indicativo che Popper, campione del liberalismo occidentale usi queste parole per condannare la televisione. Questo straordinario mezzo detto televisione -dice Starobinskj- dovrebbe essere un modo per avvicinarsi alla realtà ma puo’ anche diventare uno schermo fra lo spettatore e la realtà. E’ un mezzo dove la falsificazione, le deformazioni e le accelerazioni del ritmo possono intervenire a tal punto da allontanare la realtà, in modo da presentare allo spettatore una realtà sostitutiva. E questo Popper lo vede chiaramente”.

Ma come giunge Popper ad una tesi così estrema e contraddittoria rispetto ai suoi stessi principi, secondo cui la televisione è un “potere pericoloso”, che lavora, cioè, contro la civiltà, in favore della violenza? Tutto sta nel comprendere che il concetto di “informazione” e indissociabile da quello di “educazione”. Emerge qui una dei capisaldi delle convinzioni epistemologiche di Popper: l’impossibilità di isolare i “dati” dell’esperienza dalle “teorie”, dalle “interpretazioni”, dalle “prospettive” all’interno delle quali noi li apprendiamo. Ciò significa che “è falso pensare ad informazione pura, come semplice trasmissione di fatti”. Qualsiasi fatto, nel momento in cui diventa oggetto di informazione, è per ciò stesso un fatto interpretato. I giornalisti “tentano continuamente di imporre il proprio punto di vista e non possono impedirsi di farlo”. Che lo voglia o no, quindi, l’informatore è inevitabilmente anche un educatore o, nel caso in cui è un irresponsabile, un diseducatore.

E’ proprio l’irresponsabilità ciò che secondo Popper caratterizza gli operatori della televisione. Lo dimostra, ad esempio, l’utilizzo senza limiti di immagini di violenza. Il potere della televisione va dunque, secondo Popper, limitato. Attraverso un istituto che regolamenti la deontologia professionale dei giornalisti. Ma una limitazione del genere non può apparire illiberale? Popper non sembra temere l’accusa: “il liberalismo classico – ci ricorda – ha sempre accordato una grande importanza all’educazione e un’importanza ancor più grande alla responsabilità”. Là dove la libertà, in questo caso la libertà di espressione, diventa irresponsabile e diseducativa, essa va senza indugio limitata. Ragion per cui la libertà d’espressione, quando rischia di fomentare la violenza o, comunque, di nuocere la libertà altrui, va sottoposta a restrizione.

Qual è, in concreto, la soluzione ai problemi posti dalla cruda e spregiudicata analisi popperiana? Chi deve controllare la televisione? Muovendo dal principio di ispirazione liberale, secondo cui, meglio di ogni censura è l’autocensura e l’autocontrollo, Popper propone la creazione di un “Istituto per la televisione” che sia diretta espressione dei professionisti della televisione. Tale Istituto dovrebbe avere il compito di costringere i giornalisti televisivi a “frequentare dei corsi tesi a sensibilizzarli ai pericoli a cui la televisione espone i bambini, gli adulti e l’insieme della nostra civiltà”. Al termine del corso, i giornalisti dovrebbero superare un esame in cui dimostrare l’avvenuto apprendimento dei principi fondamentali, sottoporsi poi ad un giuramento, simile a quello di Ippocrate prestato dai medici, ed ottenere infine “una licenza che permetta di lavorare per la televisione”. Una licenza che, ovviamente, dovrebbe essere suscettibile di revoca nel momento in cui si venisse meno alle prescritte regole di deontologia professionale.

Starobinski, sulla proposta dell’istituto della televisione, non esita a esprimere la sua posizione: “Dal punto di vista del liberalismo al quale tengo, direi che non dovrebbe esistere nessun tipo di censura, ma per non avere censura, gli spiriti devono essere educati a decidere se vogliono continuare a percepire un messaggio, se vogliono comprare una rivista pornografica o no. Per me l’educazione a giudicare è il corollario di un liberalismo senza frontiere. Un liberalismo senza l’educazione a giudicare, è un qualcosa di dannoso” . La proposta di Popper, e’ animata dal principio secondo cui controllo non può essere esercitato da alcuna autorità esterna, perché ciò equivarebbe ad imbavagliare l’informazione-educazione. Non sempre pero’ una azione riesce realmente a tener fede al principio che la ispira. Si può infatti osservare che l’organismo suggerito da Popper per responsabilizzare l’informazione, a causa del numero gigantesco di persone che verrebbero ad esservi coinvolte, è inevitabilmente destinato a burocratizzarsi. A causa di tale burocratizzazione l’ipotetico “Istituto per la televisione” auspicato dal filosofo correrebbe il rischio di determinare, con il tempo, la formazione di una casta di esperti di deontologia professionale giornalistica che, per esigenze di organizzazione della divisione del lavoro, verrebbe ad essere autonoma dal mondo concreto del giornalismo.

L’effetto di questa dinamica, tipica di ogni burocrazia, potrebbe far cadere il sistema dell’informazione in una più grave forma di de responsabilizzazione. L’esistenza di esperti di etica professionale solleverebbe infatti gli altri giornalisti, che non appartengono al gruppo degli esperti, dal peso di assumersi la propria responsabilità e, di conseguenza, verrebbe a perdersi proprio quella istanza, che giustamente Popper invita a tener ferma, dell’autocontrollo e dell’autocensura. Il pensiero di Popper sembra dunque ricadere in una inevitabile contraddizione. Da un lato propugna la necessità di una autoregolamentazione che avvenga attraverso l’educazione alla televisione. Dall’altro mostra gli effetti nocivi di una informazione non regolamentata, non tenendo presente che le Autority cui ci si appella in casi di illiceità dei contenuti informativi sono una rappresentazione della burocratizzazione dei sistemi sociali. Ed in quanto tali non riescono ad esprimere proprio quell’istanza di auto regolamentazione e auto discernimento interno che Popper invoca.

Jean Starobinski
Karl Popper

Tratto da:
http://www.mediamente.rai.it/biblioteca/prov/001218popper.asp

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