70 ANNI DALLA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO

Poco da celebrare, tanto ancora da comprendere e costruire

 

Il 10 dicembre del 1948, il mondo intero, ancora squassato dall’ultima Guerra Mondiale e dall’orrore atomico, vedeva l’approvazione con 58 voti a favore e nessun contrario della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, ultima ed estrema sintesi di un percorso di dignità e libertà dalle sopraffazioni.

Un percorso partito da molto lontano – Cilindro di Ciro, 539 a.C. – poneva le sue tappe più recenti nella “Bill of Rights” britannica del 1689, nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America del 1776, che ispirò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, stesa durante la Rivoluzione Francese.

La nostra splendida Costituzione, di pochi mesi prima, già inglobava i “diritti universali” all’Art. 2 e se ne faceva responsabilmente carico lungo tutto il suo testo.

Lungi da me l’intenzione di un’ipocrita retorica dei diritti umani, alla pari di quelle che saranno certamente verbalizzate dai vertici istituzionali del “mondo globalizzato”.

C’è in effetti ben poco da celebrare, tanto ancora da comprendere per costruire una vera civiltà dei diritti umani.

Andiamo con ordine.

Credo che nessuna analisi storica, o concezione politica, possa prescindere dalla conoscenza dell’uomo in quanto tale, dalle sue peculiarità e prerogative, dai suoi, se così possiamo dire, “parametri funzionali”.

Personalità, passioni ed emozioni caratterizzano e diversificano ogni uomo dall’altro, guidano la sua logica e razionalità, o la loro “scarsezza”, il suo modo di vedere la vita e rapportarsi al proprio simile.

Anche se una persona molto “razionale” può abbandonarsi temporaneamente ad emozioni e comportamenti per lei inusuali o, viceversa, una persona apparentemente “emotiva” può sorprendere per la sua logica, agiamo di norma entro un “tracciato” segnato dal nostro essere e sentire fondamentali.

Più in generale, possiamo osservare e delineare, e c’è chi l’ha fatto ampiamente in ambito filosofico, religioso e psicologico, una “scala” delle emozioni e delle conseguenti attività umane in cui mettere ai suoi apici quanto di più bello, positivo e creativo possa esprimere l’essere umano, per scendere progressivamente, con molte posizioni intermedie, verso l’abisso delle peggiori azioni che possiamo immaginare.

Il cambiamento personale è certamente possibile, al contrario di quanto ritenuto un tempo dalla psicologia più “materialista” e deterministica, cambiamento che però passa, necessariamente, per un percorso di crescita e consapevolezza interiore/spirituale, od il suo contrario, che si rivelerebbe, di conseguenza, in un’ascesa o in un declino sull’ipotetica scala.

Ritengo necessaria questa premessa, per introdurre un breve ragionamento sui sistemi politici, sulle ideologie e, più in generale, su ogni “costruzione” teorica dell’uomo: indipendentemente dalle cause e contingenze storiche, ogni ideale che abbiamo sviluppato ha una sua “posizione” sulla scala.

Ogni ideale e sistema politico non è solo, o principalmente, o “deterministicamente” un “prodotto della storia”, della cosiddetta “lotta di classe”, o di frangenti e condizioni varie: risente di questi fattori e si determina in forme diverse che lo posizionano sulla “scala” suddetta, anche in base alla posizione sulla “scala” stessa dei formulanti.

Per semplificare: un collerico indugerà in comportamenti antagonistici verso gli altri, penserà e svilupperà forme illiberali e autoritarie.

Una persona ben disposta verso il prossimo, positiva e cooperativa, tenderà ad essere onesta, ad aiutare gli altri ed a preferire sistemi politici liberali e collettivamente responsabili.

Possiamo così dire che ogni “posizione” della scala viaggia su un’onda portante che, giocoforza, la “connette emotivamente” e praticamente con persone dall’equivalente sentire.

I livelli ipotetici di questa scala non sono quindi pertinenti al solo microcosmo individuale, ma attengono al più vasto macrocosmo del gruppo, di una nazione, dell’umanità intera.

Il “collerico” ed il “socievole” diventano, a livello di nazione, l’invasore/colonialista, oppure lo Stato di diritto teso ad instaurare rapporti amichevoli e proficui con le altre nazioni libere.

La persona falsamente amichevole, tutta tesa a dimostrare la propria onestà e virtù, a livello di nazione può assumere le sembianze di un paese apparentemente liberale, ma effettivamente autoritario e “paternalista”, che nei rapporti internazionali pretende dettare legge per “il bene di tutti”.

In base a queste premesse e considerazioni, porrei certamente agli apici della scala quelle visioni, ideali e sistemi politici che coniugano concetti di dignità umana e libertà, con quelli di responsabile cooperazione.

In fondo alla scala avremmo, evidentemente, il caos totale, appena un po’ più su il massimo della tirannia, un potere totalmente arbitrario.

Date queste premesse, non possiamo non vedere come la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo si collochi ai vertici di quanto più positivo e creativo l’umanità abbia considerato desiderabile per ogni persona, popolo, nazione e per l’umanità intera.

A ben vedere, i “sistemi ideali” che hanno preceduto i diritti umani, pur contenendo anche istanze fondamentali e legittime rivendicazioni portavano, chi per un verso chi per un altro – senza ora addentrarci nei vari frangenti e ragioni storiche  – dei contenuti antagonistici, di lotta o affermazione o supremazia di una parte o “classe” sociale sull’altra.

Leggendo i 30 diritti umani possiamo constatare come, al contrario, partendo dalla persona, dai diritti che le si riconoscono in quanto “essere”, dalle sue responsabilità e connessioni sociali, manchino di qualsiasi visione “classista” o antagonista: a ben vedere, la società che uscirebbe dalla loro piena attuazione sarebbe caratterizzata da una necessaria “fluidità sociale”, determinata unicamente dalla piena realizzazione dell’individuo, dalla libera espressione delle sue responsabili e creative predilezioni.

Per fluidità sociale intendo certamente la possibilità, oggi sempre più virtuale, che una persona di qualsiasi estrazione possa arrivare al vertice in qualche campo.

Intendo, in maniera migliore, la possibilità che ogni uomo e donna abbiano l’occasione di esprimere il loro essere, le loro predilezioni, i loro talenti, di scegliere liberamente cosa fare nella vita ed averne la reale opportunità.

Intendo anche, e soprattutto, il fatto di liberare ogni essere umano onesto e cooperativo, dalle conseguenze negative che potrebbe avere da qualsiasi eventuale “giudizio”, “pregiudizio” o “considerazione relativa” al suo essere, al suo ruolo, al suo lavoro, al posto che ha scelto di occupare in società.

Gli uomini e le donne contemplati dai diritti dell’uomo sono tutti diversi nell’essere, ma uguali nella possibilità espressiva del proprio essere.

Dignità, libertà e responsabilità, con cui possiamo sintetizzare l’etica dei 30 diritti umani, appartengono ad ogni persona, indipendentemente da altre considerazioni di sorta: sono diritti da reclamare per sé e doveri da attuare verso l’altro.

Partendo da questi presupposti ed osservando lo stato dell’associazione umana oggi, possiamo individuare degli enormi problemi riguardo la reale attuazione dei 30 diritti: alla completa NON ATTUAZIONE in ancora troppo grandi parti del globo, si affianca il problema di una gigantesca MISTIFICAZIONE degli stessi, nei paesi più industrializzati, che si affianca ad una sempre maggiore DIMENTICANZA per alcuni di essi.

La MISTIFICAZIONE dei diritti umani è complessa e infida, si sostanzia in teorie, pratiche e prassi giurisdizionali che potrebbero portare alla progressiva demolizione delle “istituzioni antropologiche” dell’uomo, della sua stessa concezione e integrità psico-biologica: come ad esempio nei campi della sessualità, del “genere”, del diritto alla Vita, nella variegata manipolazione della stessa in ogni sua fase e per ogni sua problematica, fino ad autorizzarne la sottomissione farmacologica del “malato mentale” o dell’individuo “scomodo”, sordi ad ogni appello alternativo basato su una “scienza umanistica” non al servizio dell’industria.

La DIMENTICANZA, che è anche in parte mistificazione, riguarda quei diritti cosiddetti “fondamentali”, quei DIRITTI CIVILI e SOCIALI che appena 30-40 anni fa sembravano essere sulla via di una loro progressiva attuazione: il mondo del lavoro e la democrazia stessa mostrano un pauroso arretramento nella giustizia e nella reale rappresentanza.

Il mondo “privatamente globalizzato” e sempre più “privatamente tecnicizzato” ci fa intravvedere un futuro di intimo controllo globale su cui non avremo più forza morale, civile e giuridica per opporci, sia a livello individuale sia come Stato di diritto.

Rimane quindi un solo appello: la società civile è chiamata alla costruzione di una politica veramente “umanista”, capace di sintetizzare i percorsi attuativi per ognuno dei 30 diritti umani.

L’intelligenza, la storia, la storia del Pensiero, la capacità tecnologica, possono essere al servizio dell’uomo, non è scritto da nessuna parte un diverso destino, se non nella nostra imperdonabile negligenza.

 

Massimo Franceschini, 9 dicembre 2018

fonte immagine: il mio libro, un programma politico ispirato ai Diritti Umani

Questa la sezione di ATTIVISMO.INFO in cui ho pubblicato una serie di approfondimento per ognuno dei 30 diritti

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